di Elif Shafak
Un tempo la Turchia era un modello per un Islam moderno, tempo fa. Oggi la società è divisa, la quotidianità politicizzata e l’atmosfera avvelenata. Nel giorno in cui ho scritto questo articolo, mia nonna è morta. La donna che mi ha cresciuta, che mi ha raccontato fiabe e magie e trasmesso la capacità d’immedesimazione e di provare compassione. La sua personalità era un interessante miscuglio: profondamente spirituale, ma decisamente laica; orientale, ma in armonia con lo stile di vita occidentale . Non molto istruita, ma grande sostenitrice della formazione e della libertà per sua figlia e sua nipote. Per me, lei era il simbolo di una Turchia capace di contenere in sé una sintesi straordinaria di culture e tradizioni diverse.
E così com’è morta mia nonna, è morta anche questa Turchia. Quando vivevo in Ankara, in un quartiere borghese musulmano, le famiglie turche erano solite guardare in tv dei programmi speciali per festeggiare il Nuovo Anno. Cantanti e attori si alternavano sullo schermo, c’erano fuochi d’artificio e luminarie. Poco prima di mezzanotte veniva trasmesso il momento più importante del programma: la danza del ventre con la ballerina in abiti succinti. Si guardava e applaudiva mangiando castagne arrostite e mandarini. A mezzanotte ci si abbracciava e gioiva tutti insieme. Allora, mia nonna andava nella sua stanza e pregava Allah affinché ci donasse un anno di pace e successo – era un mondo ibrido quello, un miscuglio di elementi orientali e occidentali.
Purtroppo questa mescolanza è scomparsa. Oggi gran parte della gente vive in ghetti culturali insicuri. La Turchia è diventata nazionalista e religiosa, mentre il regime diventa sempre più autoritario. Sfumature e forme miste si sciolgono come fiocchi di neve sotto il sole accecante. Tutto diventa bianco e nero. La società è divisa in “noi ” e “loro”. Non c’è più posto per l’individualità. Quando un paese diventa così talmente spaccato tutto è ultra politicizzato, perfino un evento lieto e collettivo come la celebrazione del Nuovo Anno. Il 2016 è stato un annus horribilis per la Turchia. Nell’anno e mezzo trascorso, nell’intero paese ci sono stati 35 attacchi terroristici e quasi 550 uomini hanno perso la vita. Funerali pubblici si sono svolti in ogni città dell’Anatolia, ma nessun dolore, nessuna sofferenza è stata capace di unire un paese così profondamente diviso come il nostro. Quindi non c’è da meravigliarsi se alcuni cittadini turchi desideravano l’inizio del 2017 il nuovo anno. Le persone avevano bisogno di un nuovo inizio, di speranza, di una pagina completamente bianca sulla quale scrivere un nuovo capitolo. Ma in quest’anno, così spesso come non era mai accaduto prima, gli islamisti e gli ultra nazionalisti hanno cercato di distruggere i festeggiamenti. Spesso confondevano il Natale con la notte di San Silvestro e bollavano tutto come ” tradizione cristiana”. Le loro voci tuonavano forti. Forti e minacciose.
Nelle settimane prima di Capodanno gruppi estremisti distribuivano per le strade di varie città volantini sui quali era scritto: “I musulmani non celebrano alcuna festività cristiana“. I loro opuscoli sono pieni di errori grammaticali, ortografici e parole di odio. Sempre un altro gruppo di fanatici religiosi hanno messo in scena nella città di Aydin una protesta contro il Natale. Alcuni erano travestiti con i costumi tradizionali dei guerrieri e davano la caccia a un altro di loro che invece era travestito da Babbo Natale. Quando alla fine i guerrieri l’hanno acciuffato, gli hanno puntato una pistola alla testa e in questa posa si son fatti fotografare dalla stampa nazionale. In varie città sono stati appesi manifesti e striscioni carichi di odio. Su uno di questi, presso la città di Van, era scritto: “Avete mai visto un Cristiano festeggiare la festa di Eid al-Adha? Perché festeggiamo le loro feste?” Su un altro manifesto si poteva veder un bruttissimo Babbo Natale intento a fumare hashish, accanto in caratteri cubitali: “Il Natale è uno schiaffo al culto musulmano” . Presso il Campus dell’Università tecnica di Istanbul un gruppo di studenti musulmani si è radunato per manifestare, sui loro cartelli apparivano questi slogan “Non fatevi tentare da Satana!! Non celebrate la notte di San Silvestro!“, “Non c’è nessun Natale nell’Islam“, “Nei paesi musulmani la gente prova a sopravvivere, in quelli occidentali ci sono sempre feste e divertimento“. Poi hanno preso un Babbo Natale gonfiabile e, davanti a tutte le persone, l’hanno accerchiato e trafitto più volte.
