RAMALLAH, WEST BANK – Diana Buttu (*) – 26 maggio 2017
L’incontro avvenuto questa settimana tra il presidente Trump e il presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, è stato descritto come un tentativo da parte dell’autore de “L’arte di fare affari” di riprendere il lungo e da tempo stagnante processo di pace portato avanti dagli Stati Uniti. Ma poiché si avvicina il cinquantesimo anniversario dell’inizio dell’occupazione israeliana, ciò che è certo è che questo processo è più che in un semplice stato di stallo. Le negoziazioni sono infatti inutili di fronte alla figura di un governo israeliano intransigente di destra.
Dove può condurre il sostegno del presidente Trump e la politica americana nei confronti dell’autorità palestinese e il presidente Abbas?
Dato il fallimento dei colloqui costruiti in un contesto disastroso che ha favorito fortemente Israele, sempre più palestinesi stanno discutendo a proposito della necessità di una nuova leadership e di una nuova strategia da adottare. Molti adesso dubitano sul fatto che l’Autorità palestinese possa avere un qualche ruolo positivo, essendo divenuta mero strumento sotto il controllo di Israele e della comunità internazionale.
L’autorità palestinese venne stabilita nel 1994, dopo gli accordi di Oslo. Essa avrebbe dovuto rappresentare una forma temporanea di un futuro governo pienamente funzionante da creare una volta stabilito lo status di indipendenza, promesso per il 1999. La giurisdizione dell’Autorità, venne tuttavia sempre limitata, dato che il suo controllo risultava circoscritto al 18 per cento della West Bank (divisa in otto zone), una porzione ridicola rispetto alla vastità del dominio israeliano sui territori occupati della West Bank e della Striscia di Gaza.
Per molti palestinesi, comunque, la creazione di un proprio governo fu la realizzazione di un sogno: finalmente, quelli che avevano vissuto sotto occupazione dal 1967 si sarebbero svincolati dalla repressione del governo militare israeliano, riuscendo ad autogovernarsi.
I palestinesi rivendicarono il proprio diritto a prendere posto nel nuovo corpo politico e cercarono di stabilire istituzioni nonostante gli ostacoli imposti dal comando israeliano. Tuttavia, mentre le negoziazioni continuavano con i trattati di Oslo, i limiti si fecero man mano sempre più stretti.
Dopo più di due decenni, gli accordi non hanno condotto ad alcun progresso, posso attestarne io stessa la futilità: ho seguito per tanti anni la causa, coinvolta dalla parte dei palestinesi.
I delegati palestinesi, che dovevano richiedere permessi per entrare in Israele per partecipare alle trattative, venivano costantemente trattenuti ai checkpoint israeliani. Quando parlavamo di legge internazionale e dell’illegalità delle colonie, i negoziatori israeliani ci ridevano in faccia.
Il potere è tutto, direbbero loro, e voi non lo possedete affatto.
Con il passare del tempo, divenne chiaro come i fondi dell’Autorità e le sue priorità fossero orientati a mantenere i palestinesi nell’oppressione, dato che, in effetti, essa serviva solo come subappaltatore delle milizie israeliane occupanti.
La prevalente attenzione alla sicurezza, ci veniva detto, era necessaria per la continuazione dei colloqui di pace. Oggi, un terzo dei quattro miliardi di dollari che costituiscono i fondi dell’Autorità palestinese (molto più rispetto alle spese per l’educazione e la sanità insieme) finisce nelle tasche della polizia.
Queste forze di polizia non conducono un normale servizio di sicurezza nei confronti dei palestinesi, ma contribuiscono al mantenimento dell’occupazione israeliana e dei sempre più numerosi insediamenti.
La “cooperazione di sicurezza” tra Israele e l’Autorità palestinese, lodata a livello internazionale, ha portato solamente ad arresti e alla carcerazione di palestinesi, inclusi attivisti di diritti umani, mentre invece ai coloni israeliani è permesso terrorizzare i palestinesi nella più totale impunità: l’Autorità palestinese non ha giurisdizione sui coloni e l’esercito israeliano fa spesso finta di niente.
La ragion d’essere dell’Autorità palestinese non è quella di liberare la Palestina ma di mantenere i palestinesi nel silenzio e reprimere il dissenso mentre Israele ruba terre, demolisce case palestinesi e costruisce ed espande i propri insediamenti. Anziché diventare uno stato sovrano, l’Autorità palestinese è diventata uno stato essenzialmente di polizia, una dittatura virtuale, approvata e mantenuta dalla comunità internazionale.
