Copertina: Bambini palestinesi sventolano bandiere statunitensi e palestinesi a Gaza City il 9 dicembre 1998, alcuni giorni prima della visita dell’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton (AP)
Bill Clinton, George Bush, Barack Obama, nessuno di loro ha cercato di placare le sofferenze della Palestina. Neppure Hillary l’avrebbe fatto.
19 NOVEMBER 2016, Yasmin El Khoudary (*)
Il 14 dicembre 1998 abbiamo avuto una giornata di vacanza da scuola. Ero una bambina di otto anni e non potevo essere più felice di così.
Tutti i negozi erano chiusi e c’erano blocchi stradali ovunque. Le strade erano piene di bandiere palestinesi e di bandiere a strisce bianche e rosse che non sapevo riconoscere. Chiesi a mio padre e mi spiegò che quelle erano bandiere americane e che Bill Clinton, il presidente degli Stati Uniti, più tardi in quello stesso giorno, sarebbe venuto in visita a Gaza City.
Non sapevo che avrei sentito nominare Clinton quasi ogni giorno nei successivi 18 anni, ma non per occasioni felici.
Il defunto presidente palestinese, Yasser Arafat, aveva invitato Bill Clinton e la First Lady Hillary Clinton all’inaugurazione dell’aeroporto internazionale di Gaza. Gli elicotteri di Clinton atterrarono sulla pista dell’aeroporto di Rafah e poi decollarono per Gaza City, dove Clinton parlò al Consiglio Nazionale Palestinese in quella che passò alla storia come la prima visita mai fatta da un presidente americano a una entità palestinese “sovrana”.
Le preoccupazioni di Clinton per la Palestina
L’anno successivo i miei fratelli e io ci iscrivemmo, assieme ad altri 65 studenti, alla International School aperta da poco a Gaza, una scuola completamente composta da docenti americani e canadesi, con libri di testo che arrivavano a Gaza fin dagli Stati Uniti.
Nel frattempo la senatrice Hillary Clinton si era unita a Elie Wiesel nell’affrontare la questione della retorica “anti-Israele” e “anti-semita” presente nei libri di testo palestinesi. Nel 2001, inviò una lettera al presidente George W. Bush chiedendogli di costringere Yasser Arafat a cambiare “la retorica odiosa” dell’Autorità palestinese, come una delle condizioni per la pace.
Nel 2007, mise in discussione l’idoneità di Mahmoud Abbas come “partner per la pace”, dato che i libri di testo pubblicati sotto la sua amministrazione erano di “incitamento all’odio”.
Ciò avvennne dopo aver fatto parte del gruppo dei promotori di una risoluzione del Congresso che appoggiava la costruzione del muro dell’apartheid di Israele nella Cisgiordania, che aveva difeso dicendo: “Il muro non è contro il popolo palestinese, il muro è contro i terroristi.”
Nonostante l’interesse appassionato della Clinton in materia di istruzione palestinese, pochi erano gli elogi per la scuola americana di Gaza; al contrario, quando due F-16 americani forniti agli israeliani rasero al suolo la scuola nel 2008/9, il segretario di Stato Hillary Clinton non ebbe niente da ridire.
La sua indifferenza non fu una sorpresa e tanto meno la sua reazione – o la mancanza – alla distruzione dell’Aeroporto di Gaza ad opera di Israele, avvenuta tre anni dopo che lei stessa l’aveva inaugurato con Arafat e suo marito.
Spinto da una missione divina per diffondere la pace e la democrazia in Medio Oriente, Bush nel 2006 aveva insistito, contro ogni pronostico, per la formazione di un Consiglio nazionale palestinese. E quando Hamas, come previsto, vinse le elezioni, approvò un piano per rovesciare Hamas e accendere con l’aiuto di Israele una guerra civile palestinese.
Nel frattempo, la Clinton era occupata a promuovere assieme ad altri una risoluzione del Congresso dal titolo: “The Palestinian Anti-Terrorism Act del 2006”. La risoluzione, introdotta dopo che Hamas aveva vinto le elezioni e preso il controllo di Gaza grazie all’ingerenza di Bush, negava qualsiasi partecipazione di Hamas al “processo di pace” a meno che non riconoscesse Israele, cedesse le armi e rinunciasse alla violenza.
Il disegno di legge fu convertito in legge da Bush nel dicembre 2006, ed era in effetti l’approvazione di cui Israele aveva bisogno per lanciare il suo ancor oggi in corso assedio di Gaza. In effetti, Bush e la Clinton cercarono di cambiare i risultati delle elezioni per costrigerci ad una violenta guerra civile e, quando questo piano fallì, decisero di punirci per avere fatto la “scelta democratica sbagliata”.
Quando Hamas vinse le elezioni di Bush, mi ero appena diplomata ed ero pronta a lasciare Gaza per studiare presso l’Università americana del Cairo. Da quell’anno in poi attraversare la frontiera da o verso Gaza si trasformò in una bella esperienza di inferno in terra.
