Nel film “L’insulto” i libanesi sono sempre rappresentati come persone benevole, mentre i palestinesi appaiono aggressivi e privilegiati
Fadia Elia, 25 gennaio 2018
Come molti della mia generazione che hanno vissuto la guerra civile libanese, ero ansiosa di vedere ‘L’insulto’, un film del regista libanese Ziad Doueiri, che di recente ha regalato al Libano la sua prima nomination agli Oscar. La maggior parte degli spettatori ha convenuto sul fatto che il film fosse eccellente, equo ed equilibrato. Dopo averlo visto due volte condivido l’opinione dei miei amici che mi avevano avvisata sul fatto che questo film fa male. Al mio sguardo – e allo sguardo di chiunque abbia una goccia di sangue palestinese – questo film è ingiusto. Si tratta di un insulto bello e buono, un insulto ai palestinesi.
Ingiusto verso i palestinesi
Il film è ambientato nella Beirut dei nostri giorni: Yasser, un palestinese immediatamente riconoscibile per l’accento e il nome, che lavora come capocantiere, cerca di imporre un regolamento comunale sulle grondaie a Tony, un meccanico membro delle Forze libanesi (un partito che pretende di rappresentare tutti i cristiani libanesi, nonostante le contestazioni) che vive a Fassouh, un quartiere cristiano di Beirut.
Sebbene i regolamenti municipali siano largamente ignorati a Beirut, Yasser e Tony litigano per il canale di scolo e Yasser chiama Tony “arsa”, o “figlio di puttana”, un insulto pesante.
Tony chiede le scuse di Yasser con l’intermediazione del suo datore di lavoro. Yasser va al laboratorio di Tony per scusarsi; qui sorprende Tony mentre ascolta un discorso incendiario di Bashir Gemayel, capo della milizia durante la guerra civile, che evoca i “parassiti” che sono diventati i palestinesi in Libano e sulla necessità di espellerli.
Invece di scuse, c’è un violento scambio tra Yasser e Tony. Tony urla a Yasser che gli sarebbe piaciuto che Sharon (l’ex primo ministro israeliano) li avesse annientati. A queste parole, Yasser dà un pugno a Tony, rompendogli due costole.
Tony presenta una denuncia per aggressione. Il caso è ascoltato in tribunale, dove Yasser si dichiara colpevole. In gran parte a causa del comportamento tenuto da Tony in tribunale, che non si mostra ingiusto nei confronti di Yasser ma che afferma ad alta voce che gli piacerebbe essere palestinese per avere il sistema dalla propria parte, il giudice dichiara Yasser non colpevole. Tony fa appello contro la decisione.
È principalmente attraverso ciò che l’avvocato di Tony – scelto dalle Forze libanesi – discute in tribunale, o meglio ciò che è autorizzato a dichiarare in merito al caso o meno, che il film è ingiusto nei confronti dei palestinesi. Guidate da Samir Geagea, le Forze libanesi sono un partito cristiano implicato in atrocità della guerra civile.
Una narrazione di parte
L’avvocato di Tony è determinato a dimostrare che i commenti del suo cliente, che hanno preceduto e provocato l’aggressione di Yasser, sono comprensibili e giustificati. Quale premessa della tribuna offerta alle Forze libanesi nel film, è di per sé un’ingiustizia.
Sono l’aggressione di Yasser e le sue conseguenze per Tony che sono in causa, non i commenti di Tony. Tuttavia, molte dichiarazioni, estranee alla questione e totalmente pregiudizievoli per Yasser, sono autorizzate e registrate.
Ovviamente, tutto ciò va a beneficio degli spettatori, destinatari passivi di questo discorso di parte. Per citare solo una parte di questo vetriolo, l’avvocato di Tony deride la causa palestinese, citando molte altre degne cause, inclusa quella delle primizie, per sostenere che i palestinesi hanno costretto il mondo a considerare la loro causa come “sacra”. In realtà, egli sostiene che l’assoluzione di Yasser sarà dovuta unicamente alla causa “sacra”. L’avvocato di Tony continua a citare, senza alcuna obiezione o interferenza, tranne quando è troppo tardi e il discorso d’odio è già stato formulato, tutte le “guerre” scatenate e perse dai palestinesi. Così, sono accusati di avere tentato di destabilizzare e invadere la Giordania nel 1971. In risposta, l’avvocato di Yasser manifesta un interesse puramente di facciata per Settembre nero, la carneficina che ha colpito i palestinesi in Giordania. Il travisamento più grave tuttavia deve essere l’evocazione decontestualizzata del massacro di Damour, avvenuto il 20 gennaio 1976. Per giustificare l’odio di Tony, il suo avvocato rivela che è un sopravvissuto alle uccisioni. La cruda descrizione del massacro di Damour – in cui civili della città a prevalentenza cristiana furono assassinati da una coalizione di milizie palestinesi e di forze di sinistra libanesi – è autorizzata dal tribunale. Tony soffrirebbe di disturbi da stress post-traumatico perché all’età di 6 anni ha vissuto gli eventi di quel giorno. Questa è una testimonianza gratuita. Ricordate che Tony non è imputato nel processo. Se gli sceneggiatori si sono sentiti obbligati di ravvivare il ricordo di Damour, dovevano agli spettatori tutta la storia che risiede dietro a Damour.
