Foto di copertina – Un murale in solidarietà con le proteste a Standing Rock creato da “We Are Not Numbers” di Gaza
Cari nativi americani,
anche se siamo di colore, religione, cultura e luogo diversi, nel leggere delle proteste a Standing Rock ho imparato che abbiamo molte più cose in comune di quante non siano le differenze. Leggere la vostra storia mi ha fatto vedere me stessa e la mia gente riflettersi in voi. Sento nel profondo che la vostra lotta è la mia lotta e di non essere sono sola nella lotta contro l’ingiustizia.
I miei antenati non erano gli unici a vivere in Palestina. Ebrei, cristiani e arabi vivevano tutti fianco a fianco nel mio paese. Ma i miei antenati – tra cui i miei nonni e bisnonni – erano la popolazione indigena, proprio come voi. E hanno subito la stessa sorte della vostra gente. La politica americana di occupazione e dislocamento attraverso marce forzate come il Trail of Tears e il graduale trasferimento di così tanta della vostra gente in enormi e impoverite riserve, mi ferisce profondamente perché tanto simile alla pulizia etnica subita dai miei antenati con l’occupazione militare israeliana in quella che chiamiamo “al-Nakba” (la catastrofe). Noi sappiamo quello che voi sapete: che la nostra terra è sacra.
Nel 1948, i miei antenati – insieme a quasi un milione di altri palestinesi – sono stati messi in fuga o costretti ad abbandonare le loro terre, in alcuni casi con la forza delle armi. In più di 10.000 sono stati massacrati. Centinaia di nostri villaggi e città sono stati completamente distrutti secondo un piano sistematico di cancellazione della nostra identità – proprio come i vostri sono stati sotto continua aggressione.
In Palestina, della nostra patria originaria oggi rimane solo il 22 %. Come voi, parte del nostro popolo (circa 1,5 milione di persone), deve vivere in “campi” degradanti (la nostra parola per riserve), dove le condizioni di vita sono “paragonabili al terzo mondo.” Come le vostre riserve sono caratterizzati da alti tassi di disoccupazione, povertà e suicidi.
Molti altri palestinesi (circa 6 milioni) – fra loro ora ci sono i discendenti degli abitanti originari – sono sparsi in altre parti del mondo e anche per gli Stati Uniti, proprio come il vostro popolo. Oggi, non solo l’occupazione militare si è presa la nostra terra e dichiarato che è “lo stato di Israele”, ma continua a portare avanti una politica di espulsione, a demolire case palestinesi nel piccolo pezzo di terra che conserviamo, permette la costruzione di insediamenti illegali e impedisce la nostra libera circolazione grazie a una rete di “controlli di sicurezza”.
Come voi, noi non controlliamo le nostre risorse naturali. Proprio come voi non siete stati consultati per la Dakota Access Pipeline che attraverserà la vostra terra e che, se installata, contaminerà le vostre riserve d’acqua, noi non siamo stati consultati da Israele che vuole fare estrazioni di gas naturale nel nostro porto per proprio uso esclusivo e che monopolizza le risorse idriche in Cisgiordania per fare verdi i prati dei propri residenti lasciando i palestinesi a morire di sete e con le terre inaridite. A Gaza, dove vivo, a causa delle condizioni in cui siamo costretti a vivere è potabile solo il 10 % del nostro approvvigionamento di acqua. Anche noi sappiamo che “l’acqua è vita”.
Quando ero bambina vedevo come i media riportano di voi immagini negative, soprattutto nei film di Hollywood – che vi raffigurano come incivili, selvaggi, razzisti e tossicodipendenti. Allo stesso modo, la mia gente è ritratta come terrorista, “arretrata”, misogina e antisemita. Eppure nessuno guarda i bianchi nella stessa maniera.
Come la vostra, la nostra resistenza è stata etichettata come atti di terrorismo e di violenza, piuttosto che come una lotta per la sopravvivenza e la dignità. Ma non ci sorprende, dal momento che questa è la politica di ogni oppressore che cerca di criminalizzare gli altri per giustificare i propri atti. E’ il modo con cui l’oppressore crea la propria versione della realtà per razionalizzare il suo comportamento e fare il lavaggio del cervello alle masse. Ed è proprio del piano dell’oppressore far sì che il colonizzato si senta debole e solo. Ma voi state dimostrando che non potranno riuscirci e io voglio che sappiate che il mio popolo è con voi.
Vedere le vostre donne, gli anziani e i giovani tutti insieme a protestare contro la pipeline e la vostra esclusione dal processo decisionale è così stimolante! Ci dà la forza per andare avanti con la nostra lotta.
Come palestinese di Gaza sono cresciuta sentendomi separata dal resto del mondo a causa del blocco decennale che Israele ci impone. Sono sicura che molti di voi la pensano allo stesso modo. Ma non siamo isolati. Noi siamo “anime gemelle” nel modo che conta.
Cordiali saluti,
Israa Suliman
VIDEO – Non siamo numeri
A proposito di Israa Suliman
Israa Suliman, 20 anni, è una studentessa di letteratura inglese presso l’Università islamica di Gaza. Va pazza per tre cose: i gatti, il mare di Gaza e la scrittura. “Dovremmo ubriacarci di scrittura così la realtà non ci può distruggere”, dice.
Traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org
Fonte: http://mondoweiss.net/2016/11/writes-standing-story/?utm_content=buffer0480d