L’astro nascente arabo-israeliana della TV non è più costretta a doversi preoccupare degli umilianti controlli della sicurezza dell’aeroporto.

Foto di copertina:  L’attrice Samar Qupty a Tel Aviv. Credit Moti Milrod

Itay Stern Dec 01, 2016 7:56 PM

 

Cinema e televisione israeliani hanno offerto all’attrice palestinese Samar Qupty una vetrina per il suo talento e le hanno permesso di fare piccole incursioni contro il fanatismo – anche tra i lavoratori occasionali della sicurezza all’aeroporto Ben-Gurion.

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Lo scorso luglio, l’attrice araba Samar Qupty era in partenza per Bogotà, in Colombia, per presenziare alla premiere del film “Junction 48” di cui è protagonista, quando gli agenti di sicurezza al Ben-Gurion l’hanno fermata per un interrogatorio extra. L’hanno trattenuta per più di due ore e infine le hanno permesso di prendere il suo volo, ma senza il bagaglio a mano confiscato dal personale di sicurezza. Il bagaglio conteneva diversi abiti da sera, cosmetici e un libro che aveva portato con sé per il breve viaggio all’estero.

Qupty, 27 anni, che è cresciuta a Nazareth e si dichiara palestinese, era già stata sottoposta in precedenza a questo tipo di interrogatorio più di una volta, ma ora ha deciso di dire basta  e ha postato un messaggio furioso su Facebook: “Allora, caro aeroporto Ben Gurion, voglio dire grazie”, ha scritto. “In primo luogo, per come ci proteggi da persone e situazioni spaventose. Per come fai in modo di ricordarmi di nuovo ogni volta quanto io sia indesiderata qui e quanto spaventosa possa essere. Per l’atteggiamento, gli sguardi e le strizzatine d’occhio che lanci sempre quando vedi il mio nome. Per come di nuovo ogni volta mi laceri dentro – non per le ricerche idiote, ma per il fatto che ti vedo umiliare una donna dell’età di mia madre o di mia nonna, davanti ai miei occhi …  di nuovo ogni volta!”

Pochi mesi dopo, Qupty è diventata un volto familiare per gli spettatori della serie televisiva di Yes cable “Taagad”, con il set vicino ad una base militare israeliana. Nella serie interpreta il ruolo di una pastora araba che, a causa di un matrimonio combinato, sta per sposare un uomo anziano, ma è sentimentalmente coinvolta con un soldato della base. Comunque, l’ultima volta che Qupty si è trovata all’aeroporto, circa un mese fa, ancora una volta è stata trattenuta dalla sicurezza per un interrogatorio. Ma l’agente di sicurezza, avendola riconosciuta per la serie TV, l’ha lasciata andare immediatamente. “Sei incredibile”, le ha detto l’agente mentre le dava il via libera per godere di un’ora e mezza nel duty-free, un lusso che non aveva mai potuto sperimentare prima, essendo sempre bloccata dagli interrogatori. “Non sapevo che farmene di tutto quel tempo,” ride Qupty. “E’ valsa la pena fare ‘Taagad’ solo per questo!”

 

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FOTO – Tamer Nafar, il regista e produttore Udi Aloni e l’attrice Samar Qupty al Berlinale Film Festival 2016 a Berlino. Credit: AP

In effetti, non è stata una scelta tanto scontata per Qupty partecipare a una serie televisiva che presenta tanti personaggi in divisa kaki. Solo un paio di mesi fa, in occasione della cerimonia del Premio Ophir (la versione israeliana degli Oscar), aveva sollevato un pugno in segno di solidarietà con Tamer Nafer e Yossi Tzabari, quando la ministra della Cultura Miri Regev si alzò e uscì mentre recitavano una poesia di Mahmoud Darwish. Qupty è anche una presentatrice quotidiana sul canale televisivo palestinese con sede a Ramallah “Musawa”, e ogni settimana si sposta tra i diversi villaggi arabi.

Protagoniste palestinesi

Laureata alla scuola di cinema della Tel Aviv University, Qupty ha diretto tre cortometraggi. In tutti le protagoniste sono donne palestinesi alle prese con problemi di famiglia. Alla domanda se vede un qualche  miglioramento nella condizione di queste donne che vivono in Israele, Qupty dice: “Sì, c’è un cambiamento e lo vedo un po’ ovunque. La cosa principale che è cambiata è il nostro modo di guardare a noi stesse. Se tu sei lì come vittima e vuoi assumere questo ruolo, puoi farlo. Ma bisogna ricordare che la vittima a volte ha anche dei privilegi e la questione è dove si pensa di andare. Se vieni da una condizione di forza e non vuoi dimostrare niente a nessuno, ma solo camminare con le tue gambe, avrai poi maggiori possibilità di successo. Siamo stanche di trovare scuse per tutto ciò che facciamo, guadagnarci il favore e compiacere tutte. Non si può piacere davvero a tutti, quindi perché almeno non provarci? La gente rispetta una persona che resta fedele ai suoi principi, anche se non è necessariamente d’accordo con lei”.

Dice che ora, dopo il successo di “Taagad,” è sorpresa a volte dalla calda accoglienza che riceve per le strade di Tel Aviv e Tiberiade. “Stavamo girando lì non molto tempo fa, e questi ragazzi con la kippa mi si sono avvicinati e mi hanno detto di quanto mi amavano. Tutto ad un tratto tutti vogliono un selfie”.

