Mike Murphy: Degrado dei palestinesi sconvolgente da testimoniare

La sola resistenza lasciata aperta al popolo palestinese contro le azioni israeliane è quella di rimanere sul posto. Copertina:  Forze di sicurezza israeliane puntano contro manifestanti palestinesi durante scontri a seguito di una manifestazione a Betlemme. Fotografia: Ahmad Gharabli / AFP / Getty Images

di Mike Murphy, 23 settembre 2017

Alla fine degli anni ’70, quando ero quello che potrebbe essere definito un talento emergente alla RTÉ (Radio e Televisione di Irlanda), ricevetti una lettera da Kader Asmal, poi diventato un ministro nel primo governo arcobaleno del Sud Africa, che mi chiedeva di dare il mio sostegno al movimento anti-apartheid. Per mancanza di interesse o per insensibilità o per le pressioni dovute al tirar su una giovane famiglia o per una combinazione di tutto questo, ignorai il suo invito.

Dieci anni più tardi ebbi l’opportunità, in Sud Africa, di percorrere l’intera costa orientale di Città del Capo, attraverso i bantustan che allora esistevano. Inutile dire che rimasi sconvolto dalle condizioni di queste prigioni a cielo aperto e deplorai profondamente la mia mancanza di decenza comune.

Negli ultimi anni ho letto e sentito parlare degli abusi perpetrati contro il popolo palestinese da parte del governo israeliano occupante. Le mie simpatie vanno ai palestinesi e ho scritto una lettera a questo giornale per denunciare le azioni della Bank of Ireland per avere chiuso arbitrariamente il conto del Irish Palestine Solidarity Group. Molto bene!

Però ho ancora bisogno di vedere direttamente con i miei occhi. Ho sentito parlare di un viaggio di informazione organizzato da una compagnia turistica palestinese e io e mio figlio Mark ci siamo iscritti. Eravamo un gruppo di 31 persone, tutte sconosciute a Mark e me, e l’intera impresa è iniziata con qualche incertezza.

Controllo del passaporto

All’arrivo poco dopo mezzanotte all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, circa 16 di noi sono stati prelevati dal controllo passaporto e sistemati in una vicina area riservata. C’è stato chiesto chi di noi avesse già visitato Israele. Ho ammesso, un po’ timidamente, di essere stato coinvolto nell’Eurovision Song Contest a Gerusalemme alla fine degli anni ’70. I nostri passaporti sono stati raccolti e circa sei del nostro gruppo, me compreso, condotti in un’altra area riservata dove siamo rimasti seduti fuori da un ufficio diviso da tramezzi. Siamo stati fatti entrare uno alla volta – io ero, credo, il quinto della fila. Ho sentito un gran urlare e sbattere su scrivanie dalla piccola stanza, man mano che uno per uno i nostri quattro compagni di viaggio venivano interrogati e poi condotti fuori e lontano.

Dopo circa un’ora e mezza sono stato condotto nello stesso piccolo ufficio per essere interrogato da due poliziotti dell’immigrazione maschile. Ho chiesto cosa fosse successo alle quattro persone che mi avevano preceduto e mi hanno detto che erano state deportate. Ho chiesto perché e mi è stato mostrato su un cellulare un video di una specie di dimostrazione con quelli che sembravano essere due irlandesi che agitavano un tricolore e lanciavano pietre contro un enorme muro. Mi è stato chiesto se avessi partecipato a qualche manifestazione e ho detto di no. Ho chiesto in che consistesse il processo di deportazione e mi è stato detto che i quattro sarebbero stati imbarcati sul volo delle 17 per Istanbul. Ho chiesto chi avrebbe pagato per i loro voli e mi è stato detto: “La compagnia aerea”.

 

Mi hanno fotografato, riconsegnato il mio passaporto e detto che ero a posto. Così ora eravamo un piccolo gruppo assottigliato e un po’ scosso che si proponeva, verso le 4 del mattino, di soddisfare la propria curiosità circa la situazione dei palestinesi. Comunque, giurai a me stesso di non lasciare che la nostra esperienza all’aeroporto influenzasse le mie opinioni nel corso della settimana successiva.

