Libere disobbedienti innamorate

 10 Aprile 2017

aggiornamenti: ore 14, 11 aprile/ore 15,20 11aprile/15,48 11 Aprile/10.00 12 aprile

Dal 6 aprile la critica cinematografica sta lanciando con grande enfasi il film “Libere disobbedienti innamorate” di Maysaloun Hamoud. Qualcuno osa parlarne  come del “riscatto del cinema arabo”, mentre Marzia Gandolfi titola la sua recensione:
TUTTA LA POTENZA SOVVERSIVA DELLA DONNA NEL RITRATTO DI UNA GENERAZIONE DISORIENTATA, ALLA RICERCA DI LIBERTÀ, GELOSA DELLA PROPRIA IDENTITÀ.

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Il film   “vede protagoniste tre giovani donne arabe che vivono a Tel Aviv, la più liberal delle città israeliane, in modo ben diverso da come potremmo immaginarcelo.”
Finanziata da Israele, la regista Hamoud non ha avuto alcuna remora: “Sì, lo Stato mi ha dato del denaro perché merito di fare film e considerato che a questo Stato pago le fottute tasse” ha dichiarato in un’intervista. “Non provo alcuna vergogna e dico che meriterei di più. Avrei accettato denaro da altre fonti per evitare un boicottaggio, ma nessuno si è fatto avanti. Così l’ho preso dallo Stato e il film verrà proiettato come opera israelo-francese, benché sia fondamentalmente arabo-palestinese”.
La storia si svolge nel quartiere yemenita di Manshiyya, con tre protagoniste che arrivano a Tel Aviv da cittadine diverse per condividere la stessa stanza: Layla  da Nazareth, Salma da Tarshiha, Nour da Umm al-Fahm.
Mentre la storia  delle tre donne, casualmente, come la critica sottolinea, potrebbe svolgersi in qualsiasi parte del mondo, non è altrettanto casuale la scelta delle protagoniste. La regista sceglie per il suo film tre figure precise, tre donne arabo-palestinesi che come tanti “giovani occidentali” sono dedite all’alcol, agli spinelli, alla cocaina.
La  scelta delle protagoniste si concentra su  tre donne con compagni “maschilisti” e famiglie fanatiche/tradizionaliste. Potremmo dire con sarcasmo: esattamente un campione delle famiglie medie palestinesi con cittadinanza israeliana.
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Nour, devota e velata, è promessa a Wissam fanatico religioso che la stupra durante una visita.
Leila, la sex symbol, è un avvocato penalista che passa le sue notti tra night e sbornie.
Salma è una barista dj lesbica, con abbigliamento casual, piercing  e maglietta con Leila Khaled. A causa della sua storia sentimentale  è costretta a scappare dalla famiglia conservatrice dopo essere stata presa a sberle dal padre che minaccia di chiuderla in manicomio “per guarirla dalla sua malattia.”
Nessun riferimento alla vita reale della città e alla politica oscurantista del governo israeliano. Non si intravede l’occupazione,  la militarizzazione della città, le associazioni che scendono in piazza per denunciare demolizioni e abusi quotidiani, l’apartheid che discrimina gli arabi palestinesi dagli stessi cittadini ebrei che vivono a Tel Aviv.
Solo un piccolo episodio di ribellione al divieto di parlare arabo nella cucina di un ristorante che si risolve con le dimissioni volontarie di  Salma e la sua assunzione in un altro locale della “cosmopolita” Tel Aviv.
Nessun riferimento nel film alle donne ebree israeliane che vivono situazioni terribili di sottomissione, un esempio eclatante quello dell’ Ikea che ha dovuto ristampare i suoi cataloghi togliendo qualsiasi immagine femminile per allargare il mercato ed includere i clienti ebrei ultraortodossi.
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Durante i suoi 96 minuti il film, come le recensioni, cede alla più completa normalizzazione dell’occupazione e del colonialismo.
Lo si potrebbe anche guardare senza necessariamente collocarlo in una cornice  politica o in un contesto di lotta di liberazione palestinese, quindi senza il “pregiudizio” militante, ma anche così la trama rimane fuorviante, perché alla fine una situazione generazionale diffusa  diventa solo stereotipo delle famiglie arabe. L’invito è quello a costruire “il perimetro della propria identità” seguendo i suggerimenti della civiltà occidentale, abbandonando qualsiasi altra passione collettiva e rinunciando a qualsiasi forma di lotta e resistenza.
Salma, la più politicizzata che si dichiara comunista, parte  verso Berlino abbandonando persino la sua terra.
Una riflessione a cuore aperto sull’indipendenza che parte in qualche modo da questa semplice domanda: cosa fanno tre ragazze arabe a Tel Aviv? Fanno quello che farebbero tutte le ragazze del mondo: cercano di costruire il perimetro dentro cui affermare la propria identità. Amano, ridono, piangono, inseguono desideri, s'inciampano, si rialzano. Amano e ridono ancora, magari bevendo, fumando canne e ballando, in attesa dell'alba...


