“Coloro che possono farti credere a delle assurdità possono farti commettere atrocità”. Voltaire
di René Naba, 16 ottobre 2017
Il movimento nazionale palestinese è l’unico movimento di liberazione nazionale al mondo ad aver fatto due errori strategici con il risultato di gettarlo in un tragico vicolo cieco, a tal punto da snaturare la sua lotta, nonostante il pesante tributo pagato al riconoscimento della legittimità della sua causa, nonostante la fondatezza della sua rivendicazione.
1° errore: la rinuncia alla lotta armata dell’OLP
Il primo grosso errore è stata la rinuncia alla lotta armata prima che fossero realizzati i suoi obiettivi nazionali, ovvero la rinuncia alla guerriglia, marchio di fabbrica delle guerre di Liberazione, una delle basi della lotta nazionale, rendendo così il movimento palestinese prigioniero dell’agenda dei padrini di Oslo, gli Stati Uniti. Questa decisione è stata presa personalmente dal leader dell’OLP, Yasser Arafat in persona, sulla scia degli accordi israelo-palestinesi a Oslo nell’ottobre 1993, senza che questo accordo, circostanza aggravante, fosse accompagnato da misure coercitive che riguardassero l’attuazione di un calendario di applicazione dell’accordo che portasse all’istituzione di uno Stato palestinese indipendente.
2° errore: la deriva strategica di Hamas durante la guerra di Siria (2011-2017)
La decisione di Hamas di privilegiare un’alleanza con le petromonarchie, su base settaria, rinnegando i suoi vecchi fratelli d’armi – la Siria, l’Iran e gli Hezbollah libanesi, sebbene artefici della sua propulsione militare – ha costituito una deriva rarissima negli annali delle guerre di liberazione nazionale, e allo stesso tempo un atto di assoluta ingratitudine che mette in discussione la credibilità politica del movimento e la rilevanza della sua valutazione dei rapporti di forza regionali. Questa aberrazione ideologica spiega il sospetto e la perplessità in cui Hamas getta i molti simpatizzanti della causa palestinese in tutto il mondo.
Se l’Iran e Hezbollah libanese hanno deciso di recuperare la “pecora nera” per le necessità della lotta, la Siria, che ha offerto ospitalità al capo di Hamas Khaled Mecha’al per quindici anni e armato i suoi combattenti, compreso il campo palestinese di Yarmouk, un sobborgo di Damasco, ha rifiutato di dare un colpo di spugna a quello che ha definito “tradimento”. L’Algeria, d’altro canto, sembra riluttante a offrire ospitalità ai leader di un movimento ibrido, con comportamenti casuali, che gioca con la sua doppia sensibilità di movimento di liberazione palestinese e di ramo palestinese della Confraternita della Fratellanza Musulmana. Algeri teme lo zelo nel fare proselitismo di questi islamisti palestinesi e la loro osmosi con gli islamisti algerini che hanno procurato gravi sofferenze all’Algeria durante il “decennio nero” (1990-2000).
1- La trappola del processo di pace.
La strategia israelo-americana mirava, da un lato, a rompere il “Fronte arabo” in una trattativa globale sulla totalità della controversia arabo-israeliana, suddividendo il processo in tappe, in funzione delle esigenze specifiche degli israeliani e degli americani riguardo allo Stato arabo in questione; dall’altro lato, mirava a dare garanzia giuridica ad un rapporto di forza favorevole allo Stato ebraico, modulando le esigenze israeliane secondo il momento strategico della congiuntura regionale.
