Storie di ordinario bullismo internazionale.

TREVISO – «Ho riso per la disperazione, pianto per la paura e la vergogna, sono stato zitto come un codardo per il terrore di non essere scarcerato».

di Elisio Trevisan – Sabato 29 Marzo 2014 – ARCHIVIO

Andrea Pesce, 45 anni, è tornato in Italia dopo due giorni passati in prigione a Tel Aviv: «In realtà mi hanno detto che era una “migration facility” ma aveva sbarre alle finestre, reti alte che circondavano l’edificio, e celle con porte blindate». Andrea è un uomo pacifico, non un pacifista, non ha mai partecipato a manifestazioni anti Israele o semplicemente per la pace in quei territori. Il suo errore è stato non aver detto subito ai poliziotti dell’aeroporto israeliano che si sarebbe recato vicino a Betlemme, in territorio palestinese, per trascorrere un periodo di volontariato sulla collina di “Tent of nations”, la tenda delle nazioni, associazione che pratica la non violenza fondata dal proprietario dei terreni.

Andrea è trevigiano, ex nazionale del Benetton rugby, e veneziano d’adozione perché da anni cura la Stella Maris’ Friends, una Onlus che assiste i marittimi del porto. Non è la prima volta che si reca in Israele e nei territori palestinesi. Dieci anni fa tornò da un viaggio con molte fotografie pubblicate nel libro “Figli di Abramo”, con la postfazione di Amos Luzzatto, allora presidente delle comunità ebraiche italiane.

Questa volta Andrea voleva trascorrere un mese come volontario su quella collina. È partito martedì 18 da Venezia, col volo delle 13:45 della El Al, compagnia di bandiera israeliana. «A Tessera personale israeliano mi ha fatto vuotare lo zaino, spogliare nudo e riempito di domande. Poi sono partito e a quel punto ho pensato non ci fossero più problemi». È arrivato a Tel Aviv alle 18:30, hanno cominciato ad interrogarlo alle 19:30, «chiedevo un po’ d’acqua e non me la davano. Cambiavano le persone ma mi facevano sempre le stesse domande. A mezzanotte, due funzionarie del ministero dell’Interno mi hanno chiesto perché andavo a fare volontariato sulla collina, e allora ho capito che stavano leggendo le mie mail. Gli ho detto, dunque sapete benissimo che non ho nulla da nascondere. Ridacchiando mi hanno risposto: se ci dicevi subito che andavi a fare volontariato ti lasciavamo andare».

Poteva sembrare finita la storia, invece per Andrea Pesce il vero incubo stava per cominciare. «Mi hanno svuotato di nuovo il bagaglio e altra ispezione corporale. Alle tre di notte mi hanno caricato in un pulmino fino all’edificio con le sbarre e mi hanno ficcato dentro una cella. Non ho chiuso occhio, battevo con i pugni contro la porta per chiamare qualcuno».

Alle 7:30 di mattina è arrivato uno che gli ha annunciato l’aereo in partenza per Milano alle 18:30: «Vuoi andarci o no? mi ha gridato più volte. E io, piangendo, ho detto fatemi andare a casa. Mi hanno risbattuto in cella, fino a che finalmente un essere umano mi ha aperto e dato un po’ di tè, e mi ha fatto uscire per una ventina di minuti». Alle 9:30 ha potuto chiamare l’ambasciata italiana in Israele: «Giuseppina De Maria mi ha detto che nel luogo dove mi trovavo era come se non fossi in Israele. Le ho chiesto almeno di avvisare mia moglie». È nella stanza della telefonata che Andrea incontra due israeliane a capisce che erano visitatrici alle quali stavano raccontando come la struttura fosse molto umana, che la gente era trattata bene e le celle pulite. «Ho provato una cosa tremenda per la prima volta in vita mia: io che da anni dico ai marittimi che devono raccontare se li trattano male in navigazione, altrimenti nessuno potrà aiutarli, non ho avuto il coraggio di aprire bocca e di dire che ero tenuto prigioniero, perché avevo paura non mi facessero tornare a casa».

Alle 17:35 lo hanno caricato su un blindato e l’hanno portato all’aereo. «Dal mio arrivo a Tel Aviv fino al mio rientro in Italia sono passate 24 ore, 9 delle quali sotto interrogatorio in aeroporto e 15 in prigione. Il passaporto col timbro entry denied, entrata in Israele negata, e il biglietto aereo sono le uniche prove di tutto ciò. Isabella Starnone del ministero degli Esteri italiano mi ha detto, un po’ infastidita, che posso presentare un esposto». E l’ambasciata israeliana in Italia non risponde: da giorni c’è sciopero contro i tagli decisi dal governo.

Fonte: https://www.ilgazzettino.it/nordest/primopiano/andrea_pesce_benetton_rugby_prigioniero_israele_palestina_volontario_treviso-348048.html

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