copertina.: Zaynab al-Salhi tiene una foto di suo figlio Raed, giorni prima che morisse per le ferite riportate. (Foto: Yumna Patel)
di Yumna Patel (*), 5 settembre 2017
Circa un mese dopo che le forze israeliane, durante un raid notturno nel campo profughi di Deheisha, gli hanno sparato addosso per sette volte, Raed al-Salhi, 22 anni, ha ceduto alle ferite ed è morto domenica nell’ospedale Hadassah di Gerusalemme. Sua madre Zaynab ha sentito la notizia seduta in casa sua a Deheisha, in Cisgiordania. Non ha nemmeno avuto la possibilità di dirgli addio.
Le forze israeliane, a fine luglio, avevano avvertito Raed al-Salhi che stavano per venire da lui.
“Hanno chiamato Raed giorni prima che morisse nel raid per arrestarlo e gli hanno detto che ‘ti spareremo davanti a tua madre’,” ha detto a Mondoweiss Khaled di 24 anni, uno dei quattro fratelli maggiori di Raed, nel piccolo salotto della loro casa nel campo nella Cisgiordania meridionale occupata.
Due settimane dopo la chiamata, il 9 agosto 2017, le forze israeliane hanno sparato a Raed nel cortile dietro casa sua alle 4 del mattino mentre dentro sua madre era seduta in soggiorno a pochi metri di distanza.
La chiamata proveniva da ‘Capitan Nidal,’ lo pseudonimo del comandante israeliano responsabile delle operazioni militari nella zona, tristemente noto tra i palestinesi nella comunità per sue presunte minacce contro i giovani del campo.
Dopo la chiamata, che aveva riferito con una certa riluttanza a sua madre, Raed sapeva che era solo questione di tempo prima che i soldati venissero da lui.
E’ successo tutto in pochi minuti, ha detto Khaled a Mondoweiss, mentre racconta gli eventi della notte e Zaynab siede in silenzio, troppo sconvolta per parlare del ricordo della debole voce di suo figlio che, quella notte, piangendo le diceva che stava per morire.
Raed dormiva su un divano in cortile, quella notte, perché aveva ceduto il suo letto a suo fratello Bassam di 28 anni, in visita da Ramallah. Zaynab era sveglia, beveva il tè e chiacchierava con un altro figlio, Muhammad di 26 anni.
“Mio fratello Muhammad ha ricevuto una notifica di Whatsapp che c’erano soldati nel campo, così è andato in cortile a svegliare Raed e a dirgli di entrare”, ha detto Khaled. Qualche secondo dopo che Muhammad era tornato in casa per prendere il suo telefono, la famiglia ha sentito gli spari.
“Raed si era issato sul muro del cortile per vedere dove fossero i soldati e quelli hanno subito aperto il fuoco contro di lui”, ha detto Khaled indicando il vicolo stretto tra il muro del cortile e la casa del vicino dove Raed era caduto, il pavimento imbrattato del sangue schizzato per i proiettili che hanno colpito la parte destra del corpo.
“Non siamo riusciti a vedere nulla”, ha detto Zaynab prendendo una boccata dalla sua sigaretta, “non avevamo idea, non abbiamo ancora idea, in che condizioni si trovasse. Io continuavo soltanto a gridare a Raed, ai vicini, chiedendo se era vivo.”
Mentre nessuno – né l’esercito israeliano né la famiglia di Raed – ha detto esattamente perchè Raed sia stato arrestato e pure non vi è stata accusa di un qualsiasi crimine durante l’arresto in ospedale, la fazione palestinese di sinistra PFLP [Front Popular for Liberation of Palestine], dopo che era stato ferito rivendicò la sua appartenenza al gruppo, appartenenza considerata illegale dal codice militare israeliano.
Il giorno dopo il raid un portavoce dell’esercito israeliano disse alla redazione locale di Ma’an News Agency palestinese che “nel corso di un raid per arrestare due palestinesi, i sospetti hanno tentato di fuggire dalla zona”, a quel punto i soldati dell’esercito israeliano hanno iniziato un inseguimento a piedi dietro ai palestinesi.