Casa palestinese demolita a Gerusalemme Est, novembre 2014.

Ma è stato peggio di quanto mi aspettassi.

Cominciamo con le strade. Le strade che attraversano le terre israeliane variano dalla superstrada a buone strade. Per raggiungere Betlemme nei territori occupati, però, attraverso l’onnipresente muro, le strade sono tracciate, dissestate, pericolose e disseminate di rifiuti. Quei palestinesi che possiedono un’automobile devono avere targhe bianche, per distinguerle da quelle gialle delle auto israeliane, in modo da assicurarsi che non possano entrare nelle aree controllate da Israele – compresa Gerusalemme Est – senza un permesso speciale che raramente viene concesso.

I permessi

La vita ruota intorno ai permessi. Hai bisogno di un permesso per ampliare casa, per mettere un serbatoio dell’acqua, per installare un pannello solare. E la maggior parte delle richieste viene rifiutata.

Se il tuo appezzamento di terra si trova ora sul lato opposto dell’insediamento colonico nuovo di zecca ( illegale per il diritto internazionale), adesso devi percorrere grandi distanze per accedervi. Non è più redditizio e, di conseguenza, molti agricoltori perdono la loro principale fonte di sussistenza. E dopo tre anni la terra può essere ufficialmente confiscata perché non l’hai lavorata.

Se lavori o studi a Gerusalemme puoi entrare in città solo a piedi. E la coda inizia alle 4 del mattino. Si snoda per circa mezzo miglio nelle ore successive, mentre i soldati dei checkpoint ti radunano in aree recintate prima di sottoporti a una perquisizione e, a volte, a interrogatorio, lasciandoti spesso lì a scioglierti al sole mentre loro si prendono una pausa caffè. Dopodiché puoi vederti rifiutare l’ingresso per un capriccio.

Ci sono checkpoint ovunque, presidiati da soldati armati. Ho visto giovani palestinesi costretti a spogliarsi per le perquisizioni, con urla, spinte e rituali umiliazioni.

La nostra guida, un accademico palestinese poliglotta di mezza età, è stato avvicinato da tre soldati israeliani che gli hanno detto che non poteva camminare per la strada verso cui ci eravamo diretti per prendere l’autobus. Lo hanno condotto via. Lui ha lasciato fare senza problemi e ci ha detto che avrebbe preso un taxi fino a un punto qualche chilometro più in là lungo la strada.

Abbiamo visto nuove case e appartamenti in costruzione negli insediamenti – adornati con cartelli di “venduto”. Molti americani, in particolare, stanno acquistando le abitazioni come case vacanza. E i territori palestinesi che si riducono sono, come i bantustan del Sudafrica, prigioni a cielo aperto, circondati da mura, con checkpoint tra l’uno e l’altro.

Ho visto alcuni “terroristi” palestinesi – ragazzi adolescenti – fuori dal centro profughi dove loro e le loro famiglie vivono in condizioni sconvolgenti, privati delle proprie case e terreni da parte dello stato di Israele. Gli adolescenti hanno lanciato pietre contro una vicina caserma dell’esercito. Nessuna delle pietre è atterrata a più di 50 metri dal suo obiettivo, ma la risposta è stata piuttosto sorprendente. Un camion blindato è arrivato accelerando improvvisamente fuori dai cancelli e si è lanciato giù per la collina verso i ragazzi, sparando raffica dopo raffica gas lacrimogeni.

Io stesso mi sono ritrovato temporaneamente accecato, e mi trovavo in un portone piuttosto laterale. L’unica resistenza lasciata aperta per il popolo palestinese davanti alla propria degradazione e umiliazione quotidiana è semplicemente rimanere. E’ evidente che gli israeliani si augurano che spariscano.

Traduzione Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: https://www.irishtimes.com/opinion/mike-murphy-degradation-of-palestinians-shocking-to-witness-1.3230666

 

 

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