Hipster di Tel Aviv con snack di Jenin

La sua stanza, in un appartamento che condivide con due coinquilini a Yarkon River a Tel Aviv, è anche un’intrigante tessera del puzzle che compone la sua identità. Sulla porta c’è un vecchio poster che dice “Visita la Palestina”, ma con la veduta pastorale di Gerusalemme tagliata in due dalla barriera di separazione. E gli snack sul tavolo – Bamba [uno spuntino] ricoperto di formaggio e mini-lattine di cola – provenienti da Jenin. Allo stesso tempo, l’arredamento in generale, la piccola cucina e la cabina armadio improvvisata, tutto parla di una Tel Aviv hipster.

 

 

 

Quando vedi alla televisione araba la presentatrice Lucy Aharish che viene criticata da parte palestinese per essere troppo sionista e da parte ebraica per essere filoaraba – pensi sia qualcosa in cui potresti identificarti?

“Per essere chiari, Lucy Aharish è molto lontana da me, sia per quanto riguarda le opinioni politiche che per quanto concerne lo stile che ha scelto per la vita e la carriera. Io rispetto una persona che fa una scelta e la segue fino in fondo. Ma che io sia d’accordo con lei è un’altra cosa. Credo che se si lavora così è difficile accontentare qualcun altro e che se non sei onesta con te stessa è difficile poi essere rispettata. Questo è ciò che accade anche con un sacco di soldati drusi che entrano nell’esercito e si aspettano di essere parte dello stato e ottenere tutti i loro diritti e poi finiscono con avere sorprese. Ma il punto di partenza è distorto fin dall’inizio così, naturalmente, ciò che succede dopo rimane distorto.”

Ideologicamente schizzinosi

Dice che non è stata una decisione facile prendere parte alla serie televisiva, anche se è il genere di ruolo che la maggior parte delle giovani attrici sogna.

“Io non sapevo nemmeno se fosse il caso di andare al provino. Il mio agente, Perry Kafri, dice che rifiuto sempre troppe offerte perché non corrispondono alla mia ideologia. Ho cominciato a capire che è importante lavorare con persone con cui non sono necessariamente d’accordo. Non tutti i set saranno come ‘Junction 48’ diretto da Udi Aloni, dove mi sono trovata come se fossi davvero in una famiglia. Così ho deciso che volevo dare  una possibilità a scelte diverse e correre più rischi. Dopo avere avuto la parte, sono andata a parlare con il regista, Zion Rubin, e gli ho detto che dovevo restare fedele alle mie origini. Mi ha detto che, anche se la serie riguarda l’esercito, non riguarda l’aspetto politico dell’esercito. Si tratta di ciò che i comandanti fanno con i loro soldati. Ho visto che l’arabo sarebbe stato l’oggetto di questa storia, ma che sarebbe servito a comprendere quello che succede qui in Israele.”

Quindi hai accettato di prendere parte al progetto perché pensi che rifletta la realtà di qui?

“Se mostri qualche stereotipo, puoi rafforzarlo, ma puoi anche permettere alle persone di ri-pensare su di esso.

Lo show TV di Sayed Kashua, ‘Arab Labor,’ è tanto stereotipato quanto più è possibile, ed è stato scritto in quel modo da un arabo solo per mostrare gli israeliani – ‘Guarda, è così che ci vedi.’ Ed ha ricevuto anche una critica interna molto forte. Il soldato che si innamora di me in ‘Taagad’ è in  apparenza un vero e proprio razzista. Ma allora tu, spettatore, guarda da fuori questo personaggio e vedi se vuoi essere quella persona”.

Il destino del tuo personaggio dipende tutto dal passaporto che può usare per fuggire da qui. Quanto è grande il tuo desiderio di fuggire?

“Non credo che la fuga sia la soluzione di qualsiasi problema. Se me ne vado in condizione di debolezza, allora non ho risolto nulla. Ma se dovessi andarmene fuori da qui in una condizione di forza e per scelta, perché ho nuove opportunità all’estero, allora sarebbe fantastico. Solo dopo che i bianchi si sono uniti alla lotta dei neri in America, e solo dopo che gli uomini si sono uniti alla lotta per i diritti delle donne – sono stati in grado di essere liberi. Così in qualche modo, forse è davvero il linguaggio binazionale l’unica cosa che può risolvere il problema qui. In definitiva, l’israeliano è bloccato qui proprio come lo sono io. Non ha scelto di essere un razzista o di girarsi ogni volta che sente l’arabo e non ha scelto di dirmi, ‘Sei carina, non sembri un’araba.'”

Hai speranza in un futuro migliore?

“Purtroppo, la realtà ci governa, ma vedo qualche speranza. Quando Udi Aloni mi manda a rappresentare il film in Colombia e parlo a un pubblico di 300 persone come se avessi scritto io il film, allora so che ha riposto grande fiducia in me. E quando parla in mio nome, e nel nome delle donne palestinesi, so che posso fidarmi di lui. Ho ricevuto messaggi su Facebook da parte di persone che hanno visto la serie televisiva e mi dicono di avere imparato qualcosa sul razzismo, sul ‘nemico arabo’ e improvvisamente nella serie hanno cominciato a vedere la persona dietro ai titoli, e questo li ha portati a cominciare a pensare. Per me, è questa la speranza. In definitiva, si tratta di un linguaggio elementare fra due persone che vogliono la pace, nel senso di positività e desiderio di amare. Questo è quello che alla fine stiamo cercando tutti, e penso che tutti qui siano stanchi di ostilità e di guerra”.
traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

fonte: http://www.haaretz.com/israel-news/culture/.premium-1.756288

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