Gli Stati Uniti, come qualsiasi altro paese in missione di pace mondiale per ispirazione divina, decisero di portare avanti un boicottaggio internazionale della Palestina a causa del doppio fallimento, sia delle elezioni sia della guerra civile accesa per ribaltare i rapporti di forza a proprio piacimento. Il boicottaggio ha comportato un vigoroso appoggio degli Stati Uniti alla piena prigionia in cui Israele tiene gli abitanti della Striscia di Gaza con il supplemento di attacchi militari occasionali – tre in meno di sei anni.
Non importa chi è alla Casa Bianca
Come studentessa attivista nella campagna per la Palestina presso l’Università americana del Cairo, assieme ai miei colleghi mi sono trovata impegnata in interminabili conversazioni con studenti statunitensi all’estero che consideravano positive le politiche dell’amministrazione Bush verso la Palestina, per convincerli dei risultati democratici delle elezioni che avevano appena portato Hamas al potere. Dopo tutto, questi studenti dovevano conoscere la verità prima di votare alle successive elezioni presidenziali degli Stati Uniti nel 2008.
Barack Obama correva per la presidenza e le nostre speranze erano al settimo cielo, tanto che un gruppo di palestinesi di Gaza si unì alla sua campagna su Skype con la speranza che la vittoria di Obama avrebbe portato una giusta soluzione alle loro sofferenze. Così non è stato.
Bloccata al Cairo durante la pausa primaverile a causa dell’assedio in corso a Gaza da parte di Stati Uniti e Israele, mi ricordo di aver guardato al discorso di Obama alla Cairo University nel 2009 con sentimenti contrastanti.
Nonostante il suo tentativo di mostrare un tono più conciliante, aveva già dichiarato le sue posizioni fondamentali sulle questioni palestinesi in due discorsi all’AIPAC – Comitato dell’American Israel Public Affairs – durante la sua campagna: credeva che “Gerusalemme rimarrà la capitale indivisa di Israele” e si opponeva al diritto al ritorno.
La speranza è evaporata rapidamente, e gli otto anni in carica di Obama hanno poi dimostrato che non c’era niente di diverso per i palestinesi, specialmente per quelli sotto assedio a Gaza.
Con la Clinton segretario di stato le cose sono andate ancora peggio: nel suo discorso all’AIPAC la Clinton si è dichiarata senza peli sulla lingua nemica del BDS (il movimento di boicottaggio, disinvestimento, sanzioni), un’orgogliosa avversaria di eventuali risoluzioni delle Nazioni Unite riguardanti la Palestina, ha dichiarato con orgoglio di condannare il Rapporto Goldstone, di essere una strenua difenditrice degli attacchi di Israele su Gaza e uno dei principali elementi che stanno dietro al veto degli Stati Uniti alle Nazioni Unite alle proposte di statualità della Palestina.
Quando gli Stati Uniti hanno annunciato un piano per concedere a Israele 38 miliardi di dollari in aiuti militari nel corso del prossimo decennio, suggellando così l’eroica e pacifica eredità di Obama, la Clinton ha manifestato la sua gioia con una dichiarazione in cui si congratulava con Obama e Netanyahu per questo importante “successo diplomatico”. Prometteva che “come presidente”, avrebbe lavorato per realizzare questo accordo.
Purtroppo per la Clinton, il piano sarà attuato senza di lei. Ha perso un’occasione storica per ribadire il suo sostegno incrollabile a Israele. Ma c’è qualcuno negli Stati Uniti che si sia chiesto il motivo per cui questo piano è l’unico che sia stato tramandato da Obama a Trump senza problemi? E come l’invio di aiuti militari a Israele sia più importante dell’Obamacare, per esempio? Perché l’AIPAC e Israele escono sempre vincitori indipendentemente da chi sieda nello Studio Ovale?
Come donna, sono profondamente offesa dalla vittoria di Trump. Come palestinese, però, soprattutto dopo aver ascoltato il discorso di Trump all’AIPAC, non mi è potuto importare di meno su chi fosse il vincitore.
A dire il vero, ho smesso di preoccuparmi delle elezioni americane dopo che Obama ci ha sbattuto in faccia la sua sconcertante indifferenza per la Palestina, cosa che di fatto ha reso la nostra vita un inferno.
Con la presente, dedico la vittoria di Trump a ogni cultore della democrazia americana – senatore, deputato/deputata e attivista – che ha giocato con le nostre vite e il nostro futuro al solo scopo di conquistare più voti dell’AIPAC.
In particolare, la dedico a Hillary Clinton e al suo establishment, e a tutti coloro che sono rimasti sconvolti dal risultato delle elezioni democratiche che hanno portato alla vittoria di Trump. Inviterà la Clinton a boicottare la sua gente per “avere fatto la scelta democratica sbagliata”, vorrà imporre punizioni collettive come quelle imposte a noi da Israele dietro suo incoraggiamento? Riuscirà a giustificare le sofferenze che gli americani si troveranno ad affrontare sotto Trump come ha giustificato le sofferenze di Gaza sotto l’assalto israeliano del 2014, dicendo: “purtroppo sono intrappolati dalla loro leadership”?
(*) Yasmin El Khoudary è palestinese di Gaza, attualmente vive a Londra, è ricercatrice indipendente specializzata nel patrimonio archeologico e culturale di Gaza.
Traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina
Fonte: http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2016/11/gaza-aren-mourning-clinton-loss-161117123959810.html