http://www.tgcom24.mediaset.it/spettacolo/supercinema/-libere-disobbedienti-innamorate-tre-donne-a-tel-aviv-citta-dei-contrasti_3064789-201702a.shtml
In un paese dove la cultura è asservita all’immagine dello stato è difficile immaginare un finanziamento pubblico per un film imparziale oppure “specchiato” con protagoniste 3 donne ebree israeliane nello stesso ruolo delle tre ragazze palestinesi, con compagni fondamentalisti e con famiglie razziste xenofobe alle spalle.
Sicuramente una scena analoga a quella dello stupro di Nour con protagonista un rabbino fanatico sarebbe stata indicata come manifestazione di palese antisemitismo, d’altra parte un film finanziato da uno stato sionista non può che esaltare il predominio della “propria civiltà” sull’arretratezza culturale delle popolazioni indigene da colonizzare.
"Anche alcuni commentatori arabi-israeliani liberali, come l'editorialista popolare Sayed Kashua, hanno sostenuto che il film rafforza gli stereotipi negativi, in particolare con la figura di  Wissam, il fidanzato musulmano. La Blogger Samah Salaime ha detto che la scena violenta che coinvolge l'uomo musulmano e la sua fidanzata Nour è "materiale succoso per l'islamofobia," anche se lei nota che  il film include un modello di ruolo maschile positivo nel padre di Nour." 

http://bigstory.ap.org/article/ce24dd64c9bf4a3ab97214d8d4c47f6a/israels-arabs-divided-films-portrayal-changing-world

Il pensiero di Anna Pascuzzo.

Schermata 2017-04-12 alle 22.25.13Asservite, docili e più che innamorate mi verrebbe da dire “illuse”, sono queste, a mio avviso, le peculiarità identificative di Leila, Salma e Noor, le tre donne protagoniste del film di Maysaloun Hamoud.
Bar Bahr è il titolo originale, in arabo tra terra e mare, in ebraico né qui né altrove, tradotto malamente in italiano “Libere disobbedienti e innamorate”.
Si tratta dell’opera prima di Maysaloun Hamoud, regista nata in Ungheria nel 1982.
Hanno meno di 35 anni la regista e le sue tre “donne arabe” rappresentate non come “ribelli”, ma come il “demonio” in un mondo che o si scandalizza per tutto o non si scandalizza affatto.
Francamente non mi fa nessun effetto vedere una donna fumare o fare uso di sostanze stupefacenti e francamente, lo ripeto, non credo che sia più un “tratto” emancipativo nella narrazione cinematografica (o di quella editoriale in genere) rappresentare le donne con in mano una canna o “stupefatte” da altro. Così come non è più emblematico nell’ambito cinematografico l’inclinazione omosessuale di donne o uomini che siano, non lo è in occidente e figuriamoci nella “multi…tutto” Tel Aviv.Aria fritta dunque, specie se la si vuole appiccicare a tutti i costi ad un mondo che la regista sembra non conoscere abbastanza. Parlo del mondo arabo, mi riferisco alle donne arabe che, in secoli di storia, hanno dimostrato con ben altri metodi il loro modo di essere ribelli, altro che canne, droga e discoteche.Se si intendeva rappresentare un’intera generazione di giovani donne, il tentativo è fallito, se l’intento era quello di rappresentare le giovani arabe, ebbene, il tentativo è doppiamente fallito e se l’intenzione era invece quella di parlare di emancipazione femminile, beh, allora la regista deve studiare ancora tanto e soprattutto è evidente che non abbia capito nulla di cosa sia stato e di cosa ancora sia il “Femminismo” nel mondo (sia esso occidentale o arabo!).Per tornare al film, dal quale comunque non mi sono mai scostata, rilevo oltre al già detto, alcune note particolarmente “stonate” che hanno a che fare proprio con la scelta delle attrici: Noor, l’araba velata osservante è scelta in evidente sovrappeso

(a lei tocca finanche lo stupro, tanto per restare intrappolati nello stereotipo “musulmano/arretrato/troglodita” da contrapporre “all’occidentale/laico/evoluto” che rispetta le donne tanto da ammazzarne una ogni due giorni nella sola civilissima Italia!)
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Poi c’è Leila, snella, alta, bellona e brillante avvocato penalista che preferisce la singletudine al fidanzato ottuso e conservatore e infine Salma, DJ stigmatizzata dalla famiglia cristiana per la sua omosessualità.Beh, credo che a stereotipi non la batta nessuno, la nostra regista Maysaloun Hamoud classe 1982 ha davvero superato ogni aspettativa.
Una cosa è certa, ciascuno è libero di scrivere e dirigere il film che crede, il cinema è cinema e nessuno deve censurarlo, ma ogni film ha un suo tratto, una sua specificità, un suo titolo, una sua narrazione, ingannare il pubblico parlando di libertà, disobbedienza e amore credo però sia peggio della censura, credo sia una “menzogna”.

