L’imminente esibizione del teatro nazionale nella colonia di Kiryat Arba dimostra che il boicottaggio contro l’attività israeliana in Cisgiordania da solo non potrà mai destabilizzare l’occupazione.
30 ottobre 2016 Scritto da Michel Warschawski
Quante volte siamo stati attaccati come sostenitori del movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) per aver sostenuto il boicottaggio accademico e culturale di Israele? Decine di volte, anche dai cosiddetti attivisti di sinistra.
La cultura è neutra, dicono i cinici sia da destra che sinistra. La cultura non è (e non deve essere) legata al conflitto coloniale in Palestina. La cultura è, infatti, la Svizzera del conflitto!
E, comunque, accademici e produttori culturali sono dalla “nostra” parte. Non meritano di essere puniti.
A questo punto è importante ricordare che il BDS non prende di mira individui o opere specifiche, ma piuttosto istituzioni ed eventi.
La recente decisione dell’Habima Theater di esibirsi negli insediamenti di Kiryat Arba dimostra come questa presa di posizione culturale sia insostenibile. Il nome stesso dell’Habima Theater è la prova dell’inutilità della cosiddetta rinuncia della cultura alla politica. Una decisione governativa presa nel 1958 ha modificato il nome di questa vecchia e nobile istituzione in “Habima National Theater”. E’ quindi impossibile separare il teatro dal suo ruolo nazionale.
Oggi Habima è il fiore all’occhiello delle istituzioni culturali israeliane. Situato a Tel Aviv, si rivolge a un pubblico nazionale e internazionale. Proprio come tutte le altre principali istituzioni culturali israeliane, riconosce che parte della sua missione è quella di rappresentare lo stato di Israele nel mondo e promuovere un’immagine positiva di esso - anche se solo per garantirsi un continuo finanziamento.
La storia di cui ci occupiamo oggi è invece incentrata sul prossimo spettacolo dell’Habima Theater nella colonia israeliana di Kiryat Arba in Cisgiordania, nel distretto di Hebron. L’Habima si è assunto la responsabilità politica della sua decisione. Vale la pena citare la dichiarazione della compagnia sulla questione: “La gestione del teatro rifiuta con disgusto qualsiasi appello ad escludere cittadini ed ad escludere città e condanna ogni tentativo di boicottaggio culturale in qualsiasi luogo in cui vivano cittadini israeliani.”
“Siamo interessati a continuare a fornire un elevato livello culturale ai cittadini israeliani”, aggiunge.
Tutti i “cittadini israeliani,” tutte “le comunità israeliane”: qui l’Habima, insieme a molti altri operatori culturali israeliani consapevoli portatori di cultura e illuminismo vogliono semplicemente cancellare la Green Line che separa oggi Israele dai Territori Occupati.
Ancora un altro presunto progressista, il giornalista Ali Karp, ha scritto sul quotidiano israeliano Haaretz:
”Il teatro nazionale di Israele deve esibirsi in Kiryat Arba … La voce della sinistra, la voce dell’umanesimo e l’opposizione all’occupazione … deve essere ascoltata soprattutto dalle persone che vivono negli insediamenti … In altre parole, dobbiamo convincere chi si è perduto.”
Volendo stare alla logica di Karp, sarebbe la mancanza di cultura a spiegare la violenza coloniale dei residenti di Kiryat Arba. Un po’ di Molière, di Shakespeare o di Hanoch Levin e i coloni diventeranno pacifisti con colombe di carta al posto delle pistole.
Per quanto mi sforzi di capire Karp ed i suoi amici della sinistra sionista, non riesco a vedere come, con lo spettacolo a Kiryat Arba, gli attori del Teatro convinceranno i cosiddetti “lost ones” (quelli che si sono persi) del fatto che vivono dove non dovrebbero vivere. Al contrario, il teatro nazionale di Israele portando a Kiryat Arba i suoi spettacoli supporta il progetto di normalizzazione dei coloni che, con il tempo, si convinceranno che non ci sarà alcuna differenza tra l’insediamento di Kiryat Arba e la città di Kiryat Ata a Haifa.
In ogni caso, il semplice fatto che persone istruite come Karp o il direttore dell’Habima Theater ignorino la Green Line dovrebbe porre fine al dibattito tra un boicottaggio della occupazione o un boicottaggio di Israele. Qui si tratta infatti di boicottare Israele e le sue istituzioni - non solo gli insediamenti e i loro prodotti. Questo è l’unico modo da sempre per “convincere quelli che si sono perduti” e che costituiscono la stragrande maggioranza dei cittadini israeliani.
Michael Warschawski è un attivista anticolonialista israeliano, ex prigioniero politico, e co-fondatore del Alternative Information Center.
Trad. Invictapalestina.org