Copertina: Non è il modo: poliziotti israeliani sorvegliano le ruspe che demoliscono le case nel villaggio beduino di Umm al-Hiran, il 18 gennaio, 2017. Menahem KAHANA / AFP
Nasreen Hadad Haj-Yahya – 19 Gennaio 19, 2017 4:40 PM
Il testo del primo ministro è cinico e offensivo, e anche se ha trovato poca eco tra gli ebrei israeliani, ha profondamente ferito i sentimenti di migliaia di arabi.
Una sola frase e una foto dei bulldozer che stavano demolendo undici edifici a Kalansua è stata mostrata con orgoglio sulla pagina Facebook del primo ministro Benjamin Netanyahu. La scorsa settimana questo post, e ovviamente ciò che descrive, hanno tenuta occupata tutta la società araba. «Le critiche non mi dissuaderanno e, come già detto, continueremo a implementarne l’uso in Israele», ha scritto il primo ministro israeliano.
Secondo i dati pubblicati di recente dal professor Yousuf Jabareen del Technion Israel Institute of Technology, circa mezzo milione di cittadini arabi in Israele vive in circa centomila edifici abusivi in insediamenti arabi presenti in tutto il Paese. Nonostante i tentativi locali di regolarizzazioni, che hanno ottenuto successi più o meno grandi, e l’inizio di un progetto di costruzioni multipiano in alcuni di questi insediamenti, la situazione non sta cambiando e la maggiro parte dei giovani arabi non ha la possibilità di edificare un tetto sopra la propria testa. A stento ci sono nuovi piani regolatori per gli insediamenti arabi, negli insediamenti ebrei le case non vengono vendute agli arabi e, in ogni caso, tali insediamenti non posseggono le infrastrutture necessarie a soddisfare le necessità della società araba, quali per esempio scuole in lingua araba. E, come gli ebrei, i giovani arabi vogliono vivere vicino ai genitori. Questa è la situazione.
Tuttavia, invece di accettare le proposte di dialogo delle autorità arabe locali e la stesura di un piano strategico congiunto per permettere la costruzione di edifici negli insediamenti arabi, il governo continua a distruggerli e non si prospettano soluzioni all’orizzonte. Ciò, com’è ovvio, ha approfonditi effetti sull’alienazione della società araba in Israele da parte dello stato, delle sue istituzioni e del regime.
Tutta la complessità e la pericolosità della situazione non hanno impedito al primo ministro di caricare questo post pieno di malizia, secco e succinto con la foto dei bulldozer e di vantarsi della misura in un chiaro tentativo di trasformare la distruzione degli edifici in una sorta di ricompensa per l’abbattimento di case che avverrà ad Amona. È la negazione di ogni tipo di imparzialità da parte della persona che dovrebbe essere il primo ministro di tutti. Sì, anche degli arabi.
Il post era rivolto agli elettori e mirava a creare un’equivalenza tra rafforzamento nella società araba e rafforzamento nei territori, specialmente ad Amona, ma il primo ministro non era minimamente interessato alle sostanziali differenze tra i due casi. Il fatto che le case di Amona siano state costruite su terreni privati di proprietà di palestinesi (cui la proprietà è stata rubata), mentre le case demolite a Kalansua appartenevano ad abitanti che le avevano costruite sul proprio terreno, sebbene senza permessi edilizi, non lo ha affatto turbato.
Si può anche immaginare che non pubblicherà un post malevolmente compiaciuto se e quando le case di Amona saranno demolite, ed è giusto così. Con tutta l’opposizione al furto di terra in Amona, non vorrei vedere il presidente della coalizione Joint List, Ayman Odeh, caricare un post malevolmente compiaciuto con immagini di bambini evacuati dalle loro case.
Il testo del primo ministro è cinico e offensivo, e anche se ha trovato poca eco tra gli ebrei israeliani, ha profondamente ferito i sentimenti di migliaia di arabi. Questo post mi ha fatto temere per il futuro. Fino a oggi, ogniqualvolta ci sono state critiche da parte del governo – che fosse durante le campagne elettorali, dopo gli attacchi terroristi in Dizengoff Street a Tel Aviv o durante l’ondata di incendi –, il primo ministro ha sempre diretto le sue frecciate alla parte più debole della popolazione del Paese. Se questo è stato ciò che è successo allora, mi spaventa immaginare che cosa sarebbe capace di fare alla popolazione araba di Israele se si ampliassero le indagini in cui è coinvolto.
Nonostante l’accrescersi della disperazione e l’alienazione, non è ancora troppo tardi. Se davvero vuole fare il bene della popolazione in Israele e lavorare con essa, piuttosto che a sue spese, il primo ministro deve annunciare un progetto di ampio respiro per espandere gli insediamenti arabi e consentirvi la costruzione di case. Questo deve includere riconoscere retrospettivamente la legittimità delle case costruite su terreni privati appartenenti agli abitanti, sebbene senza permessi edilizi, ampliare i piani regolatori, adattandoli alle reali esigenze della società araba e trovare una soluzione adatta per il disagio dei cittadini beduini nel Sud. Inoltre non sarebbe male costruire nuove comunità arabe e incentivare le città a popolazione mista a fornire servizi adeguati per entrambe le popolazioni.
Sono certa che nel profondo, se sgombriamo il campo dalle pressioni politiche e dagli strateghi che gli sussurrano all’orecchio, anche Netanyahu capirà che questo è il passo giusto ed etico da fare.
Nasreen Hadad Haj-Yahya è il codirettore del Programma per le relazioni tra arabi e israeliani dell’Israel Democracy Institute.
Trad. Chiuz – Invictapalestina.org
Fonte: http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.766130?v=CFA93EA7D63E7633ECFBCBAFF40C0913