Copertina: Soldati israeliani nella città vecchia di Gerusalemme.
Gli specialisti credono che il genocidio della popolazione palestinese sia un “laboratorio” per l’esportazione militare d’Israele
Júlia Dolce e Victor Labaki, Brasil de Fato e Revista Fórum, 03 de Fevereiro de 2017 às 17:13
Una targa metallica con il ritratto di un ragazzo magro decora l’ingresso del campo profughi di Aida a Betlemme, Cisgiordania. Un testo corto spiega, in inglese ed arabo, che il ragazzo snello era Aboud Shadi diminutivo di Abed Al-Rahman Shadi Obeidallah.
E’ stato assassinato da un soldato israeliano 15 ottobre 2015, esattamente in quel luogo, quando aveva tredici anni mentre parlava con gli amici.
Secondo quanto raccontato da vari testimoni, Aboud era fermo quando il cecchino sparò al muro che divide i territori occupati dagli israeliani, colpendo il ragazzino al cuore.
Fu portato all’ospedale, ma non ce l’ha fece. L’uccisione è avvenuta senza motivo, le stesse forze militari israeliane hanno confermato che si è trattato di un “un errore”, ma il soldato responsabile è rimasto impunito.
Nella targa alla memoria di Aboud c’è scritto “La mia anima continuerà qui per perseguire i miei assassini e motivare i miei compagni di classe. Io mi chiedo quando la comunità internazionale porterà giustizia ai bambini palestinesi”
Con gli occhi umidi e la voce bassa, Shadi Obeidallah, il padre di Aboud riferisce che passa ogni giorno davanti alla targa che è stata già danneggiata da altri colpi e presenta vari buchi. Sembra che lui mi chieda perché non l’abbia protetto dall’occupazione e la ragione della sua morte.
La presenza di About è costante nella vita del padre
“Lo penso tutti i giorni. Apparecchiamo per lui nell’ora di pranzo.Ogni giorno quando torno a casa del lavoro, e faccio il caffè, parlo col suo ritratto. È il momento del giorno che preferisco. L’anno scorso Shadi ha incontrato il segretario dell’ONU, Ban Ki-Moon, a Ramallah e gli ha chiesto cosa potrebbe fare per i bambini palestinesi assassinati. Non ha risposto, poi chiusa l’intervista, mi disse “Non è facile parlare di questo argomento”.
Quello che Shadi probabilmente non sa, è che, una settimana prima dell’omicidio di suo figlio, il Comitato dei Diritti dei Bambini dell’ONU ha pubblicato un rapporto che accusa la polizia militare brasiliana di uccidere i bambini di strada con lo scopo di “ripulire la città” prima dei Giochi Olimpici del 2016. A giugno dello stesso anno l’UNICEF ha pubblicato un rapporto dichiarando che 28 minori al giorno venivano quotidianamente uccisi in Brasile, una numero maggiore che nelle zone di guerra.
Il laboratorio
La connessione tra questi dati e la morte di Aboud sarebbe solo una coincidenza se non fosse per il fatto che sia l’addestramento sia il rinnovamento bellico della Polizia Militare e dell’esercito brasiliano per la gestione dei grandi eventi sportivi tra il 2014 e il 2016 è stato importato dalle Forze Armate israeliane.
Secondo gli specialisti del settore, il Brasile è uno dei maggiori clienti dell’industria israeliana degli armamenti. Materiale pubblicato sul giornale Folha de S. Paulo nel gennaio di quest’anno, mostra che l’Esercito brasiliano ha concluso un accordo di 6,3 miliardi di Reales con società israeliane per l’acquisto di mezzi blindati nei prossimo anni. Una delle ditte fornitrici, la Elbit, è accusata di aver costruito droni che hanno ucciso ben 164 bambini palestinesi, nell’offensiva del 2014, secondo i dati dell’ONG DCI (Defense for Children International Palestine)
In accordo con le informazioni pervenute dall’organizzazione Who Profits, centro di ricerca e monitoraggio delle relazioni commerciali che coinvolgono compagnie israeliane, Elbit è stata una delle prime compagnie ad entrare nel mercato brasiliano di questo settore. L’organizzazione ha rilevato altre imprese operanti in Brasile, come Afcon Holdings, che sviluppa i sistemi di controllo presenti nei checkpoints in Cisgiordania; Carmor, specializzata in veicoli militari; e Contact International, che produce attrezzature militari.
Secondo l’antropologo e scrittore israeliano Jeff Halper, le relazioni economiche e belliche tra Brasile e Israele sono molto significative.
