FOTO- Il CEO di YouTube, Susan Wojcicki, parla a donne israeliane nel Tech Group di Israel Collaboration Network, il 25 agosto 2016.
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di Alison Weir, 8 marzo 2018
Dirigenti di YouTube e Google si incontrano con il ministro israeliano
Secondo quanto riferito, le principali società di Internet hanno collaborato a questo sforzo.
Nel 2015 la vice ministra degli Esteri israeliana Tzipi Hotovely ha annunciato di aver visitato la Silicon Valley e incontrato il CEO di YouTube Susan Wojcicki e la direttrice delle politiche pubbliche di Google (non è chiaro se si trattasse di Jennifer Oztzistzki o Juniper Downs; l’annuncio di Hotovely fa riferimento a ‘Jennifer Downs’).
“Alla fine della riunione,” hanno riferito i media israeliani, “è stato concordato che Google avrebbe rafforzato le relazioni bilaterali con il Ministero degli Esteri e costruito un apparato di lavoro collaborativo.”
Un’altra notizia israeliana in merito alla riunione afferma: “… si è convenuto che le aziende avrebbero rafforzato i legami con il Ministero degli Esteri e costruito un regolare meccanismo di controllo per evitare la distribuzione di tali incendiari materiali in rete.”
Google, proprietaria di YouTube, ha negato quanto riportato dal Ministero degli Esteri. Il Ministero ha di conseguenza ‘chiarito’ in qualche modo la sua dichiarazione, ma ha continuato a dire che i funzionari israeliani avrebbero avuto “contatti regolari con i dipendenti di Google che in Israele si occupano di materiali problematici”.
Tali funzionari hanno spesso stretti legami con Israele. Ad esempio, il capo della politica di Facebook in Israele, Jordana Cutler, era stata precedentemente impiegata per molti anni dal governo israeliano. (Ulteriori informazioni su Facebook si possono trovare qui.)
Gli incontri sembrano aver avuto un risultato significativo.
Nel 2016 la rivista Fortune riportava: “Facebook, Google e YouTube stanno aderendo al 95% delle richieste israeliane di cancellare quei contenuti che il governo ritiene incitare alla violenza palestinese, ha detto oggi il ministro della Giustizia israeliano”.
Più di recente, il Ministero della Giustizia israeliano ha affermato che la sua unità informatica si è occupata di 2.241 casi di contenuti online ed è riuscita a rimuoverne il 70%.
Secondo un rapporto del 2017, Google, nella sua veste di operatore di Youtube, ha annunciato di stare prendendo iniziative per raggiungere questo risultato.
Tra le altre cose, Google ha detto che avrebbe aumentato il numero dei membri del ‘Trusted Flagger program’ (programma del segnalatore attendibile), che consente ad alcune organizzazioni e agenzie governative di segnalare contenuti. Ha anche detto che avrebbe “aumentato il sostegno alle ONG e organizzazioni che lavorano per presentare una ‘voce correttiva.’”
Considerato il bilancio di attività di infiltrazione e orchestrazione sopra descritte – molte delle quali finanziate da una combinazione di alcuni miliardari influenti e dello stesso governo israeliano – è difficile immaginare che le organizzazioni e i partigiani israeliani non siano completamente integrati in questo programma. In effetti, una delle ONG che già collabora con YouTube come ‘segnalatore fidato’ è la Anti-Defamation League (ADL), la cui missione include ‘difendere Israele’.
È stato divulgato un documento segreto sulla strategia dell’ADL del gennaio 2017 con dettagli su come contrastare il movimento pro-Palestina. Tra le sue numerose strategie alcune erano focalizzate sull’importanza degli sforzi nello spazio cibernetico.
Il documento è stato prodotto in collaborazione con il Reut Institute, un think tank israeliano, e porta l’approvazione di Sima Vaknin-Gil, che afferma che “la correlazione tra il modo di operare del ministero e quanto esce da questo documento è molto alta, e si è già dimostrata efficace … ”
La sintesi del documento annotava: “Il cyberspazio, ampiamente definito, si distingue come un’arena di importanza cruciale (per il monitoraggio e le strategie di contrasto e proattive) che richiede più risorse e attenzione a causa della sua attuale influenza, rapida crescita e crescente complessità.”
Il documento chiedeva “un mix di politica promozionale e di coinvolgimento delle attività con società come Google, Facebook e Twitter in armonia con il ADL Center for Technology and Society e il suo Anti-Cyberhate Working Group”.
Il documento raccomanda anche: “Gli sforzi ‘dal basso’ di crowdsourcing per migliorare la capacità di adattamento della rete filo-israeliana”.
Allo stesso tempo, esorta:
“Rafforzare le organizzazioni filo-israeliane che mobilitano e coordinano una rete di ‘nodi’, ad es. Jewish Public Affairs (JCPA) e la sua rete di Jewish Relations Relations Council (JCRCs) negli Stati Uniti, Hillel, che è presente in quasi cinquecento località negli Stati Uniti e nel mondo, la Israel Action Network (IAN) che raggiunge quasi 160 federazioni negli Stati Uniti, o il Congresso ebraico (WJC) che rappresenta dozzine di comunità ebraiche in tutto il mondo.”
Il dettagliato documento di 32 pagine riporta che negli ultimi anni “un massiccio investimento di risorse e talento” è stato diretto contro il movimento pro-Palestina. Uno dei risultati, secondo il documento, è stata la creazione di una “rete pro-Israele a livello mondiale”. È questa rete che il rapporto desidera mobilitare. Una delle preoccupazioni del documento è che dall’attacco di Israele a Gaza del 2014 “un numero crescente di ebrei è diventato più critico nei confronti di Israele”.
Il documento raccomanda un certo grado di segretezza, osservando: “la risposta ad alta visibilità della parte pro-Israele può essere controproducente”.
Traduzione Simonetta Lambertini – invictapalestina
Fonte: https://israelpalestinenews.org/israel-partisans-work-censor-internet/