In base alla vostra esperienza, è ammesso su Facebook il discorso che delegittima il sionismo?

140 crimini sionisti elencati in ordine alfabetico espongono la spaventosa complicità e ipocrisia occidentale – Copertina: Photo: Chris Ratcliffe/Bloomberg via Getty Images

La risposta di Rima Najiar – ex docente (in pensione) all’Al-Quds University, 17 febbraio 2018

Facebook è messo sotto pressione per raffreddare o reprimere discorsi che delegittimano lo stato ebraico nel contesto del movimento di liberazione nazionale palestinese e della solidarietà internazionale per i palestinesi.

Allo stesso tempo, il discorso che delegittima i palestinesi come popolo con diritti umani fondamentali è liberamente promosso su Facebook, non ultimo dagli stessi dirigenti israeliani e statunitensi.

La battaglia per conquistare cuori e menti per la Palestina è stata a lungo definita come “narrazioni contrastanti”, oscurando la natura rivoluzionaria della lotta palestinese con una narrativa hasbara di Israele che ha dominato le frequenze radio fino a poco tempo fa.

Molti credono che i social media, e in particolare Twitter, siano ciò che ha favorito il cambiamento radicale nel discorso, da qui la reazione di Israele e degli Stati Uniti su Facebook – e la disgraziata collaborazione di Facebook con essi.

Israele si rende conto che il suo più grande nemico è la verità che, guarda caso, è la cosiddetta “narrativa” palestinese, spesso assente nei predominanti discorsi di politici, accademici, gruppi di esperti istituzionalizzati, leader di partito e specialmente nei media mainstream, il cui schema di discorso è quello dettato da Israele.

I due concetti predominanti che ora inquadrano la critica contro Israele sono:

1 – il carattere di apartheid di Israele come stato ebraico di insediamento coloniale;

2 – le violazioni israeliane delle leggi internazionali che riguardano i diritti umani palestinesi e la sovranità siriana sulle alture del Golan.

Entrambi i concetti rivelano la base legittima di una rivolta palestinese, portando con la logica e per principio a un appello per una fine di Israele come stato ebraico, a cominciare dalla necessità di riorganizzare le istituzioni governative di Israele, che:

“sono adattate a modelli liberali europei … [ma] descritte in Israele con una terminologia politica che richiama gli slogan e i simboli di epoche precedenti di dominio ebraico in Eretz Israel”.

Glenn Greenwald, nella sua rivelazione di incontri tra Facebook e funzionari del governo israeliano, li descrive così:

“sollecitati e presieduti da uno dei più estremisti e autoritari dirigenti israeliani, il ministro della giustizia pro-insediamenti Ayelet Shaked … [e arrivati] dopo che Israele aveva minacciato Facebook che il suo mancato adempimento volontario agli ordini israeliani di cancellazione avrebbe comportato l’emanazione di leggi che avrebbero obbligato Facebook a farlo, col rischio di forti multe o addirittura di essere bloccati nel paese.”

“La guerra legalista” alla Corte internazionale di giustizia o alle Nazioni Unite fa ora parte della spinta internazionale palestinese per rendere Israele responsabile dei suoi crimini. Ma è sempre stato uno strumento usato da Israele per sopprimere gli sforzi di liberazione palestinese – nel suo sistema di ingiustizia a tre livelli, nella sua repressione degli sforzi degli USA, dell’attivismo in Palestina o dell’attivismo del BDS in Europa.

Recentemente è stato riferito che Ayelet Shaked ha detto:

“Penso che ‘giudaizzare la Galilea’ non sia un termine offensivo. Eravamo abituati a parlare così. Negli ultimi anni abbiamo smesso di parlare in quel modo. Penso che sia legittimo senza violare i pieni diritti dei residenti arabi di Israele”.

Israele può o non può avere “smesso di parlare in quel modo”, ma certamente non ha mai smesso di agire “in quel modo” sin dal suo inizio. D’altronde, non è mai stato un discorso “legittimo” o normalizzato che i palestinesi chiedessero la “de-giudaizzazione” della Palestina in un rifiuto del crimine coloniale di giudaizzazione della Palestina.