Anna Pascuzzo scrittrice/giornalista

Importante

Qualcuno riesce a spiegare come mai nel titolo dell’articolo il film è presentato come  “miglior risultato del fine settimana”, persino battendo i Puffi ma poi nella classifica proposta non compare e in quella nazionale è al 18 posto(*)?

A Bologna, a Firenze e a Torino è stato il miglior risultato del fine settimana battendo I Puffi: Viaggio nella foresta segreta e La Bella e la Bestia. Un segno (l'ennesimo?) che forse sarebbe il caso di dare fiducia a film di qualità, magari con una programmazione assennata, invece che mandare i film al macello?
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(* giustificato sicuramente dalla scarsa presenza nelle sale)

NB. Queste brevi note sono solo un anticipo su un articolo più dettagliato che stiamo preparando.

2 risposte a “Libere disobbedienti innamorate”

  1. l ho visto ma non sono cosi critica . uno spaccato femminile a Tel Aviv ma che poteva essere anche Milano Berlino o Londra. E la figura femminile piu ribelle e positiva e’ proprio la ragazza mussulmana.
    Non e’ un film contro l occupazione israeliana. Bella l amicizia e la complicita’ fra le tre ragazze palestinesi di diversa cultura contro il maschile prepotente.

  2. Riceviamo e pubblichiamo il Commento di Anna Pascuzzo – Catanzaro.

    Asservite, docili e più che innamorate mi verrebbe da dire “illuse”, sono queste, a mio avviso, le peculiarità identificative di Leila, Salma e Noor, le tre donne protagoniste del film di Maysaloun Hamoud.
    Bar Bahr è il titolo originale, in arabo tra terra e mare, in ebraico né qui né altrove, tradotto malamente in italiano “Libere disobbedienti e innamorate”.
    Si tratta dell’opera prima di Maysaloun Hamoud, regista nata in Ungheria nel 1982.
    Hanno meno di 35 anni la regista e le sue tre “donne arabe” rappresentate non come “ribelli”, ma come il “demonio” in un mondo che o si scandalizza per tutto o non si scandalizza affatto.
    Francamente non mi fa nessun effetto vedere una donna fumare o fare uso di sostanze stupefacenti e francamente, lo ripeto, non credo che sia più un “tratto” emancipativo nella narrazione cinematografica (o di quella editoriale in genere) rappresentare le donne con in mano una canna o “stupefatte” da altro. Così come non è più emblematico nell’ambito cinematografico l’inclinazione omosessuale di donne o uomini che siano, non lo è in occidente e figuriamoci nella “multi…tutto” Tel Aviv.

    Aria fritta dunque, specie se la si vuole appiccicare a tutti i costi ad un mondo che la regista sembra non conoscere abbastanza. Parlo del mondo arabo, mi riferisco alle donne arabe che, in secoli di storia, hanno dimostrato con ben altri metodi il loro modo di essere ribelli, altro che canne, droga e discoteche.

    Se si intendeva rappresentare un’intera generazione di giovani donne, il tentativo è fallito, se l’intento era quello di rappresentare le giovani arabe, ebbene, il tentativo è doppiamente fallito e se l’intenzione era invece quella di parlare di emancipazione femminile, beh, allora la regista deve studiare ancora tanto e soprattutto è evidente che non abbia capito nulla di cosa sia stato e di cosa ancora sia il “Femminismo” nel mondo (sia esso occidentale o arabo!).

    Per tornare al film, dal quale comunque non mi sono mai scostata, rilevo oltre al già detto, alcune note particolarmente “stonate” che hanno a che fare proprio con la scelta delle attrici: Noor, l’araba velata osservante è scelta in evidente sovrappeso (a lei tocca finanche lo stupro, tanto per restare intrappolati nello stereotipo “musulmano/arretrato/troglodita” da contrapporre “all’occidentale/laico/evoluto” che rispetta le donne tanto da ammazzarne una ogni due giorni nella sola civilissima Italia !)
    Poi c’è Leila, snella, alta, bellona e brillante avvocato penalista che preferisce la singletudine al fidanzato ottuso e conservatore e infine Salma, DJ stigmatizzata dalla famiglia cristiana per la sua omosessualità.

    Beh, credo che a stereotipi non la batta nessuno, la nostra regista Maysaloun Hamoud classe 1982 ha davvero superato ogni aspettativa.
    Una cosa è certa, ciascuno è libero di scrivere e dirigere il film che crede, il cinema è cinema e nessuno deve censurarlo, ma ogni film ha un suo tratto, una sua specificità, un suo titolo, una sua narrazione, ingannare il pubblico parlando di libertà, disobbedienza e amore credo però sia peggio della censura, credo sia una “menzogna”.

    Anna Pascuzzo

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