Così, il rifiuto israeliano di negoziare è stato inizialmente attribuito all’assenza di interlocutori arabi o palestinesi; in un secondo momento, i colloqui sono stati subordinati alla presenza di negoziatori palestinesi approvati da Israele, unico caso diplomatico in cui il nemico sceglie i negoziatori dell’avversario. In un terzo momento, il rifiuto di rendere la Palestina una base sovietica; in un quarto momento, il rifiuto di rendere Gaza una base islamista; in un quinto momento, il rifiuto di rendere Gaza una base iraniana. Preliminari accompagnati da condizioni massimaliste, compresa la fiducia di Israele nella normalizzazione con le petromonarchie del Golfo, degli stati sotto il controllo militare della NATO, screditati e indeboliti dalla loro guerra fratricida.
2- L’analisi di Assad Abu Khalil (del giornale libanese Al-Akbar): una rifondazione del movimento nazionale palestinese al di là di Fatah e di Hamas.
In risposta all’analisi di due esperti palestinesi pubblicata su The New Yorker, l’accademico americano d’origine libanese Assad Abou Khalil, animatore del blog http://angryarab.blogspot.fr/ e anche collaboratore del giornale libanese “Al Akhbar”, li rimprovera per la loro irriducibile infatuazione per il processo di pace.
Ecco i principali passaggi della sua analisi, la cui versione integrale in arabo per lettori arabofoni può essere si trova a questo link:
http://www.al-akhbar.com/node/281665
« Il nemico non vuole Mahmoud Abbas perché non è in grado di soddisfare i suoi desideri. Qual è il valore di un trattato di pace concluso da un leader svalutato?, scrive il politologo libano-americano riferendosi alle confidenze di Jared Kuschner, genero del presidente americano Donald Trump, che mette in dubbio l’utilità del processo di pace, confermando in tal modo il fatto che “l’amministrazione Trump è la più sionista nella storia americana”.
« Dal piano Rogers, nel 1970, (dal nome di William Rogers, segretario di Stato di Richard Nixon) al processo di pace di Oslo (1993), 23 anni, l’obiettivo apparente degli Stati Uniti è stato quello di dare agli Stati arabi l’impressione che gli americani fossero preoccupati di stabilire la pace in Medio Oriente. Ma questo stratagemma mirava, a dire il vero, a trascinare per effetto di logoramento gli arabi a sottoscrivere un trattato di pace con condizioni favorevoli per lo Stato ebraico.
« Sotto la copertura di una ricerca della pace, gli Stati Uniti si muovono scorrettamente davanti agli errori arabi, come è avvenuto in occasione della firma del Trattato di pace tra Israele e Libano, nato morto nel 1983, in seguito alla distruzione del santuario libanese dell’OLP. Oppure, per ottenere la garanzia araba agli equipaggiamenti dell’impero contro i paesi arabi, come era avvenuto alla conferenza di Madrid nel 1990, sulla scia della prima invasione americana in Iraq o alla conferenza di Annapolis, nel 2007, nel prolungamento della seconda invasione statunitense dell’Iraq. Lo spettacolo diplomatico e mediatico offerto agli arabi in questa occasione sembrava destinato ad ammansirli, lusingando la vanità dei leader. Ma Washington perde interesse nel processo non appena i suoi obiettivi vengono soddisfatti.
3- La virata sionista di Bill Clinton (1993-2001).
« Era tradizione nell’amministrazione americana, che fosse repubblicana oppure democratica, che la gestione degli affari del Medio Oriente dovesse essere affidata a esperti del mondo arabo, la cui politica era preventivamente dettata dal Congresso americano sotto l’influenza della lobby ebraica americana.
« Bill Clinton ha messo fine a questa tradizione in vigore tanto nel Dipartimento di Stato, che nel Dipartimento della Difesa e nei servizi segreti americani (CIA), affidando la totalità del dossier alla lobby sionista nelle sue due versioni, repubblicana e democratica, compresi Denis Ross, Aaron Miller e Martin Indyk.
ndr- [ Denis Ross, capo negoziatore dei colloqui di pace a Camp David, è direttore dell’Istituto di Washington per la politica del Vicino Oriente (WINEP- Washington Institute for Near East Policy), un gruppo di esperti filoisraeliani creato dal Comitato per gli affari pubblici americano-israeliani (AIPAC-American Israël Public Affairs Committee).
