Copertina – Ridare vita a produzioni scomparse da tempo è molto più che agricoltura [Ayed Arafah]
8 febbraio 2018
È stata la caccia alla sfuggente carota viola che ha dato il via a tutto.
Un sapore di casa di cui aveva troppo sentito la mancanza durante un soggiorno all’estero, la potente memoria sensoriale hanno portato Vivien Sansour, fondatrice della Palestine Heirloom Seed Library, ad una ricerca per riscoprirne la varietà locale durante una visita a casa in Cisgiordania.
Un contadino dopo l’altro è stato interpellato, falsi indizi hanno condotto in vicoli ciechi, e sembrava che questo preciso sapore della Palestina potesse scivolare silenziosamente, terribilmente, nell’estinzione… fino a un incontro casuale su una bancarella del mercato.
“Ho chiesto al contadino”, racconta Sansour, “se avesse carote viola, e ha detto ‘veramente no …’, ma poi ha sollevato il lembo di un telo e sotto c’era una cassetta di carote viola. Sembravamo lì a trattare per una partita di droga! Ha detto “Non posso dartele, qualcuno me le ha ordinate”. Così gli ho detto: “Dammene almeno un paio”. Sono andata a casa, le ho messe a terra e in seguito abbiamo raccolto il seme”.
La quasi estinzione era, secondo Sansour, una minaccia anche per una vasta gamma di altre verdure locali – varietà uniche coltivate da contadini palestinesi nel corso di migliaia di anni per la loro idoneità a crescere rigogliose nelle loro zone geologiche particolari e clima.
Man mano che cresceva la sua collezione personale di semi, i suoi post su Facebook suscitavano reazioni appassionate. “Quello che era inizialto con un paio di barattoli è diventato un discorso sempre più vasto, e visto che le persone mi chiamavano per chiedere semi ho pensato, ‘perché non fare una biblioteca nazionale di semi?'”
Da una manciata di carote è cresciuto un progetto ambizioso che ha avuto il riconoscimento di Food Tank – think tank internazionale per l’agricoltura sostenibile – come una delle sue “organizzazioni da tenere d’occhio” nel 2018, e con buone ragioni, perché la Seed Library ha appena lanciato esperimenti sul campo, in collaborazione con 20 agricoltori della Cisgiordania, con la possibilità di dare un contributo globalmente importante per nutrire il pianeta surriscaldato.
La chiave di tutto questo è una classe di semi conosciuti come Ba’al, dal nome della divinità della fertilità cananea e famosi per crescere rigogliosi in assenza di irrigazione. Il valore delle colture che richiedono solo umidità residua del suolo e rugiada superficiale è ovvio in un mondo sempre più colpito dalla siccità.
Con il sostegno della New Field Foundation, gli agricoltori si impegnano in un anno di coltivazione di varietà Ba’al di grano, pomodori, angurie e cetrioli bianchi, seguito da una conferenza per costruire sulle loro esperienze la spinta, spera Sansour, per estendere le coltivazioni delle varietà patrimonio della Palestina.
Oltre a possibili assicurazioni contro il cambiamento climatico, questi semi del patrimonio resistono anche agli imperativi di standardizzazione dell’agricoltura industriale che mette in commercio per gli agricoltori semi ibridi sterili che offrono risultati uniformi e prevedibili, ma che richiedono una spesa per l’acquisto di sementi e prodotti agro-chimici.
Anche gli agricoltori che lavorano all’interno di quel modello agro-industriale, però, apprezzano l’antico patrimonio.
“Amano e sentono la mancanza di queste varietà”, dice Sansour. “E il seme di Ba’al ha un costo zero, devi solo preparare la terra. Il rischio è: produrrà tanto, la gente lo comprerà? La gente vuole l’ortaggio dalla forma perfetta. Ci stiamo lavorando. Sono molto fiduciosa che porterà a qualcosa di buono”.
