Sotto i riflettori in occasione dell’ultimo vertice della CEDEAO, Benjamin Netanyahu ha dispiegato il suo arsenale diplomatico per trovare alleati in Africa occidentale, costringendo il re Mohammed VI ad annullare la sua partecipazione. Cosa cerca Israele nel continente?
Foto – Il primo ministro Benjamin Netanyahu al suo arrivo all’aeroporto di Monrovia, capitale della Liberia. 4 giugno 2017
di Sabrina Myre, Gerusalemme 18 giugno 2017
Il primo ministro israeliano non ha mai nascosto il suo gioco. Sulla pista di Tel Aviv, prima del decollo del suo aereo per Monrovia per il 51° vertice della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO), le intenzioni di Benjamin Netanyahu erano chiare: conquistare appoggi al momento delle votazioni alle Nazioni Unite. “Lo scopo di questo viaggio è quello di sciogliere questo blocco gigante di cinquantaquattro paesi africani che è la base della maggioranza automatica contro Israele”, ha annunciato. Uno dei rari capi di Stato non africani a prendere la parola davanti all’organizzazione ha beneficiato di una vasta tribuna. Quindici paesi, 300 milioni di africani. “Un sogno che si avvera”, si è rallegrato Benjamin Netanyahu, venuto a sedurre i leader africani con promesse di investimento.
Eppure era il Marocco ad essere atteso al vertice (tenutasi il 4 giugno), il primo di Mohammed VI per sostenere la candidatura del regno, sulla buona strada per diventare il 16° paese membro del CEDEAO. Ma Netanyahu gli ha rubato la scena. La sua presenza ha costretto il re ad annullare la propria partecipazione al fine di evitare, secondo la diplomazia marocchina, “ogni sorta di commistione o confusione.” A capo del comitato Al-Quds, che difende il carattere arabo-musulmano di Gerusalemme, “il re non poteva correre il rischio di alienarsi l’opinione pubblica marocchina”, ha detto Ely Karmon, ricercatore presso il centro interdisciplinare di Herzliya a Tel Aviv. Dalla seconda Intifada, nel 2000, il Marocco non intrattiene più alcuna relazione con lo Stato ebraico. Almeno non ufficialmente.
Crossover diplomatico
Ciascuno per la sua parte, i due paesi portano avanti offensive diplomatiche sul continente. Con questa visita ufficiale in Liberia, Israele si avventura in zona d’influenza marocchina. “Non c’è alcun desiderio di competere con il Marocco, perché ogni paese ha competenze diverse”, assicura Ely Karmon. Lo Stato ebraico vende la sua esperienza in materia di agricoltura, sicurezza, gestione delle acque e assistenza sanitaria. “Israele può offrire competenze in alta tecnologia di cui diversi paesi africani hanno bisogno per svilupparsi meglio,” analizza Emmanuel Navon, esperto di relazioni internazionali presso l’Università di Tel Aviv. Attualmente, il mercato africano rappresenta meno del 3% delle esportazioni israeliane, secondo l’Israel Export Institute. “E’ assai insufficiente!” lamenta il suo direttore Ramzi Gabbay, che vorrebbe “sfruttare al massimo i mercati in crescita per esportare la tecnologia israeliana in settori non ancora conquistati dalle potenze presenti in Africa, come la Cina o la Francia”. A dimostrazione di ciò, Benjamin Netanyahu non è arrivato a mani vuote davanti alla CEDEAO. Israele ha in effetti firmato un piano di investimento di un miliardo di dollari in energie rinnovabili, l’equivalente di 9,7 miliardi di dirham, secondo la stampa israeliana. “Si tratta di una strategia per uscire dall’isolamento e guadagnare legittimazione nelle sedi internazionali”, spiega Ely Karmon. Una moneta di scambio contro voti favorevoli alle Nazioni Unite? “Questa non è una condizione per gli investimenti”, ha stemperato il primo ministro, dopo una maratona di incontri con una dozzina di leader presenti al summit. Dei tête-à-tête per riscaldare relazioni troppo a lungo trascurate.