Guardate il suo leader. L’ottantenne Signor Abbas ha controllato l’Autorità per più di 12 anni, governando, senza alcun mandato elettorale, con un decreto presidenziale la maggior parte del tempo. Ha presieduto durante alcuni dei peggiori giorni della storia palestinese, incluso il periodo della disastrosa divisione tra il suo partito Fatah e Hamas, un altro dei principali protagonisti della politica palestinese, e durante i tre devastanti assalti militari Israeliani su Gaza.
Sotto la sua presidenza, il Parlamento palestinese è divenuto moribondo e irrilevante.
Molti palestinesi hanno rifiutato di rispondere alla chiamata della Legge Fondamentale che governa l’Autorità palestinese, decidendo di non votare alle elezioni presidenziali o parlamentari, dato il fallimento di Abbas come figura di sostegno per il suo popolo.
Gli ultimi sondaggi mostrano come la sua popolarità sia più infima che mai, con lo scontento di almeno due terzi dei palestinesi che ne chiedono le dimissioni.
Un ugualmente elevato numero di palestinesi non crede più che le negoziazioni assicureranno loro la libertà.
L’Autorità palestinese istituzionalizza la propria dipendenza da donatori internazionali, trovandosi le mani legate da condizioni politiche. Di conseguenza, anche l’intenzione di denunciare gli insediamenti illegali di Israele alla Corte Criminale Internazionale deve essere valutata di fronte alle ampie ripercussioni economiche che questo atto potrebbe determinare.
Per rimuovere questo cappio che sta soffocando i palestinesi, l’Autorità deve essere sostituita con una assemblea di base in grado di rivedere le decisioni precedenti. Dobbiamo riformare l’intero nostro corpo politico, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che Abbas comanda, per renderlo maggiormente rappresentativo nei confronti del popolo palestinese e dei suoi partiti politici, incluso Hamas.
Quest’ ultimo ha da tempo espresso la sua volontà di voler far parte dell’OLP, aspirazione confermata di recente nell’ atto costitutivo rilasciato in Doha, Qatar. Dato il fallimento dei processi di negoziazione, perché i palestinesi dovrebbero essere ancora costretti a dipendere dall’Autorità palestinese, che ha solamente ostacolato la loro lotta per la giustizia che dura da decenni e ha contribuito a dividerli?
Smantellare l’Autorità non sarà un processo facile e indolore, dal momento che almeno centocinquantamila impiegati dipendono da essa per i loro salari, ma questa è la sola e unica maniera per riottenere la nostra dignità e il nostro diritto decisionale indipendente. Una OLP riformata, con una credibilità restaurata sarà in grado di ottenere i fondi dai palestinesi e dalle nazioni amiche per supportare quelli che vivono sotto occupazione.
Per alcuni, questo potrebbe suonare come la fine del sogno nazionale all’autogoverno. Non lo è. Togliendo di mezzo l’Autorità, i palestinesi possono ancora una volta affrontare l’occupazione israeliana in maniera strategica, al contrario delle sollecitazioni puramente simboliche del presidente Abbas.
Ciò significa supportare le iniziative comunitarie che organizzano proteste di massa non violente e incitano al boicottaggio e alle sanzioni contro Israele, come quelle che contribuirono a porre fine all’apartheid in Sud Africa.
Questa nuova strategia comporta la richiesta di pari diritti tra cittadini all’interno di un singolo stato, qualcosa di infinitamente più giusto e ottenibile rispetto al processo sostenuto dagli americani che pretende che la pace arrivi senza che alcun diritto sia assegnato ai rifugiati palestinesi e ai cittadini palestinesi di Israele.
Già un terzo dei palestinesi dei territori occupati supporta la soluzione di un singolo stato, senza che vi sia un partito politico dominante a sostenerne la causa.
Smantellando l’Autorità palestinese e riformando l’ O.L.P. la reale volontà dei palestinesi sarà ascoltata. Se saranno due stati o uno solo, sarà questa generazione di palestinesi a deciderlo.
(*) Diana Buttu è un avvocato palestinese-canadese specializzato in negoziati, diritto internazionale e diritto internazionale per i diritti umani. All’inizio della sua carriera, Buttu ha lavorato come negoziatore per i negoziati israelo-palestinesi, che è stato l’unico negoziatore femminile durante il suo mandato di cinque anni. Buttu ha fatto parte anche della squadra negoziale palestinese che ha seguito la controversia del muro davanti alla Corte internazionale di giustizia. Frequentemente analizza e commenta la Palestina per i media internazionali.
Trad. Miriam Zatari – Invictapalestina.org
Fonte: https://www.nytimes.com/2017/05/26/opinion/palestinian-authority-mahmoud-abbas.html