Il Brasile è un grande cliente. (…) L’industria israeliana non riguarda solo l’aspetto militare ma anche la sicurezza e il pattugliamento. A Rio de Janeiro e in altre città è presente la polizia per la pacificazione delle favelas che viene addestrata da israeliani con armi israeliane. Per Hapler che è stato indicato per il Nobel per la pace per lo spettacolo “in favore della liberazione dei Palestinesi”, l’importanza che lo stato d’Israele ha assunto nel contesto internazionale è dovuta precisamente all’esportazione “dell’intelligence militare”. Israele è presente in tutti i Paesi non solo nel senso militare ma anche in termini di addestramento, esportazione di armi, unità di operazioni speciali, e sicurezza presidenziale. Più presente degli stessi Stai Uniti (…), proprio per l’aiuto per la sicurezza, la polizia e le carceri.
Nell’opinione dello scrittore è proprio questo ruolo internazionale che lo salva da condanne giudiziarie.
“In questo modo Israele sfugge dalle accuse di occupare territori da oltre 50 anni, dai crimini di guerra commessi e dalle dozzine di violazioni delle risoluzioni ONU. Nonostante tutto ciò lo status internazionale di Israele è positivo. L’unica spiegazione per questo è appunto la politica di sicurezza di Israele, un minuscolo paese che trasforma la sicurezza militare in potere politico. (…) In un paese come il Brasile, con tutte le sue diseguaglianze, Israele fornisce tutto il sistema di sicurezza e sorveglianza per controllare la popolazione. Controllo sulla popolazione già in uso da 70 anni. Noi siamo un laboratorio, controlliamo i Palestinesi e questo è quello che ci differenzia nel mercato: milioni di Palestinesi vanno ai checkpoints quotidianamente”, analizza.
L’espressione “laboratorio” è usato da molti attivisti per descrivere la relazione militare di Israele coi territori palestinesi. Il documentario “Il Laboratorio”, del regista Yotam Feldman esplora precisamente la relazione e l’importanza per la legittimazione dell’industria bellica israeliana. Nel film, il Brasile è menzionato come un grande partner commerciale d’Israele, alcune scene mostrano carri armati e armi israeliani utilizzati in operazioni nel “Complesso tedesco” di Rio de Janeiro, favela conosciuta come la “Striscia di Gaza carioca”.
L’attivista israeliana e studentessa di pedagogia Sahar Vardi è una leader del movimento contro la militarizzazione e l’occupazione israeliana in Palestina. In stato di arresto da due mesi per il rifiuto del servizio militare obbligatorio, Sahar crede che l’uso della tecnologia militare in Palestina è “in definitiva ciò che fa la differenza nel mercato. Noi esportiamo in più di 130 paesi, non c’è dubbio che l’esportazione del sistema militarizzato di Israele è un fenomeno mondiale. L’occupazione non è un bisogno per l’industria militare, né viceversa, dato che questa industria cominciò nel 1970 e già c’era l’occupazione. Senza ombra di dubbio ci sono anche interessi economici nel mantenerla.”
Secondo Sahar, nel 2013 il governo brasiliano destinò 1,13% del prodotto interno lordo (GDP) del paese per “modernizzare le forze armate con attrezzature israeliane”.
Tra le altre spicca la compagnia israeliana International Security & Defense Systems (ISDS) che addestra la polizia brasiliana in servizio nelle favelas. Nella homepage del sito della compagnia appare il logo in quanto “fornitore ufficiale dei giochi olimpici Rio 2016” Alla fine della pagina, la connessione con Israele è sottolineata. “ISDS è una società registrata e certificata dal Ministro della Difesa d’Israele ed opera in accordo con le loro regolamentazioni ed orientamenti.”
(ndt. Il contratto annunciato con enfasi è poi saltato per le pressioni del movimento BDS)
Militarizzazione
Nel belvedere all’uscita del Museo dell’Olocausto, Yad Vashem a Gerusalemme, Yahav Zohar, ex guida del museo, indica la vista di un insediamento israeliano. Spiega, sottovoce, che in passato c’era una città palestinese in quel luogo, distrutta durante la Nakba nel 1948. Pieno di immagini molto forti sulle conseguenze del nazismo, lo scopo del museo – esemplificato anche nell’architettura – è quella di celebrare la conquista di Israele come una sorta di redenzione per gli ebrei.
Yahav che ha servito l’esercito come la maggior parte della popolazione ebrea d’Israele, ha inoltrato domanda di dimissioni dal lavoro nel museo perché lì non può criticare l’occupazione israeliana della Palestina. Per lo stesso motivo un suo amico, anche lui guida, è stato incarcerato. Tra i vari gruppi di soldati che visitano il museo come parte obbligatoria del servizio, Yahav mantiene un tono di voce discreto e sembra cercare di allontanare cattive memorie.