“Durante l’inseguimento i soldati hanno aperto il fuoco contro i sospetti, ferendoli. Sono stati medicati sul posto e poi portati in un ospedale per ulteriori cure mediche”,disse il portavoce.
Ma la famiglia di Raed ha raccontato una storia diversa. “Ha solo cercato di vedere dov’erano i soldati, non ha tentato di correre. Avevano circondato completamente il retro della casa, avrebbero potuto facilmente arrestarlo, ma lo volevano uccidere”, ha detto Khaled.
Secondo Khaled, dal momento in cui Raed ricevette il primo colpo a quando le forze israeliane lo arrestarono e trasferirono all’ospedale Hadassah a Gerusalemme, passò quasi un’ora e mezza.
“Lo hanno trascinato per il campo e lasciato steso a terra a dissanguarsi, non lo hanno medicato e neppure provato a portarlo fuori in fretta.”
Una settimana dopo aver sparato a Raed, le forze israeliane fecero di nuovo irruzione nella casa della famiglia e trattennero Bassam.
Dopo il suo ferimento, nel mese in cui Raed era ricoverato in ospedale, Zaynab era andata per chiedere delle condizioni di suo figlio, ricevendo solo poche informazioni da gruppi per i diritti dei prigionieri palestinesi che non avevano potuto visitare Raed.
Secondo Zaynab, che è riuscita a recarsi due volte a Gerusalemme nel tentativo di visitare Raed, era rimasto in coma nel suo letto d’ospedale con due soldati israeliani a guardia della porta della sua stanza 24 ore su 24.
“La prima volta che sono andata, i soldati non mi hanno permesso di entrare in camera e il personale dell’ospedale ha cominciato a urlarmi contro, minacciando di chiamare la polizia”, ha detto Zaynab timidamente, cauta nel rivelare ogni dettaglio dei suoi viaggi per paura di mettere Raed e gli altri suoi figli in maggior pericolo.
“Non importa, mamma”, ha detto Khaled, con una debole risata, “cosa potrebbe accadere di peggio.”
Zaynab ha continuato a descrivere la seconda volta che è andata in ospedale. “Quando i soldati mi hanno detto che non potevo entrare, sono come impazzita e ho cominciato a urlare. Li ho pregati di farmi vedere mio figlio solo per 10 minuti. Avevo bisogno di vedere se era ancora vivo.”
Con sua sorpresa, andando contro gli ordini ricevuti, i soldati la lasciarono entrare nella stanza. Raed era inconsciente, respirava solo attraverso un tubo d’ossigeno inserito in gola.
“Il suo addome era stato aperto, le mani e i piedi gonfi più del doppio della dimensione normale e il suo volto irriconoscibile, scorticato e graffiato per come i soldati lo avevano trascinato attraverso il campo”, ha detto Zaynab scuotendo la testa.
Non poteva essere sicura di quanti interventi fossero stati eseguiti su Raed e, senza la possibilità di parlare con nessun medico, non aveva idea dello stato degli organi interni.
In poche settimane Raed sarebbe morto e solo dopo la sua scomparsa gruppi dei diritti palestinesi hanno riferito che aveva subito diversi interventi chirurgici, poiché i proiettili avevano causato danni agli organi interni, con il fegato colpito più e più volte.
L’incontro fatale di quella notte fra Raed e i soldati fuori di casa sua non era il primo in cui veniva colpito dalle forze israeliane. Nel 2014, era stato colpito con fuoco vivo ad una gamba durante scontri nel villaggio di al-Khader, appena fuori Deheisha. Era stato immediatamente arrestato dalle forze israeliane e aveva trascorso cinque mesi in prigione.
L’esperienza di Raed con forze israeliane per tutta la sua giovinezza e, alla fine, la sua morte sono una narrazione familiare fra giovani e adolescenti palestinesi.
