Il parlamento israeliano ha iniziato a studiare un emendamento per criminalizzare le riprese, la registrazione o la trasmissione di contenuti su soldati israeliani in servizio. Reporters sans frontières denuncia una bozza contraria al diritto di informare e invita la Knesset a respingere questo emendamento.
20 giugno 2018
Filmare o registrare soldati israeliani nell’esercizio delle loro funzioni o trasmettere queste immagini o suoni sui social media o sui media diventerà illegale? La Knesset ha iniziato a studiare mercoledì 20 giugno una bozza di emendamento che prevede la condanna a 5 anni di carcere di chiunque abbia fatto intenzionalmente immagini o registrazioni tali “da minare il morale di Israele e dei suoi abitanti”. Questa sentenza porta a 10 anni di carcere se “l’intenzione di danneggiare la sicurezza dello Stato” è dimostrata.
“Su quale base” sarà determinata l’intenzione di danneggiare il morale o la sicurezza di Israele della persona che riprende le immagini?” si chiede Reporters sans frontières. In un paese in cui gran parte della classe politica sta già accusando i media e le ONG di anti-patriottismo e “tradimento”, una tale clausola non impedirebbe la diffusione di immagini con il semplice pretesto di essere poco lusinghiero? RSF esorta i parlamentari a non adottare un emendamento che costringa i giornalisti a accontentarsi dei contenuti forniti dall’esercito israeliano e le immagini di propaganda, per evitare il carcere.
Proposto diversi mesi fa dal partito di estrema destra Yisrael Beitenu, l’emendamento modifica l’articolo 2 del codice penale sul “tradimento” e in particolare il 103° paragrafo dedicato alla “propaganda disfattista”. Mercoledì 20 giugno, un rappresentante del governo israeliano, Tzachi Hanegbi, ha ritenuto che ciò potesse costituire un ostacolo alla libertà di espressione e ha sostenuto che questa clausola si applica solo in caso di “intralcio a un soldato in servizio” e dovrebbe essere limitato a una pena di 3 anni.
Gli autori dell’emendamento giustificano la loro proposta per l’esistenza di gruppi “sostenuti da associazioni, organizzazioni o governi ostili a Israele”, che “trascorrono il loro tempo a filmare e provocare i soldati” nella speranza di “un atto che possa essere registrato in maniera distorta e utilizzato per denigrarli”. Alcune di queste organizzazioni sono citate specificatamente, come B’Tselem, MachsomWatch e Breaking The Silence, altre inglobate sotto il nome di organizzazioni “pro-BDS” (Boicott Divestment Sanctions).
Nel 2016, le riprese di un giornalista cittadino con una macchina fotografica fornita da B’Tselem hanno aiutato a dimostrare che il soldato Elor Azaria aveva ucciso un aggressore palestinese già neutralizzato. Lo scorso aprile, durante la violenta repressione delle marce nella Striscia di Gaza verso la zona di confine con Israele, che ha ucciso almeno 132 abitanti di Gaza, altri due video di soldati hanno suscitato di nuovo polemiche nella società israeliana.
Il primo mostrava un soldato che sparava a un abitante di Gaza. Il ministro della Difesa aveva poi dichiarato che il soldato che aveva sparato si era comportato in modo appropriato, ma non quelli che lo avevano filmato. In un altro video, girato da Boycott From Within, attivisti dell’organizzazione israeliana di sinistra mettono i soldati davanti alla realtà delle loro attività alla barriera della Striscia di Gaza chiedendo: “I vostri genitori sono felici quando andate a casa dopo aver ucciso dei civili? Voi e l’esercito del terrore di cui fate parte avete massacrato 21 civili innocenti!”
L’idea di limitare la libertà di espressione dei media israeliani considerata ostile e una minaccia per la sicurezza del proprio paese non è nuova. Lo scorso settembre, il Ministro israeliano delle Comunicazioni ha dichiarato la sua diffidenza nei confronti di Israel Social TV, affermando: “La libertà di espressione è un bene per i cittadini di Israele che accettano e rispettano la legge e sono preoccupati per la sicurezza e il futuro di Israele. Ma quando si tratta di organizzazioni che vogliono danneggiare la sicurezza e il futuro di Israele, non possiamo permetterci di essere ingenui e innocenti, dobbiamo fermarli”.
Per quanto riguarda Breaking The Silence, una ONG che registra e diffonde testimonianze di ex soldati, il suo portavoce, qualificato dal Ministro della Giustizia come “un bugiardo che diffama lo Stato di Israele in tutto il mondo” è attualmente perseguito dalla giustizia.
Da parte loro, i giornalisti e le ONG che sanno di essere interessati da questo emendamento hanno espresso la loro determinazione. Per l’organizzazione B’Tselem: “se il governo è imbarazzato dall’occupazione, dovrebbe lavorare per porle fine. In ogni caso, ci saranno sempre immagini di vita sotto occupazione”. Il giornalista e editoralista israeliano Gideon Levy, da parte sua, il 17 giugno ha scritto sul quotidiano Ha’aretz:
“Noi violeremo questa legge con orgoglio. Continueremo a documentare, fotografare e scrivere”.
Ha detto che spera che i testimoni palestinesi continueranno a fare lo stesso, anche se il prezzo da pagare per loro è molto più pesante che per gli israeliani.
Lo scorso maggio, RSF ha presentato una denuncia alla Corte penale internazionale su circa 20 giornalisti palestinesi che sono stati uccisi da cecchini dell’esercito israeliano a Gaza durante la marcia del ritorno.
Israele è 87° nella classifica mondiale di RSF della libertà di stampa 2018.
(nota Invictapalestina: Italia con la censura che conosciamo e la maggior parte delle testate legate a gruppi di potere o partiti è al 46° posto, ai primi posti abbiamo i paesi nordici – classifica completa: https://rsf.org/fr/classement).
Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org