Possiamo criticare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu quanto vogliamo, e d’altronde se lo merita, ma c’è un concetto che dovremmo sempre tenere a mente: la colpa non è sua.
Internazionale 3/19 Aprile 2018
La colpa è della nazione. O almeno della maggioranza della nazione. Le dimostrazioni di cattiveria degli ultimi giorni erano progettate per soddisfare gli istinti più bassi del popolo israeliano. Gli israeliani volevano il sangue a Gaza, più sangue possibile, e le deportazioni dei migranti africani da Tel Aviv, più deportazioni possibili.
Non c’è modo di addolcire la verità.
Netanyahu – debole, cattivo, cinico – è stato animato da un’unica motivazione: soddisfare i loro desideri. Sarebbe bello se il problema fossero solo Netanyahu e il suo governo. Basterebbe un’elezione, o al massimo due, e sarebbe tutto risolto. I buoni vincerebbero, Gaza e i richiedenti asilo sarebbero liberati, la spinta fascista si esaurirebbe e Israele tornerebbe a essere un paese di cui essere orgogliosi.
Ma questa è solo fantasia. La campagna contro Netanyahu è importante, ma non è decisiva. La vera battaglia è molto più disperata, e la sua portata è più ampia. È la battaglia sulla nazione, che a volte diventa una battaglia contro la nazione. Persino i suoi critici più accaniti ammettono che Netanyahu sa quali sono i desideri del popolo. Il premier ha capito che la maggioranza vuole pulizia etnica a Tel Aviv, ultranazionalismo, razzismo e crudeltà. In realtà il primo ministro, che è leggermente meno cattivo rispetto ai suoi sostenitori, per un breve periodo ha provato una strada più umana e razionale. Ma quando si è scottato e ha capito che stava andando contro i desideri del popolo, è tornato in sé. La base, l’elettorato, la maggioranza vogliono il male. E Netanyahu gli ha dato il male. Nessuna elezione cambierà questo meccanismo. La vera tragedia non è Netanyahu, ma il fatto che in Israele qualsiasi espressione di umanità è un suicidio politico. Da Gaza a Tel Aviv corre un filo fatto di malvagità e razzismo. In questi luoghi gli israeliani non pensano di avere di fronte altri esseri umani: considerano gli eritrei e gli abitanti di Gaza degli esseri inferiori.
Secondo loro la vita di queste persone non ha valore. A Gaza i cecchini israeliani hanno sparato contro i manifestanti come se fossero al poligono. I mezzi d’informazione e il popolo israeliano hanno esultato. Nel sud di Tel Aviv sono ricominciati gli arresti e le deportazioni, anche in questo caso tra gli applausi. Questo è quello che vuole il paese e questo è quello che il paese avrà. Anche se i soldati israeliani uccidessero centinaia di manifestanti a Gaza, Israele non batterebbe ciglio. Il motivo è semplice: l’odio verso gli arabi. Gaza non è considerata per quello che è, un luogo abitato da persone, un’enorme prigione, un laboratorio di sperimentazione sugli esseri umani. La maggioranza degli israeliani, che come il primo ministro non hanno mai parlato con un singolo abitante di Gaza, sa solo che la Striscia è un covo di terroristi.
È per questo che è giusto ammazzarli. Sconvolgente, ma vero. Lo stesso vale per la zona sud di Tel Aviv. Quando si parla dei “residenti della zona sud di Tel Aviv” s’intendono solo gli ebrei razzisti. I neri che ci vivono non sono considerati normali residenti. Sono topi che infestano quel posto. Il grado di cattiveria nei loro confronti è apparso in tutta la sua evidenza nelle reazioni all’accordo con l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati annunciato da Netanyahu. Perché deportarli in Europa e in Canada? Perché non cacciarli in Africa? Perché non buttarli fuori con la forza? È difficile capire questo sentimento.
Netanyahu si è limitato a cavalcare l’onda di questi sentimenti spregevoli, non li ha creati. Un leader degno di questo nome li avrebbe combattuti, ma in Israele un leader del genere non si vede all’orizzonte. Alcuni cittadini israeliani si oppongono. Non c’è alcun motivo per non definirli per quello che sono: persone migliori, più caritatevoli, più di sinistra. Non sono una minoranza trascurabile, ma la guerra che è stata scatenata contro di loro dalla maggioranza li ha paralizzati.
Il fatto che il presentatore radiofonico Kobi Meidan abbia dovuto scusarsi per aver scritto “mi vergogno di essere israeliano” dopo il massacro di Gaza del 30 marzo ci fa capire che queste persone hanno perso.
Se il massacro di Gaza e la deportazione dei migranti dal sud di Tel Aviv non spingono la minoranza a scendere in piazza, come dopo i massacri di Sabra e Shatila del 1982, significa che è una specie in via d’estinzione.
Siamo ancora una nazione della maggioranza.