Una storia di massacri
Il massacro di “Karantina”, una carneficina orchestrata contro civili palestinesi dai falangisti e dai miliziani di al-Ahrar, che in seguito si sono raggruppati per formare le Forze libanesi, aveva avuto luogo solo due giorni prima di quella di Damour, mentre Damour era sotto assedio.
Si sarebbe potuto facilmente inserire nella storia una sopravvissuta a uno stupro a Karantina, una cugina o una sorella di Yasser che oggi vive con lui nel campo, per contestualizzare la sua rabbia, vedere un sopravvissuto di Tel al-Zaatar o di Sabra e Shatila. Questi massacri non si vedono attribuire un volto umano e non vengono nemmeno menzionati.
Il film non offre alcun equilibrio tra i due protagonisti: mentre Yasser, il palestinese, è ritratto come una persona relativamente privilegiata, la vita di Tony è punteggiata di sofferenze, per lo più inflitte dai palestinesi. Quindi, vediamo che Yasser vive piuttosto bene in Libano.
Vive in un campo, ovviamente, ma in una casa confortevole. La bandiera palestinese sventolata da tutti.
Pratica la sua religione liberamente. Ha un’amorevole moglie libanese, che guarda caso è cristiana (Punto a sfavore dell’idea di permettere alle donne libanesi di trasmettere la cittadinanza al loro marito straniero. Guarda cosa succede.) A Yasser viene offerto un lavoro conveniente in Libano, dove non dovrebbe avere il diritto di lavorare.
Tony soffre quotidianamente perché è psicologicamente incapace di tornare a casa sua a Damour. A causa della sua grondaia, deve affrontare un palestinese, che finisce per prenderlo a pugni e mandarlo in ospedale. Le sue ferite gli impediscono di trasportare carichi pesanti, ma Tony deve lavorare per pagare i suoi conti.
Finisce per portare una batteria d’auto e perde conoscenza. Quando la moglie incinta lo trova, lei stessa si sente male e inizia ad avere contrazioni premature, che mettono in pericolo la vita del bambino.
Comportamento aggressivo
Mentre Tony si mostra paziente e lascia i problemi nelle mani della giustizia libanese, i palestinesi adottano un comportamento aggressivo. Mentre il processo d’appello continua, tormentano Tony con telefonate minacciose a casa sua di notte, disegnano una stella di David nella sua officina e probabilmente lo urtano con una moto mentre cammina nel suo quartiere con sua moglie, facendolo cadere.
Il tribunale si pronuncia a favore di Yasser. A questo punto, questo non dovrebbe sorprendere gli spettatori. Abbiamo sentito a sufficienza gli sceneggiatori spiegarci che quando i libanesi e i palestinesi soffrono, sono i palestinesi a trovarsi sotto i riflettori. Abbiamo sentito Samir Geagea, capo della milizia delle Forze libanesi, dire che sono i vincitori a scrivere la storia in fin dei conti.
Eppure i libanesi sono descritti nel film come persone sempre benevole, mentre i palestinesi restano degli ingrati. Un giorno, Tony e Yasser sono soli in territorio neutro e la macchina di Yasser non parte. Tony si dirige verso di lui e gliela ripara.
Tenuto conto della dinamica regionale e globale del potere, il film è davvero un insulto fatto ai palestinesi e alla verità. Ma non si può fermare la giustizia.
– Fadia Elia è cittadina sia libanese che statunitense di origine palestinese. E’ cresciuta a Beirut poi ha seguito gli studi di legge negli Stati Uniti. Attualmente sta lavorando a un romanzo sulla guerra civile libanese.
traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina
fonte: http://www.middleeasteye.net/columns/oscar-nominated-insult-it-insult-indeed-palestinians-2073963128