Aaron Miller, assistente di Denis Ross nei negoziati, ha criticato pubblicamente il suo superiore, accusandolo di sostenere gli israeliani piuttosto che facilitare un compromesso nel migliore interesse dell’America.
Martin Indyk, cittadino ebreo australiano, è stato naturalizzato americano nel 1993 e immediatamente nominato ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. Fondatore di WINEP, un ramo della lobby ebraica americana, ha cumulato la funzione di ambasciatore degli Stati Uniti in Israele con quella di vice segretario di Stato per gli affari del Vicino Oriente. È noto per il suo sostegno incondizionato alla politica del governo israeliano.]
«Oslo ha trasformato Fatah in un docile strumento della strategia americana. Denis Ross spinse il suo ardire fino al punto di esigere dalla delegazione palestinese di ritirare i negoziatori che non avevano la buona sorte di essergli graditi. Yasser Arafat si rese conto un po’ troppo tardi del suo errore e cercò tramite le Brigate di Al Aqsa, di mantenere vitale l’opzione della lotta armata. Mahmoud Abbas, lui, è andato oltre Yasser Arafat, soffocando ogni forma di lotta armata, non solo nei ranghi di Fatah, ma anche in altre formazioni palestinesi.
« Una generazione intera di palestinesi ignora la lotta armata. Ne è a conoscenza solo attraverso il racconto degli anziani.
« Quando Mahmoud Abbas minaccia di sospendere il coordinamento della sicurezza tra palestinesi e israeliani, Israele se ne fa beffe ben sapendo che la minaccia non funziona perché il coordinamento della sicurezza israelo-palestinese, sostiene l’autore, è prima di tutto nell’interesse del leader palestinese in quanto lo protegge dalla rabbia del suo popolo e dagli atti di violenza di cui potrebbe essere obiettivo, tanto più che tutti i punti di attraversamento dello Stato palestinese sono sotto il controllo israeliano.
Gli attacchi con il coltello e le auto ariete, di cui la scena israeliana è il teatro, non dipendono da una strategia frontale contro il nemico per cambiare i rapporti di forza. Sono simili a scalfitture nel corpo di un colosso. Se fanno sanguinare l’avversario, sono lontani da infliggergli un’emorragia fatale. Sono in ogni caso una forma di resistenza della disperazione.
4 – Hamas, un’impasse ancora più grande.
Le contraddizioni di Hamas
« Hamas vive un’impasse più grande di Fatah. Yasser Arafat sapeva prendersi gioco delle contraddizioni dei regimi arabi e approfittarne a suo vantaggio fino al suo tentativo di mediazione nel conflitto Iraq-Kuwait che lo ha cacciato nell’isolamento più completo.
« La prima contraddizione: “Molto vicino alla Siria e all’Iran, il ramo palestinese della Confraternita della Fratellanza Musulmana si è bruscamente schierato dalla parte del Qatar, che ospita la più grande base americana nel Terzo Mondo, per ragioni esclusivamente settarie.
Un movimento di liberazione nazionale che ripudia i suoi fratelli in armi per effettuare un allineamento settario su base religiosa, cessa ‘ipso facto’ di essere un movimento di liberazione nazionale.
« Seconda contraddizione :’Hamas ha rifiutato Oslo, ma ha comunque partecipato a elezioni legislative regolate dagli Accordi di Oslo. Che valore ha un’elezione all’ombra delle baionette della potenza occupante? Le elezioni parlamentari devono farsi all’ombra di una potenza occupante o intervenire dopo la liberazione del territorio dalla potenza occupante?
« Terza contraddizione: ‘Il nuovo programma politico adottato da Hamas nel giugno 2017 mantiene la rivendicazione su tutto il territorio della Palestina sotto il mandato britannico, ma accetta comunque di costruire uno stato sui confini del 1967.