Ad oggi, mi è stato impedito due volte di pubblicare sul mio account su Facebook, in un’escalation nelle punizioni che potrebbe benissimo virare con risolutezza e sistematicità verso un blocco permanente del mio account:

“Non puoi pubblicare adesso: potresti aver usato Facebook in un modo che i nostri sistemi considerano insolito, anche senza volerlo.” (Messaggio di Facebook apparso quando ho provato a postare dopo essere stata bloccata)

La mia ipotesi su ciò che ha innescato questa nuova sorveglianza del mio account su Facebook (da tempo critico in maniera esplicita e pubblica lo stato ebraico su Facebook e altrove) è l’algoritmo che Israele ha dato una mano a sviluppare (senza dubbio in parte sotto la spinta di falsi post antisemiti), che associa il discorso che minaccia la delegittimazione di Israele come stato ebraico di apartheid colonizzatore-di insediamento in Palestina a un discorso antisemita, cioè di odio.

L’attività di Facebook contro questo discorso non è facile da analizzare perché è incoerente e quindi imprevedibile,  porta all’autocensura da parte dell’utente come esito desiderato da parte di Facebook. In un certo senso, questa tattica imita gli “algoritmi” della polizia di confine israeliana per negare l’ingresso o il rientro ai palestinesi con passaporto occidentale – incoerenti e imprevedibili scoraggiano le persone nel comprendere appieno “le regole” per l’ingresso e persino a tentare di entrare.

La prima volta che sono stata bloccata da Facebook per tre giorni è stato a causa di un commento che avevo fatto, letto (presumo) come incitamento alla violenza contro gli ebrei come gruppo religioso o etnico quando, in realtà, stava sostenendo il diritto dei palestinesi a difendersi contro l’oppressione dello stato ebraico. Ho scritto su questo incidente qui [Yes, Palestinians Teach Their Children to Hate the Jewish State].

La seconda volta sono stata bloccata da Facebook per sette giorni per aver detto che gli ebrei di tutto il mondo avrebbero fatto un favore ai palestinesi restando nei loro paesi di origine e non emigrando in Israele. Da allora ho sviluppato questa idea e l’ho pubblicata in diversi luoghi, incluso qui [Two Scenarios Only: Is Jewish Exodus from Palestine Inevitable?].

L’unico modo in cui palestinesi e loro sostenitori possono cambiare questa censura del discorso palestinese è col normalizzare il discorso che chiede la fine dello stato ebraico nel contesto della lotta palestinese per la liberazione e la formazione di uno stato unitario che abbracci autodeterminazione per tutti i palestinesi nella loro terra d’origine e riparazione per il male commesso contro di loro.

È anche necessario che un numero maggiore di ebrei ed organizzazioni ebraiche facciano lo stesso, scoraggiando a gran voce e pubblicamente gli ebrei di tutto il mondo dall’emigrare in Israele dai loro paesi di origine, come fa Jewish Voice for Peace.

Una petizione sponsorizzata da Jewish Voice for Peace e Palestine Solidarity Campaign ora in circolazione sui social media dice:

“Sono d’accordo che è arrivato il momento per i palestinesi di essere liberi dall’occupazione e dall’apartheid”

Sostiene l’iniziativa del deputato norvegese Bjørnar Moxnes, che ha nominato il movimento BDS a guida palestinese per il premio Nobel per la pace.

C’è ora una crescente comprensione del fatto che smantellare l’occupazione e l’apartheid in Israele e nel resto della Palestina significa porre fine allo stato ebraico e fare spazio a uno stato unitario. Richieste per la fine dello stato ebraico non sono né “incitamento all’odio” né “incitamento alla violenza”, ma un appello alla giustizia e alla pace nella Palestina storica, un appello alla rivolta contro lo stato ebraico.

Il dott. Gideon Polya con grande eloquenza ha fatto questo appello in ‘Palestinian Me Too: 140 crimini sionisti elencati in ordine alfabetico espongono la spaventosa complicità e ipocrisia occidentale’ con queste parole:

“Una soluzione pacifica e umana che sarebbe di enorme beneficio per tutto il mondo, per tutti gli israeliani ebrei e per tutti gli indigeni palestinesi, sarebbe uno stato unitario in Palestina con il ritorno di tutti i profughi, tolleranza zero per il razzismo, uguali diritti per tutti, tutti i diritti umani per tutti, una persona un voto, giustizia, buona volontà, riconciliazione, sicurezza aeroportuale, rimozione di armi nucleari, sicurezza nazionale garantita a livello internazionale inizialmente basata sulle attuali forze armate e ingresso senza intralci per tutti i cittadini in tutta la Terra Santa. Può e dovrebbe accadere domani.”

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina

Fonte: https://www.quora.com/In-your-experience-is-speech-that-delegitimises-Zionism-allowed-on-Facebook

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