Carlos Balmaceda ha descritto ai giocatori come sarebbe il conflitto tra Palestina e Gerusalemme se fosse a Rosario o a Buenos Aires.
6 giugno 2018
Un argentino ha scritto una lettera a Lionel Messi, Sergio Agüero e Ángel Di María per spiegare con estrema efficacia il conflitto tra Israele e Palestina e perché gli attivisti hanno chiesto la sospensione dell’incontro che la nostra squadra aveva in programma contro Israele sabato prossimo.
Imperdibile e fantastica. La lettera integrale di Carlos Balmaceda ai giocatori della squadra nazionale.
Kun, Angel, Lionel:
E’ fatta. La decisione di giocare una partita dove da 70 anni si perseguita, imprigiona e uccide un popolo che continua a resistere a queste atrocità, è stata lasciata alle spalle.
Complimenti.
Capisco che vivete sollecitati da un ambiente ultra professionale, dove gli aspetti politici di ciò che accade nel mondo di solito sono messi da parte; che vivere sotto una campana di centinaia di milioni di dollari non deve essere facile, ma mi permetto da questo umile spazio di raccontarvi un po’ delle caratteristiche di quel massacro che stavate per avallare e che, fortunatamente, per buon senso ed empatia con il popolo palestinese, avete evitato.
Stavate andando a giocare a Gerusalemme dove 100 anni fa si viveva in pace e senza differenze etniche o nazionali.
Dal 1948, quando fu fondato lo Stato di Israele, le cose sono cambiate.
Oggi il territorio in cui viveva il popolo palestinese è stato diviso in due e da allora è poi stato rubato ai suoi abitanti originari.
Le due zone in cui è stato diviso sono Gaza e Cisgiordania.
Per farti capire Lionel, Gaza è Rosario e Santa Fe in Cisgiordania. I due formano un unico paese, ma sono separati da confini controllati da soldati armati fino ai denti. Le persone che vivono lì fanno parte dello stesso paese, ma non possono comunicare tra di loro. Capito?
Da Rosario, che sarebbe Gaza, non puoi andartene, e quando diciamo che non puoi andartene diciamo che sei rinchiuso, per questo la stampa internazionale chiama Gaza “la più grande prigione a cielo aperto del mondo”.
Immagina ora questo, abbiamo già detto che Rosario è Gaza. Devi giocare lì e vivi nel Paraná. Per prima cosa devi andare in Cile, poi in Uruguay, e qualche volta da lì non ti permettono di passare il confine per arrivare a Rosario. Pensi che sia un’esagerazione? Non lo è. Nel film “Yallah! Yallah!”, un documentario sul calcio in Palestina, un calciatore che vive in Cisgiordania, che sarebbe la città di Santa Fe, racconta che per arrivarci prima deve andare in Giordania, poi in Egitto e, una volta a Gaza, non è detto che possa più uscire di nuovo. Ecco perché i genitori di questo calciatore non conoscono il loro nipote, perché per loro è impossibile attraversare il confine.
Per immaginare questo devi pensare che il tuo vecchio vive a Valencia, tu, come ora, a Barcellona, ma non si può passare da un posto all’altro, quindi tuo padre non conosce né Thiago né Mateo o Ciro, anche se sono lì, molto vicini.
Quanto è grande Gaza? Vediamo, Kun, per darti un’idea, immagina una mappa stradale che da El Pato, passando per Berazategui, ti porta a Congreso. Come se avessi preso il 129 viaggi per tutto questo percorso e il paese finisce. E in larghezza, in alcuni punti, Gaza è come andare da Puerto Madero all’Avenida La Plata, a metà della linea A della metropolitana.
Quindi immaginiamo che quel pezzo di periferia che conosci sia Gaza, che quelli sono i suoi limiti. Se vuoi uscire attraverso il fiume, mettilo all’altezza di Sarandí, sulla Costa – che conosci di sicuro perché hai vissuto solo lì – ti sparano, non puoi attraversarlo.
Infatti nel 2014, solo per giocare a pallone su quelle spiagge, quattro bambini sono stati uccisi. Se hai tempo, prima di vedere l’ultimo meme* che ti hanno dedicato su Instagram, vai su Youtube e guarda le immagini del crimine.
Quei bambini, tutti tra i 10 e gli 11 anni, solo un po’ più grandi di Benjamin, sono Ahed, Zakaria, Ismail Baker e Muhammad. I giornalisti trattenuti in un hotel vicino hanno visto tutto. Israele ha chiuso il caso un anno dopo senza condannare i responsabili.
Sei nato nell’ospedale di Piñeyro, quindi puoi immaginare Riachuelo come parte di quel mare, quattro bambini che giocano a pallone sulla riva e un missile che esplode proprio quando questi bambini urlano un gol.