La Seed Library è più che un esercizio utilitaristico nella ricerca di ceppi genetici adatti al clima e che taglino i costi di produzione agricola, importanti anche quelli. Evidenziare millenni di presenza palestinese sulla terra è un’affermazione di appartenenza in un contesto di colonizzazione e cancellazione culturale.
“Siamo stati abituati a pensare che non siamo in grado di produrre nulla, che non siamo abbastanza bravi. Parlo di noi come palestinesi, ma è qualcosa che noto nella maggior parte delle popolazioni colonizzate. Nel rilancio delle tradizioni agro-ecologiche dei nativi americani tante persone stanno trovando l’orgoglio per le proprie origini, che prima veniva loro detto essere “primitive”.
“La Seed Library è un catalizzatore nello spostare il discorso da ‘noi poveri indifesi’ a ‘wow, se mia nonna è abbastanza intelligente da trasmettermi un seme che può vivere senza irrigazione, ci deve essere qualcosa di buono nel mio DNA per il semplice fatto che c’è qualcosa di molto brillante nel DNA di questo seme’.
“Costruire la biblioteca ha rivelato quanto le varietà del patrimonio sono essenziali per la cultura palestinese e come aprono le porte alla memoria individuale, familiare e comunitaria.
La varietà di frumento Hadeh Soda, ad esempio, si è rivelata meglio conosciuta con il suo soprannome affettuoso, Abu Samara, che significa “il bel marrone”.
“I contadini”, dice Sansour, “si emozionano, come se parlassero del loro amore perduto da tempo, e questo è magico perché non stai solo facendo rivivere un patrimonio biologico, ma anche un tesoro personale.
“Un ragazzo ha detto: ‘Da bambino, quando mia madre faceva il pane di Abu Samara, me ne stavo seduto impaziente ed era più delizioso della torta’. Oppure le persone descrivono la potenza di questo straordinario pomodoro Ba’al, come: “Potrei sentire l’odore del pomodoro a un miglio di distanza e il suo aroma mi ricorda l’estate quando andavo con mio padre sulla terrazza e raccoglievamo questi pomodori”.
Al centro del progetto c’è una biblioteca in un senso quasi familiare, con persone in grado di “controllare” i semi del patrimonio in buste marroni etichettate a mano dalla casa del progetto nello studio El Beir Arts & Seeds a Beit Sahour, appena fuori Betlemme, con l’intesa che una parte dei semi raccolti sarà restituita.
Considerato il potere delle storie dei semi, la biblioteca nel 2018 porterà anche la sua “Cucina itinerante” ogni mese in una diversa comunità della Cisgiordania. La cucina in legno a forma di carretto è un’opera d’arte bella ma funzionale – costruita dall’artista e co-fondatrice di El Beir Arts & Seeds, Ayed Arafah – e opera, dice Sansour, “come un seme che si butta lì e la gente gli si raccoglie intorno e discute – anziani, giovani, contadini, tutti insieme”.
È un’occasione per parlare del valore delle varietà del patrimonio e dei problemi con i semi ibridi e l’agricoltura chimica, ma, sottolinea, “non si tratta solo di tenere una lezione”.
“Impariamo dai nostri anziani, c’è apprezzamento e apprendimento intergenerazionale, e noi in biblioteca impariamo a conoscere nuove varietà di cui non avevamo sentito parlare”.
Per Sansour è ovvio quanto l’importanza del valore culturale e sociale della biblioteca sia pari alla sua importanza funzionale e di ricerca: “Per ogni seme c’è una storia, con ogni storia arriva una tradizione e con ogni tradizione arriva uno stile di vita. Non siamo una banca del seme, il nostro obiettivo non è solo raccogliere il codice genetico e tenerlo in un congelatore per il giorno del giudizio: l’idea è in realtà creare la vita e mantenere qualcosa di così bello vivo e mantenere viva una cultura attraverso questi piccoli semi che sembrano piccole cose morte ma che in realtà generano vita”.
Traduzione: Simonetta Lambertini
Fonte: https://www.alaraby.co.uk/english/indepth/2018/2/8/palestines-seed-library-finds-fertile-ground-for-forgotten-fruit