Ramy Balawi – Gaza – 1 maggio 2017
trad. Silvia Moresi
Negli ultimi giorni, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è drammaticamente peggiorata, portando praticamente al collasso la popolazione che vive sotto assedio israeliano da ben undici anni.
Le organizzazioni internazionali, tra cui l’Onu, hanno già espresso preoccupazione per le condizioni in cui versano i cittadini gazawi, definendole allarmanti.
Nel suo recente rapporto, la Banca Mondiale ha dichiarato che la mancanza di energia elettrica e di infrastrutture hanno causato una vera propria crisi umanitaria nella Striscia di Gaza.
Anche Gilan Diforn, direttore dell’Ufficio del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Gaza, ha affermato che l’attuale prolungata mancanza di energia elettrica potrebbe provocare gravi conseguenze per la popolazione della Striscia. Diforn ha infatti sottolineato che la vita di uomini, donne e bambini che si trovano negli ospedali è in serio pericolo a causa dei continui tagli alla corrente elettrica e dell’esigua quantità di carburante, insufficiente a far funzionare i generatori di riserva.
Il Ministero della Salute di Gaza ha fatto sapere che, proprio per l’assenza di elettricità, gli ospedali saranno anche costretti a ridurre i loro servizi, determinando così un notevole aumento dei rischi per la salute dei pazienti. Il Ministero ha inoltre ricordato che negli ospedali di Gaza vi è una permanente carenza del 30% delle forniture mediche e dei farmaci.
La crisi energetica, che Gaza vive dal 2006, in questi giorni si è pericolosamente aggravata. A causa del funzionamento di un’unica centrale elettrica, il periodo di erogazione della corrente ai cittadini è passato, infatti, da 8 ore a 4 ore, paralizzando sostanzialmente l’intera vita della popolazione e rendendo problematico l’approvvigionamento idrico. Questa situazione si somma alla già drammatica emergenza idrica della Striscia di Gaza in cui il 96% dell’acqua non è potabile.
L’ente per la Gestione delle Acque ha inoltre comunicato che, a causa dell’insufficienza di carburante utile a far funzionare i macchinari per il trattamento delle acque reflue, i liquami stanno finendo in mare, minacciando la salute della popolazione.
A Gaza, il numero dei cittadini che vivono sotto la soglia povertà ha raggiunto il 70%, la percentuale più alta dall’inizio dell’assedio. L’85% dei gazawi dipende dagli aiuti umanitari delle organizzazioni internazionali, e il tasso di disoccupazione, stimato al 43%, arriva a toccare ormai il 63% tra i giovani.
Questa situazione ha determinato un sostanziale aumento dei disturbi depressivi e dei suicidi tra i ragazzi che, pur avendo spesso alti livelli di istruzione, decidono di emigrare.
Lo scorso marzo, l’Autorità Nazionale Palestinese ha ridotto del 30% gli stipendi dei suoi cinquantamila dipendenti nella Striscia di Gaza che oggi o sono disoccupati o lavorano nel settore pubblico con il movimento di Hamas, che governa la Striscia di Gaza dall’estate del 2007.
La decisione dell’ANP ha come obiettivo mettere sotto pressione Hamas, costringendo il movimento ad accettare la “riconciliazione” e a lasciare il governo di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese. Questa misura però sta portando all’aumento del tasso di povertà nel territorio con un conseguente aggravamento dei problemi sociali ed economici.
Nel 2015, durante la Conferenza sul Commercio e lo Sviluppo, le Nazioni Unite avevano dichiarato che la Striscia di Gaza, in cinque anni, sarebbe potuta diventare un luogo “invivibile”.
Siamo a metà del 2017, e le condizioni di vita a Gaza hanno già raggiunto livelli insostenibili.