Sul giornale islamico Milat sono stati pubblicati sempre più spesso articoli rabbiosi. In una rubrica c’era scritto che la veste di Babbo Natale è così rossa perché tinta con il sangue della popolazione di Aleppo. Egli porta agli occidentali regali e in Aleppo bombe, sofferenze e morte: “Vestiti carini per i bambini in Europa, e sudari insanguinati per i bambini di Aleppo“. Un altro giornale islamico, Yeni Akit, ha rivolto un appello alla nazione consigliando alle persone di non festeggiare il Capodanno, perché collegato a giochi di azzardo, al bere e alla dissolutezza: “Questo non è la nostra usanza. L’ Islam lo vieta“. Inoltre sulle strade del quartiere Ikitelli di Istanbul erano appesi manifesti che mostravano un uomo musulmano che picchiava un Babbo Natale. Tutti questi articoli, manifesti e dimostrazioni erano di gran lunga minacciosi per i laici, i progressisti e i democratici che desideravano salutare il nuovo anno in Turchia. E in questo paese radicalizzato e diviso il Presidio per le questioni religiose ha inviato una predica del venerdì molto problematica, pronunciata in 80.000 moschee del paese. In questa predica si considerava illegale festeggiare il Capodanno poiché tali festeggiamenti appartengono “a un’altra cultura“. Nel passato noi, come nazione, eravamo orgogliosi che San Nicola, gentile vescovo, che è l’immagine del Natale – fosse originario di Patara, una città sulla costa mediterranea. Oggi il povero San Nicolaus è stato politicizzato diventando un bersaglio. Purtroppo la divisione è troppo profonda. I laici e i liberali si sentono sotto pressione, vinti e lasciati soli. Nel frattempo gli isolazionisti, i nazionalisti e gli islamisti arrestano persone. In quest’atmosfera di minaccia un prominente giornalista, Ahmet Sik, ha predetto che il Capodanno sarebbe potuto diventare un obiettivo per gli islamisti. Sik oggi si trova in prigione, punito per la sua apertura mentale, insieme ad altri 140 giornalisti ed intellettuali turchi .
Quindi, la notte di San Silvestro è accaduto l’orribile attacco terroristico nel club Reina di Istanbul. Un terrorista affiliato allo Stato Islamico, proveniente dall’Uzbekistan, è corso dentro il night club massacrando a sangue freddo 39 persone. Nei giorni seguenti il dolore, la sofferenza e lo spavento erano diffusi ovunque. I rappresentanti della linea dura in Turchia non hanno provato alcuna vergogna, ci sono state esternazioni nei social media, che criticavano le vittime. Un commentatore islamico ha affermato in televisione: “Siamo contro il Capodanno. Siamo contro il bere alcool e celebrazioni di questo tipo. Chi vuole andare in questi locali e vuole andare in aria, lo può fare“. Ovviamente questi estremisti rappresentano una piccolissima minoranza in Turchia. Ma il problema è che si sentono incoraggiati grazie alla nuova atmosfera nazionale e internazionale. La Turchia è diventata drammatica. Questo è un paese nel quale colui che critica o scrive qualcosa sul partito di regime Akp e sul Presidente Erdoğan può esser immediatamente accusato, condotto davanti un tribunale e incarcerato.Il regime utilizza la maggior parte del suo tempo ed energia nell’oppressione della società civile per reprimere e seguire giornalisti, intellettuali e autori. Solo raramente viene organizzato qualcosa di significativo contro gli islamisti e i fanatici ultranazionalisti, che indirettamente sono partecipi della violenza, in quanto hanno diffuso discorsi che incitano all’odio.
Sebbene, dopo l’attacco di Reina, l’Akp abbia proclamato di voler rintracciare i 347 utilizzatori dei social media che hanno postato dichiarazioni estremiste, complessivamente l’élite politica ha riconosciuto troppo lentamente il pericolo dello Stato Islamico ed era decisamente troppo incompetente per affrontarlo. I loro ripetuti errori in Siria, il percorso a zig zag della politica estera e i loro grandi sogni neo-ottomani di potere hanno soltanto peggiorato la situazione. Le nostre metropoli sono diventate nuovi fronti per i terroristi, dallo Stato Islamico al Pkk. La reazione a ogni spaventosa tragedia è sempre la stessa: appena esplode una bomba oppure c’è un attentato, il regime organizza un blocco delle informazioni, Internet viene limitato, i funzionari ripetono sempre le stesse frasi, le vittime del terrorismo sono proclamati martiri. Nei quartieri le strade e le vie vengono dedicate a essi. Il regime prova a nascondere l’incompetenza della politica interna ed estera dietro un linguaggio ultra patriottico. Coloro che mettono in dubbio l’interpretazione ufficiale sono chiamati “traditori” e “marionette delle potenze occidentali“. La libertà di espressione è totalmente repressa. C’era un tempo in cui la Turchia era considerata nell’ intera comunità mondiale musulmana un esempio luminoso, una singolare sintesi della culturale orientale e occidentale e un esempio di democrazia liberale. Oggi temiamo che il nostro paese possa diventare uno dei peggiori esempi del Medio Oriente.
Traduzione di Fawzia Calvaresi