“Esistono similitudini tra l’olocausto e quello che stiamo facendo qui con i Palestinesi. Il problema è che noi consideriamo l’olocausto l’unica tragedia dell’umanità, quando non è più importante o orribile della schiavitù nell’America intera, per esempio.
Noi dobbiamo smettere di credere di essere sempre in pericolo. Se Lei si sforza a ricordare una parte della storia e sopprimere l’altra parte, Lei perde il suo argomento”.
Educazione
La visita al Museo Yad Vashem viene effettuata almeno tre volte nella vita di ogni israeliano. e prima di far parte dell’esercito, cominciano I’indottrinamento da piccoli, nella scuola primaria e media. Per Nurit Peled , professoressa dell’Università Ebraica di Gerusalemme, attivista e studiosa del modo in cui i Palestinesi vengono trattati nel sistema di istruzione israeliano, l’istruzione militare è una delle sfaccettature principali del Sionismo corrente. Loro attuano processi di sicurezza nella scuola a partire dai tre anni, i soldati vanno negli asili e danno loro tutti i tipi di informazione. Loro sono modelli, la più grande aspirazione di ogni giovane è quello di essere un soldato, siano essi di destra o di sinistra. Il più grande desiderio dei genitori è che i figli siano soldati. Loro sono stati indottrinati allo stesso modo “, spiega.
Alcune feste israeliane, secondo lei, mostrano che la militarizzazione è nella cultura della società. “Studiano molto sul giorno dell’Indipendenza o sul giorno in onore dei soldati o sul giorno dell’Olocausto. Festeggiano le uccisioni degli arabi. Tutto è relativo alla morte. L’immagine che la militarizzazione ci salverà da un altro olocausto è molto forte. É molto difficile per un giovane ribellarsi a tutto ciò, il numero di persone che rifiutano l’esercito, ad esempio, è praticamente inesistente”.
Video tradotto e sottotitolato recentemente da Invictapalestina.
La storia del rifiuto di Sahar al servizio obbligatorio, anche per lei è un’eccezione. “Ognuno di noi [amici che hanno rifiutato l’arruolamento] è stato imprigionato per circa una settimana o un mese. Poi siamo stati mandati indietro alla base militare a continuare il nostro ‘servizio’. Poi di nuovo abbiamo rifiutato e di nuovo siamo stati condannati. Questa procedura si è ripetuta più volte. Si tratta di un procedura molto dura, a volte mi chiedevo perché lo stessi facendo. L’effetto psicologico delle carceri è molto grande “.
Per l’attivista, la militarizzazione della società israeliana influenza molti aspetti sociali.
Ci portiamo armi per tutto il tempo in tutti i luoghi, dato che i soldati possono portare le armi a casa durante il fine settimana, portarle in vacanze e sui mezzi pubblici. Ma si va oltre. Abbiamo incorporato il linguaggio militare nella nostra comunicazione quotidiana ed è completamente interiorizzato. Il modo in cui si studia la storia è molto concentrato sul nazionalismo e l’esercito. In pubblicità e spot pubblicitari, ci sono sempre dei soldati, così vengono idealizzati, sono un modello. La militarizzazione e la paura sono in realtà in tutti gli aspetti della società”.
Dal punto di vista del colono israelo-americano Bob Lang, rappresentante dell’insediamento Efrat e difensore della occupazione militare della Palestina, gli israeliani non vivono nella paura costante. “Per me, la militarizzazione è normale. É naturale vedere i soldati con le pistole in strada ed che i bambini debbano essere controllati nelle scuole non è buono o cattivo, è solo il modo in cui le cose sono. Mi piacerebbe evidentemente che non ci fosse bisogno delle forze Armate ed io aspetto il giorno in cui accadra. (.) Io non vivo con paura qui, non più. Ho più paura per mia figlia in viaggio per il Sud America che servire l’esercito in Israele “, ha detto.
Lo stesso non si può dire di Shadi Obeidallah, padre di Aboud. Alla domanda sui sogni e gusti del bambino, ha detto: “Sognava, come qualsiasi altro palestinese della sua età di poter giocare in modo sicuro. Ha trascorso tutta la sua vita nel campo di Aida, ma i soldati non lo lasciavano giocare. Se vedevano i bambini giocare, lanciavano lacrimogeni e sparavano proiettili di gomma. Come ogni ragazzo, voleva solo giocare senza sentirsi in pericolo “.
Traduzione: Fiorella Socci – Invictapalestina.org
Fonte: https://www.brasildefato.com.br/2017/02/03/brasil-e-um-dos-principais-compradores-de-tecnologia-e-treinamento-militar-israelense/
L’ha ribloggato su Arte&Culturae ha commentato:
Situazioni politico-militari di cui si parla pochissimo, anzi, non si conoscono proprio.