«Quarta contraddizione: ‘Hamas infine chiarisce le sue relazioni con gli ebrei, mentre la versione precedente del suo programma fa esplicito riferimento al ‘Protocollo dei saggi di Sion’ ‘un accertato falso documento’. Ma allora perché il movimento islamista palestinese non ha chiarito le sue relazioni con i suoi prossimi, gli sciiti, gli alawiti e i cristiani? Un chiarimento tanto più necessario in quanto Hamas è sprofondato in un discorso settario durante gli avvenimenti noti come ‘primavera araba’.
Ne consegue che il nuovo programma politico di Hamas è ‘un dare carta bianca al Qatar nell’affrontare il suo contesto regionale e agli occhi dei paesi occidentali’.»
5 – Una riforma dell’Olp dall’interno è impossibile.
« Non c’è più nessuna formazione palestinese votata in modo pieno ed efficace alla lotta per la liberazione della Palestina, caso unico negli annali delle guerre di liberazione. Certo Hamas ha combattuto coraggiose battaglie per la difesa di Gaza, ma il suo controllo sull’enclave, paradossalmente, lo ha costretto a rispettare i confini internazionali del suo nemico.
« Fatah soffoca la lotta armata in Cisgiordania e Hamas a Gaza, mentre i campi profughi palestinesi libanesi a Ein el Héloué, sobborgo di Saida (Libano meridionale) e Nahr El Bared, sobborgo di Tripoli (Libano settentrionale), così come il campo di Yarmouk, sobborgo di Damasco (Siria), sono corrotti da guerre confessionali e dalla guerra tra fazioni in Siria. È dunque impossibile riformare l’OLP dall’interno.
6 – Verso la convocazione di una nuova costituente rivoluzionaria.
« È quindi fondamentale convocare una nuova costituente per eleggere un nuovo organismo rivoluzionario che abbia come mandato rilanciare la guerra di liberazione nazionale e come missione creare nuove unità combattenti che traggano profitto dalle esperienze del passato.
« Questo nuovo movimento rivoluzionario servirà come antidoto al senso di disperazione e rassegnazione che si è impadronito del popolo palestinese e all’abbandono dei regimi arabi della causa palestinese.
Tutti gli stati arabi hanno sottoscritto la capitolazione alle condizioni dettate dalla lobby israelo-americana.
7 – Le condizioni di una rifondazione
« La rifondazione deve ispirarsi alla precedente esperienza di Georges Habbash e Waddih Haddad, i due co-fondatori del Movimento Nazionalista Arabo (MNA), di tendenza nasseriana, poi del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (PFLP), di obbedienza marxista, che hanno dedicato la loro vita alla liberazione della Palestina.
« Georges Habbash e il suo vice Waddih Haddad hanno immediatamente preso le misure all’incapacità delle elite di condurre una rivoluzione, lavorando a formare piccole cellule combattenti nei campi profughi palestinesi di Giordania e Libano, terreno di rivoluzione.
“Il nuovo movimento nazionale di liberazione palestinese, a tonalità rivoluzionaria, dovrà liberarsi dal passivo lasciato dai precedenti leader palestinesi da Hajj Amine Al Husseini, Mufti di Gerusalemme, nel decennio 1940-1950, fino ai nostri giorni, passando per il passivo legato al burocrate Ahmad Choukeiry, primo presidente dell’OLP e i suoi successori Yasser Arafat e Mahmoud Abbas. Sarà necessario liberarsi dai vincoli di Oslo, che fu un processo di pace senza fine e senza oggetto, e impegnarsi a creare le condizioni di una nuova condotta rivoluzionaria.
Epilogo
Hezbollah libanese, perfetto esempio contrario di Hamas e Fatah.
Vincitore contro Israele in Libano e in Siria in difesa dell’integrità di questo paese che è il suo entroterra strategico, Hezbollah libanese sembra essere il perfetto esempio contrario di Hamas e Fatah.
