di Marie-Josè Hoyet
Ben introdotto e tradotto dall’arabo dal giovane studioso Alessandro Isopi, Il paese del mare (primo romanzo apparso in italiano dello scrittore Amhad Rafiq Awad, coniuga la vena fantastica dei racconti tradizionali arabi con la memoria della sua terra, dalle crociate in poi, intessendo una narrazione densa che dà voce a personaggi storici come a umili palestinesi, a destini epici collettivi come a dolenti vicende individuali sempre strettamente intrecciati.
Con il narratore-personaggio («Io sono Ahmad Ibn Masud al-Shamisiyye, generato da un padre mutante e da una madre sognatrice, discendente da quel poeta amante, sognatore e estremista che fu cacciato da Cesarea, fuggì da Damasco e andò a vivere ad Aleppo … Non sono riuscito a fare come lui… Non fui in grado di andarmene dalla Palestina» ), guidato dal cavaliere alato, Abulfida (storico siriano che prese parte alla riconquista musulmana di San Giovanni d’Acri nel 1291), voliamo tuttavia anche noi, avanti e indietro, attraverso lo spazio e il tempo come in un sogno.
Se per i secoli XI-XIII, lo scontro-incontro cristiani-musulmani riecheggia talvolta Le crociate viste dagli arabi (Sei, 2007) del libanese Maalouf, il testo di Awad, va oltre, fino a oggi, seguendo vie ben diverse. Innanzitutto perché il testo è pervaso da un ricco immaginario in cui la parola chiave è il sogno; sogno che autorizza tutte le metamorfosi, in particolare del popolo umano in creature animali e che, con il pianto, divenuto canto ora sommesso ora accorato, scandisce la narrazione. Storia di somma umiliazione, con dovizia di esempi («Spingere la gente ad immedesimarsi nelle bestie è una parte del pensiero e della linea di condotta dell’occupazione»), a cui gli abitanti dei Territori occupati reagiscono ognuno a modo proprio.
Fra i tanti, tre casi significativi:
il padre, identificandosi con la nobile e fiera istrice, «simile a noi… nella sua maestà, eleganza e enigmaticità», le cui vicende danno luogo a pagine di grande ispirazione poetica e ribaltano il discorso dell’avversario, ossia «l’idea della nostra trasformazione in animali, diventata uno dei divertimenti dei soldati israeliani»;
i quattro anziani che parlando, «stendevano la Palestina davanti a loro, ci camminavano sopra, la dominavano»;
l’introverso e mite fratello minore di Ahmad che, lasciando «tutti di stucco» si fa esplodere al check point che ha rovinato la sua vita di coltivatore. Le varie storie, con la loro carica avventurosa d’impronta magica mettono in risalto, un po’ come La stagione della migrazione a Nord del sudanese Tayeb Salih (Sellerio, 1992), ritenuto da Edward Said fra i maggiori romanzi arabi di sempre, il ricco mondo interiore dei personaggi e la necessità di raccontarlo.
Ancora una volta una splendida e terribile finzione ci dà il vero polso di una situazione, facendoci intuire quanto lungo sarà il cammino prima di abbattere le barriere che accerchiano la vita di un popolo, un popolo che sta sognando il «corpo splendente» del mare. Piangendo e sognando una Palestina perduta che chiede disperatamente di essere ritrovata. Nena News
Fonte: Le Monde Diplomatique
Ahmad Rafiq Awad: “La natura è il libro dei palestinesi”
Il paese del mare è un libro estremamente poetico, ma dal respiro onirico: in esso il protagonista, il giovane Ahmad Ibn Masud, ripercorre nei suoi sogni, mentre dovrebbe sorvegliare i campi paterni, la storia della Palestina accompagnato da un personaggio storico eccezionale: il condottiero e poeta Abulfida, che fu re di Hama e partecipò all’assedio di Acri che si concluse con la riconquista della città ai crociati. Nel sogno Abulfida si presenta sotto le sembianze di un enorme Rukh, un uccello mitologico, che afferrando con gli artigli il giovane Ahmad, lo trasporta tra le epoche storiche della Palestina, facendogli incontrare personaggi storici realmente esistiti e facendolo assistere a battaglie ed assedi. Con lui, Ahmad discute e si interroga sul futuro della Palestina e dei palestinesi oggi, assediati in ogni luogo da coloni, checkpoints e militari che hanno stravolto completamente la geografia del paesaggio palestinese.
Il libro contiene anche una critica molto forte, e forse esasperata, nei confronti dell’Occidente, identificato come un monolite dalla stessa mentalità, che dovrebbe assumersi la responsabilità di fare pressioni su Israele affinchè tratti un accordo di pace con i palestinesi. Senza le pressioni occidentali, è convinto l’autore, Israele non tratterà mai.
L’impianto onirico, il passaggio continuo tra sogno e realtà, il personaggio di Abulfida e l’ambientazione storica mi hanno ricordato il capolavoro di Raymond Queneau, I fiori blu, in cui la realtà del protagonista si fonde inestricabilmente con il sogno, creando un quadro in cui è quasi impossibile capire se a sognare sia l’incorreggibile Duca d’Auge o il vecchio Cidrolin, emblema della staticità dell’uomo moderno.
Il romanzo è pervaso da un sentimento di nostalgia e malinconia davvero struggenti.
Fonte: editoriaraba
Approfondimento: Intervista di Simonetta Lambertini a Wasim Dahmash Edizioni Q
Ahmad Rafiq Awad è nato nel 1960 a Ya’bad una cittadina nei pressi di Jenin, da una famiglia di profughi provenienti dalla regione di Cesarea. Vive a Ramallah e insegna presso la facoltà di Scienze Politiche dell’università al-Quds dì Gerusalemme. Saggista ed editore, è autore di opere teatrali e numerosi romanzi apprezzati in tutto il mondo arabo.