I raid israeliani in città, villaggi e campi profughi palestinesi sono all’ordine del giorno nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est.
In base alle cifre delle Nazioni Unite nel 2017 le forze israeliane hanno condotto mediamente 85 raid di ricerca e detenzione ogni due settimane.
A causa della natura tipicamente aggressiva delle incursioni, spesso scoppiano scontri con le forze israeliane che fanno uso di munizioni, pallottole di acciaio ricoperte di gomma e gas lacrimogeni in quelle che l’esercito israeliano descrive abitualmente come “misure di controllo della folla”, contro giovani che lanciano pietre contro i soldati invasori.
Gruppi per i diritti condannano regolarmente le autorità israeliane per il loro eccessivo uso della forza contro i palestinesi, in particolare nei campi profughi, in occasioni che non meritano una risposta violenta.
Negli ultimi mesi il campo Deheisha ha visto innumerevoli residenti feriti con proiettili veri durante le incursioni.
In giugno Ma’an News Agency ha riportato che a Deheisha, in una notte, “almeno otto palestinesi sono stati feriti, sei di loro sono stati colpiti alle gambe, uno un paramedico in servizio il cui fratello è stato arrestato, e un giovane è stato investito da un veicolo militare israeliano.”
La mira di giovani palestinesi con fuoco vivo, in particolare a gambe e ginocchia, è ben documentata. Nell’agosto del 2016, l’ONG Badil di Betlemme documentò l’intento deliberato dell’esercito israeliano di mirare a giovani palestinesi con fuoco vivo, sottolineando che “le ferite ingiustificate sono state accompagnate da minacce del comandante israeliano responsabile di quella zona, noto come ‘Capitan Nidal'”.
Capitan Nidal è un nome familiare non solo a Deheisha, ma anche nei campi profughi Aida e al-Azza a Betlemme, dove i palestinesi raccontano storie del capitano che minaccia i giovani nei campi durante e dopo le incursioni e durante gli interrogatori e gli arresti.
“Chiedete a chiunque”, ha detto Khaled con un senso di urgenza “se non è stato minacciato da Capitan Nidal personalmente o non ha minacciato qualcuno che conosce.”
Secondo Badil, Capitan Nidal ha minacciato di “rendere disabili tutti i ragazzi del campo (Deheisha)” dicendo: “Voi tutti camminerete con le stampelle e in sedia a rotelle”.
“Queste minacce indicano che queste azioni non sono incidenti casuali o isolati, ma derivano piuttosto da una sistematica politica militare israeliana volta a sopprimere la resistenza, terrorizzare giovani palestinesi e ferirli definitivamente e/o causare danni significativi al loro benessere fisico e mentale”, ha detto la ONG.
Oggi i fratelli più giovani di Raed, Yousif di 12 anni e Tamara di 10, hanno incubi tutti i giorni dopo la sua uccisione. Hanno paura di usare il bagno di notte.
Prima della morte di suo figlio, ha dichiarato Zaynab a Mondoweiss che, quando era presa dalla disperazione, era per mancanza di speranza di poter essere al fianco di Raed o anche sapere che cosa gli stava succedendo, questa era la cosa più dolorosa.
Quando le è stato chiesto se c’era qualcosa che volesse dire o fare, ha semplicemente detto: “Voglio mio figlio. Voglio mio figlio.”
Ora, più di 24 ore dopo la scomparsa di Raed, le forze israeliane continuano a trattenere il suo corpo, dopo averlo trasferito dall’ospedale Hadassah all’ospedale Rishon Lezion nel centro di Israele, e Zaynab e i suoi figli aspettano ancora, questa volta il ritorno del suo corpo.
(*) Yumna Patel è una giornalista freelance multimediale di Betlemme, in Palestina.
Traduzione di Simonetta Lambertini – invictapastina.org
fonte: http://mondoweiss.net/2017/09/israeli-through-palestinian/