La sua dissuasione asimmetrica, basata su una risposta balistica, ha costituito un’innovazione nella strategia militare contemporanea. Hezbollah ha così modificato le regole del combattimento nel suo conflitto con Israele, una potenza nucleare accreditata tra i più grandi eserciti dell’emisfero sud.
Ottenendo la liberazione militare israeliana del Libano senza negoziati o trattati di pace, nel 2000, la formazione sciita ha spinto il Libano nella funzione di cursore diplomatico regionale e, nella storia del conflitto arabo-israeliano, elevato lo standard libanese al rango di valore esemplare, tanto questa azione straordinaria ha assunto nella memoria collettiva araba un impatto psicologico di un’importanza paragonabile alla distruzione della linea Bar Lev, durante l’attraversamento del canale di Suez nella guerra dell’ottobre 1973.
Recidivo otto anni dopo, Hezbollah darà inizio, di fronte alla potenza di fuoco del suo nemico e all’ostilità quasi generale delle monarchie arabe, a un nuovo metodo di combattimento, concependo un conflitto mobile in un campo chiuso, un’innovazione nella strategia militare contemporanea, accompagnata da una coraggiosa risposta balistica, con grande disappunto dei paesi occidentali e dei loro alleati arabi.
Hezbollah libanese, vittorioso su Israele e in Siria, appare come il perfetto esempio contrario di Hamas e Fatah, uno dei più prestigiosi movimenti di liberazione del terzo mondo sull’esempio dei Barbudos cubani, dei Vietcong e del FNL algerino, le ultime dighe di contenimento di fronte a una capitolazione generalizzata del mondo arabo.
La storia del mondo arabo abbonda di questi esempi di “fusibili” glorificati “martiri”, vittime sacrificali di una politica di potere di cui saranno stati, compagni mai, fedeli esecutori sempre. In tempi di sconvolgimento geostrategico non si oltrepasseranno soglie nel mondo arabo senza innescare risposte punitive.
Re Abdullah I° di Giordania, assassinato nel 1948, il primo ministro iracheno Noury Said, linciato dalla popolazione dieci anni dopo a Baghdad, nel 1958, nonché il suo compagno giordano Wasfi Tall, ucciso nel 1971, il presidente egiziano Sadat nel 1981, il presidente libanese Bashir Gemayel, fatto saltare in aria alla vigilia della sua presa del potere nel 1982, l’ex primo ministro libanese Rafic Hariri nel 2005, i due vettori di supporto mediatico della strategia atlantista in Medio Oriente – i giornalisti del quotidiano libanese An Nahar: Gebrane Tueni e Samir Kassir -, infine l’ex primo ministro pakistano Benazir Bhutto nel 2007, costituiscono al riguardo le più illustri testimonianze postume di questa regola non scritta delle leggi della polemologia così particolare del Medio Oriente.
Nel disprezzo degli usi internazionali più elementari, Yasser Arafat, sebbene titolare del Premio Nobel per la Pace per Oslo, sarà confinato nel suo ridotto di Ramallah, posto agli arresti domiciliari, ma il tandem malefico responsabile di questa infamia, Ariel Sharon-George Bush jr, sperimenterà una sorta di storia poco gloriosa. L’israeliano cadrà in un coma, simbolico della sua politica aggressiva, e finirà la sua vita come “vegetale”, mentre l’americano sarà gratificato con il titolo irrefutabile di “peggior presidente nella storia degli Stati Uniti”.
Queste potrebbero essere le principali lezioni di questi avvenimenti, la cui principale vittima sarà stata la giusta causa del popolo palestinese; l’ultima impresa coloniale occidentale del ventesimo secolo. Un punto nero indelebile sulla coscienza occidentale.
Traduzione Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
fonte: http://www.madaniya.info/2017/10/16/les-deux-fautes-strategiques-majeures-du-mouvement-national-palestinien/