di Maximilian Popp – Freitag, 20.01.2017 14:43 Uhr
Nessun altro giornalista come Hrant Dink, in Turchia, si è impegnato per la democrazia e i diritti umani. Venne ucciso dieci anni fa e sul suo omicidio non è stata ancora fatta luce
Nell’ultimo scritto prima della sua morte, il giornalista turco – armeno Hrant Dink manifestò la sua paura: “Coloro che vogliono isolarmi, rendermi debole e indifeso, ci sono riusciti. Mi sento come un piccione che volta continuamente il capo di qua e di là, sempre vigile e pronto a evitare pericoli“. Qualche giorno dopo, esattamente nel pomeriggio del 19 gennaio 2007, tre colpi di pistola lo raggiunsero davanti all’edificio ospitante gli uffici del settimanale turco – armeno Agos, morì immediatamente. Quest’omicidio segnò una cesura in Turchia. Infatti Dink, fondatore e direttore della rivista Agos, era più d’un semplice giornalista. Era un pioniere della democrazia, un intellettuale che credeva nella riappacificazione tra Turchia e Armenia e con tutte le sue forze la sosteneva. Fu uno dei pochi autori turchi che considerava i crimini commessi dagli osmani in Armenia durante la prima Guerra Mondiale per quello che effettivamente erano stati: un genocidio.
Siamo tutti Hrant – Dopo la sua morte, centomila persone si radunarono in Istanbul in una marcia in suo onore “Siamo tutti Hrant, siamo tutti armeni” gridava la gente. Nella vita come nella morte Dink ha concentrato in sé le nostalgie e i traumi della Turchia. Le lotte degli emarginati per il proprio riconoscimento, gli abissi del nazionalismo e del fondamentalismo e la negazione della propria storia. In Turchia il caso Dink è stato al centro delle discussioni fino ad oggi. Per l’anniversario dei dieci anni dalla sua morte, giovedì 19 gennaio, migliaia di persone si sono radunate per manifestare in Istanbul. Fra loro c’erano i colleghi e la vedova Rakel , “Senza di te non è facile, se solo sapessi che cosa è diventato questo paese “ dice la vedova. Nel Gorki Theater di Berlino Can Dündar, ex direttore del quotidiano turco Cumhuriyet, ha recitato dei testi scritti da Dink. A pubblicizzare l’evento alcune parole tratte dagli scritti del giornalista “Quando la tua identità si può costruire solo attraverso un nemico immaginario, allora la tua identità è una malattia“. Dündar, come all’epoca Dink, si è creato molte ostilità per gli articoli critici nei confronti del regime. Nel 2015 è dovuto fuggire dalla Turchia dopo aver raccontato della fornitura di armi da parte dei servizi segreti turchi agli estremisti islamici presenti in Siria. “ Hrant Dink ci ha insegnato che la Resistenza è possibile “ afferma Dündar.
Un teenager rivendicò l’omicidio – Libertà di opinione, preservazione della memoria e diritti delle minoranze, questi erano i temi al centro del lavoro di Dink e per i quali combatté. Oggi che il Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha condotto il paese nell’autocrazia, questi temi sono mai come prima attuali. I retroscena dell’omicidio del giornalista non sono stati ancora del tutto chiari. All’epoca le autorità presentarono rapidamente un colpevole Ogün Samast, un adolescente originario della città di Trabzon sul Mar Nero che rivendicò l’attentato: “Gli ho sparato dopo la preghiera del Venerdì“. L’intenzione era punire Dink per la mancanza di rispetto nei confronti della Turchia. Il tribunale lo condannò a 22 anni di carcere, in questo modo per lo Stato la questione era sistemata. Non lo era per la vedova di Dink, Rakel, per i suoi amici, i suoi colleghi e tutti coloro che gli erano stati vicino. Rakel Dink ricorda come prima che avvenisse l’attentato i nazionalisti avevano mosso parole d’odio verso il marito; i media vicino al regime l’avevano diffamato chiamandolo traditore della patria, mentre la giustizia aveva avviato un procedimento contro di lui per un presunto oltraggio alla cultura turca . L’avvocatessa di Dink, Fethiye Centin parte dal presupposto che Samast non fu l’unico fautore dell’omicidio, come anche le stesse autorità osservano. Piuttosto il ragazzo fu guidato da impiegati statali, dalla polizia e dai servizi segreti. L’investigatore turco Nedim Sener dimostra in due libri che i poliziotti appartenenti all’epoca al movimento del predicatore Fethullah Gülen erano informati del piano dell’omicidio.