Quell’anno non furono gli unici ragazzi uccisi. Israele bombardò Gaza e uccise altri 500 bambini e 2000 adulti. Te lo racconto, racconto a tutti come funziona: a volte le case che verranno attaccate vengono chiamate per telefono, in altre, proiettili vengono lanciati sui tetti, con i quali si suppone che la gente darà per scontato l’attacco e scapperà.
Questa, come capirai, non è una guerra. È un massacro in cui un paese che ha aeronautica, esercito e marina uccide civili.
Suppongo che voi, Kun, Lionel, Angel, sappiate cosa significa subire un infortunio al ginocchio, quindi immaginate cosa sarà stato per Mohammed Khalil, un giocatore di Al-Salah FC, essere colpito da un soldato israeliano. Ora Mohammed ha bisogno di una protesi per camminare di nuovo, comunque non giocherà mai più. Si può vedere il momento dalle riprese su Internet, fatte con lo stesso cellulare da cui ora invia un “tweet”, perché Mohammed, l’unica cosa che stava facendo, era riprendere solo una marcia pacifica e ha ripreso quella che poteva essere la sua stessa morte.
Angel, immagino che per il dolore che tu hai passato nel sentirti dire che avresti perso la tua bambina appena nata – le avevano dato il 30% di probabilità di sopravvivenza – capirai quello che sto per dirti: poche settimane fa Leila, una bambina di nove mesi, è morta asfissiata dai gas lacrimogeni nella stessa marcia che ha messo fine alla carriera di Mohammed.
E’ successo quando i palestinesi che vivono a Gaza si sono avvicinati al confine per protestare perché si era deciso che Gerusalemme, dove avreste giocato, sarà la capitale di Israele. Nello stadio in cui giocheranno la loro partita, infatti, c’era un villaggio palestinese che è stato raso al suolo e ora sareste andati lì, per mettere un manto di oblio su tutti quei morti.
Lo so, Angel, che hai un tatuaggio che dice “Essere nato in calle Perdriel era e sarà la cosa migliore che mi è successa nella vita”, cioè, sai qual è l’orgoglio di appartenere a un luogo, di riconoscerti in ognuno dei tuoi amici, sentire che questo è il centro del mondo. Ora prova a immaginare che per 70 anni i palestinesi sono stati cacciati dalle loro case, da tutte le calle Perdriel, e alcuni di loro sono ormai molto vecchi con le chiavi in tasca come segno di appartenenza e resistenza, perché proprio come te sanno che essere nato in una strada di Gaza, in Cisgiordania o a Gerusalemme è la cosa migliore che sia capitata loro nella vita.
Kun, Lionel, Angelito, avete attraversato molte difficoltà per arrivare dove siete. Tu, Angel, con le mani nere di carbone, ad aiutare il tuo vecchio; Kun, a passare momenti difficili in una famiglia con così tanti fratelli in cui non c’era più niente; e tu Lionel, nel superare il tuo problema di crescita, in un paese dove una crisi – prodotta dagli stessi leader che oggi vi hanno chiamato a giocare in Israele – non ti ha permesso quella terapia.
Immaginate che, una volta raggiunta la Nazionale, siete pronti per giocare le qualificazioni per la Coppa del Mondo. Ma non si lascia fare. Non è che si deve passare attraverso una classificazione difficile come quella attraversata, è che non si è autorizzati a giocare. Bene, questo è quello che è successo alla Nazionale Palestinese nel 2011, quando per la prima volta ha giocato contro l’Afghanistan in una eliminatoria, vinto 1-0 ed è passata al turno successivo. Ma nei giorni precedenti alla partita diversi giocatori sono stati trattenuti per ordine di Israele ai confini con la Cisgiordania e Gaza.
Hanno perso contro la Thailandia giorni dopo, senza metà della squadra.
E’ stato l’unico inconveniente che hanno avuto? No, questo è normale per i palestinesi. Questo e la morte. Ahed Zaqout, uno dei giocatori della squadra nazionale, è stato ucciso da un missile nel 2014 e, in effetti, 32 atleti sono stati uccisi, più di 30 strutture sono state distrutte e la perdita economica è stata calcolata in circa 3 milioni di dollari.
La decisione che avete preso oggi, per tutto questo, non è una via d’uscita da una situazione complicata, non è evitare una polemica, ma, si spera, un modo per iniziare a prendere coscienza del posto che occupate, di quanto felici o infelici possiate rendere le persone e quanto rappresentate per milioni di palestinesi che indossano con orgoglio la maglietta nazionale o quella che indossano nei loro club.
Benvenuti nella lotta.
Carlos Balmaceda
*Il termine ‘meme’ deriva dal greco mímēma e significa imitazione e più semplicemente fa riferimento a un contenuto che in poco tempo diventa virale.
Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org