Rachel Corrie, 23 anni, attivista statunitense, è stata assassinata il 16 marzo 2003, schiacciata da una ruspa israeliana. Rachel tentava di evitare che la ruspa demolisse l’abitazione di un medico palestinese nella Striscia di Gaza.
Quante volte ci han fatto vedere
il miliziano spagnolo fulminato,
il bambino ebreo che si arrende,
il Che Guevara come Cristo morto,
la Napalm Girl nuda e piagata,
lo studente in camicia bianca
che ferma i tanks in piazza Tien An Men?
Icone dei nostri tempi,
che siano eroi o vittime innocenti.
E come mai, allora,
tra queste e altre immagini
di guerra contro il popolo
non vediamo mai quella
della biondina col giubbetto rosso
che affronta a mani nude
il bulldozer Golia, che non si arresta,
né quella – troppo cruda? – del suo corpo
impastato nel fango
di una battaglia persa?
Parlo naturalmente
di Rachel, la ragazza di Olympia
(Washington, Stati Uniti) uccisa il 16
marzo 2003, e del suo sangue
versato sulle livide macerie
di case demolite
per aggiungere ai lutti altre miserie,
soffocare altre vite.
Dell’assassino ci hanno detto il nome,
quello di un Golem ebete. Sappiamo
la marca del bulldozer militare
fornito dall’America.
Conosciamo i mandanti e i loro complici,
gli opportunisti dell’equidistanza
che i morti non li contano, li pesano
come conviene alla loro bilancia
(che è poi il loro bilancio).
Dunque niente
c’è ancora da scoprire. Ma quel rosso
del giubbetto, quel corpo sofferente,
il cerchio dei compagni inginocchiati
intorno a lei, a proteggere il poco
di quella vita non ancora spenta,
non li vedremo più, né sulle pagine
dei giornali, né in qualche trasmissione
di pseudo storia,
perché il padroni d’oggi ci consentono
una sola memoria
e nessuna reale opposizione:
e niente è più reale di un’immagine
di verità, di morte, di passione.
14 marzo 2018 – Sebastiano Comis, Pordenone
Invictapalestina ringrazia Sebastiano per averci consegnato questo suo lavoro.