Lodi al ragazzo colpevole dell’omicidio – Gli inquirenti ignorarono le segnalazioni. Infatti in quegli anni Erdoğan e i movimenti pro Gülen erano uniti nella lotta contro le opposizioni secolari. Il regime non aveva nessun interesse a chiarire l’omicidio, mentre nel 2011 il giornalista Sener, insieme al collega Ahmet Sik, fu arrestato con l’accusa di essere un probabile sostenitore dei gruppi terroristici. Oggi, dieci anni dopo l’assassinio e la rottura tra Erdoğan e Gülen culminata con l’accusa del regime contro il predicatore di aver organizzato il colpo di stato dell’estate scorsa, tornano a galla le prove che sembrano confermare i sospetti della Centin e di Sener. Un video messo in onda da un canale TV vicino al regime nell’autunno 2016 mostra i festeggiamenti riservati a Ogün Samast nel presidio di polizia. Poliziotti e militari dei servizi segreti posavano con lui, colpi sulle spalle e lodi: “Bravo!”, “Leone!“. Un altro video mostra i servizi segreti sul luogo del delitto un giorno prima dell’assassinio. Quegli uomini dovrebbero appartenere al movimento di Gülen, ma ora sono in prigione. Perciò nessuno nell’ambiente vicino a Dink crede che le circostanze in cui avvenne il delitto siano state chiarite . “Per molto tempo tutto ciò è stato tenuto segreto, perché lo rendono pubblico ora?“ Si chiede Yetvart Danzikyan, capo redattore di Agos, in un’ intervista.
Gülen potrebbe essere colpevole dell’omicidio del 2007 – Il regime turco non è interessato a far giustizia sul caso Dink, così sostengono gli osservatori, piuttosto si cerca di strumentalizzare l’incidente e scaricare tutta la responsabilità sul gruppo di Gülen. Mettere di nuovo mano all’attentato del 19 gennaio 2007 potrebbe dar vita a un serio confronto riguardo la storia turco–armena, in particolare al genocidio degli armeni nel ventesimo secolo, afferma il giornalista Danzikyan. Ma Erdoğan non ha nessun interesse che ciò avvenga. Sotto il suo regime le relazioni tra gli armeni e i turchi sono gradualmente migliorate. Dopo le elezioni dell’autunno del 2015, per la prima volta dopo mezzo secolo tre deputati armeni siedono nel Parlamento turco. Il regime ha iniziato a restituire i possedimenti armeni che lo Stato aveva sequestrato, malgrado ciò il tema del genocidio resta un tabù sul quale nessuno osa tornare. Quando all’inizio del giugno passato il Parlamento tedesco ha designato i delitti contro gli armeni come genocidio, il governo turco in segno di protesta ha ritirato da Berlino i suoi ambasciatori . “I nostri fratelli d’armi ci hanno pugnalato alle spalle“ ha scritto il giornale pro regime Sabah. Garo Paylan, politico dell’opposizione, è stato travolto dalle grida in Parlamento quando ha usato parlare di genocidio riferendosi agli armeni, “Caro collega corregga le sue parole – l’ha interrotto il presidente della seduta – non s’è trattato di nessun genocidio“. In seguito il Parlamento, con una maggioranza straordinaria, ha escluso Paylan da tre sedute e il suo discorso è stato cancellato.
traduzione di Fawzia Calvaresi – Invictapalestina.org
Fonte: http://www.spiegel.de/einestages/tuerkei-die-ermordung-des-journalisten-hrant-dink-2007-a-1130340.html