Con l’Africa, Israele ha dovuto ricostruire tutto. Dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973, quasi tutti i paesi africani avevano tagliato i ponti con lo Stato ebraico in solidarietà con i paesi arabi, guidati dall’Egitto. Ci sono voluti dieci anni per vedere rinascere delle prime relazioni diplomatiche, a partire dallo Zaire di Mobutu. Dietro le quinte, Israele non ha mai totalmente perso il segnale radio. L’ex diplomatico israeliano Arye Oded era di stanza in Kenya quando ci fu la rottura dei legami. Senza rappresentanza ufficiale ha continuato il suo lavoro negli uffici dell’ambasciata danese. “Ufficiosamente, il Kenya mi lasciò carta bianca”, ricorda perfettamente l’uomo che vanta decenni di esperienza in Africa orientale. Oggi, solo quattordici paesi africani non intrattengono relazioni con Israele, compreso il Maghreb. Ma questo non ha mai impedito gli scambi commerciali. La prova: le importazioni marocchine da Israele ammontano a quasi 384 milioni di dirham nel 2016, secondo l’Ufficio Centrale di Statistica israeliano. Un vero e proprio segreto di Pulcinella, perché, nonostante le proteste della società civile marocchina contro la normalizzazione con Israele, le considerazioni economiche hanno la precedenza sulla diplomazia.
Il grande ritorno di Israele
Ma il suo grande ritorno, Israele l’ha effettuato l’anno scorso in uno storico tour in quattro paesi dell’Africa orientale. Una première, in trenta anni, per un capo di stato di Israele. Prima tappa in Uganda, in occasione del 40° anniversario del raid di Entebbe, una grande operazione israeliana che permise di liberare un centinaio di ostaggi detenuti su di un aereo dell’Air France dirottato da pirati dell’aria palestinesi e tedeschi. Una scelta altamente simbolica poiché quella missione costò la vita al capo del commando, considerato un eroe in Israele. E questo eroe è … Yonatan Netanyahu, il fratello maggiore di Benjamin. Il Primo Ministro ha colto l’occasione per ribadire l’importanza della lotta contro il terrorismo, al cuore della sua politica africana. Rivolgendosi ai paesi della CEDEAO ai primi di giugno non ha esitato a fare promozione, ancora una volta. Dal tempo del periodo post-coloniale, lo Stato ebraico vende armi, forma unità d’elite e scambia informazioni con i suoi alleati africani. Per Emmanuel Navon, “l’esperienza israeliana in materia di sicurezza ha anche preso valore con l’ascesa di gruppi jihadisti nel Sahel nel corso degli ultimi anni.” Un’occasione per riposizionarsi come un must.
Riuscirà Israele a convincere? Gli esperti ne dubitano. “I paesi africani intrattengono ancora forti legami con i paesi arabi e l’influenza iraniana è in crescita,” sottolinea Emmanuel Navon. Davanti alle Nazioni Unite, i leader dei paesi africani a forte popolazione musulmana esitano a cambiare il loro voto per compiacere lo Stato ebraico, col rischio di provocarne la rabbia. “Non cambieranno nel breve termine l’alleanza, anche se, in fondo, apprezzano Israele,” crede l’ex diplomatico Arye Oded. Dopo aver promosso un voto contro l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel dicembre passato, il Senegal aveva subito la collera di Israele con un richiamo immediato dell’ambasciatore e la cancellazione del programma d’aiuto. Se la crisi è finita ai margini del vertice della CEDEAO, l’occupazione israeliana rimane un peso per lo Stato ebraico. “Alcuni paesi africani possono percepire Israele come un paese di apartheid e colonialista”, osserva il ricercatore Ely Karmon. “Israele ritorna in Africa e l’Africa ritorna in Israele”, ha insistito Benjamin Netanyahu. Negli ultimi anni, decine di dignitari africani sono arrivati in Medio Oriente per incontrarlo. L’offensiva diplomatica israeliana continuerà in ottobre con il primo vertice Israele-Africa che si terrà nel Togo, uno dei migliori amici degli israeliani nel continente. Anche se la lista degli invitati rimane incerta, Israele userà i suoi punti di forza per convincerli che si merita di riprendere il suo posto come Stato osservatore nell’Unione Africana. L’operazione fascino è appena iniziata.
Traduzione Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
Fonte: http://telquel.ma/2017/06/18/cedeao-loperation-seduction-disraël-conquerir-continent_1550966