La leadership emergente del Golfo si è scrollata di dosso l’attaccamento degli anziani alla causa palestinese. Sono convinti che una Palestina indipendente significhi consegnare ai sunniti e all’Iran un’altra capitale araba.
Foto di copertina: Palestinesi di Gaza bruciano un ritratto del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman durante protesta contro la decisione del presidente Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele – AP Photo Khalil Hamra
di Haisam Hassanein 5 agosto 2018
Che ci sia un ampio divario tra la posizione del re dell’Arabia Saudita Salman bin Abdel Aziz, che sostiene pieni diritti per i Palestinesi, in contrapposizione a suo figlio, il principe ereditario Mohammed bin Salman (noto come MBS) non dovrebbe sorprendere i politici occidentali.
Recentemente ci sono state chiare indicazioni di questa divergenza. Il principe ereditario ha riconosciuto il diritto di Israele di esistere e sembra abbia detto che i Palestinesi dovrebbero o “zittirsi” o fare pace con Israele.
Contraddicendolo, il re Salman ha ribadito “la ferma posizione del Regno nei confronti della questione palestinese e dei legittimi diritti del popolo palestinese per uno stato indipendente”, e recentemente ha dichiarato che il piano di pace del presidente degli Stati Uniti Trump deve includere Gerusalemme est come capitale palestinese.
Gli stati del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, stanno vivendo un enorme cambiamento socio-politico che ha accelerato un gap generazionale che si stava allargando da tempo. Una particolare divergenza nel modo di pensare tra le generazioni più giovani e quelle più anziane è quale approccio adottare nei confronti dei Palestinesi.
I sauditi della vecchia generazione sono cresciuti negli anni ’50 e ’60 durante l’apogeo del nazionalismo arabo, il cui abbraccio della causa palestinese era stato il principale motore di tutti gli eventi nella regione. Mentre i Sauditi non hanno mai pienamente sostenuto il nazionalismo arabo, adottarono la causa palestinese per prevenire attacchi basati su accuse di mancanza di solidarietà da parte dei loro oppositori, ovvero i nazionalisti arabi.
Così, la generazione più anziana del Golfo incarnata dal re saudita Salman crede profondamente nella causa palestinese, qualunque sia il carattere politico che la leadership palestinese esibisce.
Le generazioni più giovani invece, influenzate e guidate da MBS e dal suo stretto alleato Mohamed bin Zayed (MBZ), il principe ereditario di Abu Dhabi e primo fautore della politica estera degli Emirati Arabi Uniti, mostrano molta meno equanimità politica; danno la priorità alla realpolitik rispetto alla nostalgia. Hanno smesso da tempo di ignorare ciò che considerano problematici pregiudizi politici all’interno della Cisgiordania, a Gaza e persino tra la diaspora palestinese di tutto il mondo.
Si rendono conto che i Palestinesi in generale non sono entusiasti sostenitori degli interessi sauditi o degli Emirati nel controllare il potere dei politici sciiti, in particolare dell’Iran, e dei politici sunniti, in primo luogo i Fratelli musulmani.
A lungo nel Golfo era esistita una scuola di pensiero che richiedeva una separazione tra gli interessi nazionali degli Stati del Golfo e la causa palestinese, ma questa era una posizione impopolare tra la gente. Negli ultimi anni invece questa stessa posizione è stata sempre più condivisa, prima da parte delle élite più giovani e poi più in generale, specialmente da quando la stessa Arabia Saudita è stata vittima di un attacco missilistico da parte dei vicini iraniani.
La generazione più giovane ha visto attraverso i social media gli attacchi lanciati dai Palestinesi contro i loro Paesi, tra cui l’incendio delle immagini di MBS a Gaza. Durante i Mondiali di calcio, molti Palestinesi si sono precipitati a tifare per l’Iran contro i suoi avversari occidentali, mentre sostenevano i Paesi occidentali contro la squadra nazionale saudita. Questa esperienza immediata e viscerale differenzia la generazione più giovane del Golfo dai suoi anziani.
La vecchia generazione di politici sauditi ed emiratini ha conosciuto queste tendenze politiche palestinesi per anni, ma le ha ignorate nella speranza che una volta creato lo Stato Palestinese, gli attori locali solidali con l’Iran avrebbero avuto un incentivo a moderare le loro posizioni, posto che l’Arabia saudita avesse offerto generosi contributi finanziari. La previsione generale era che l’emergere di nuovi gruppi moderati avrebbe controbilanciato i radicali.
Le generazioni più giovani del Golfo invece non sono convinte che la moderazione seguirà all’instaurazione di uno stato palestinese. Ritengono che sia più probabile che uno stato palestinese completamente indipendente sia di per sé ostaggio di forze radicali e diventi in realtà una fonte estrema d’instabilità nella regione.
MBS e MBZ credono che la creazione di uno stato palestinese significherebbe consegnare all’Islam sunnita e iraniano un’altra capitale araba da controllare e influenzare. L’influenza iraniana tra i gruppi palestinesi si è consolidata nel corso degli anni, e i due principi ereditari ritengono sia irreversibile.
L’esempio di Gaza rinforza la loro posizione. I sunniti hanno gestito la Striscia disastrosamente per oltre un decennio, aprendo la porta all’influenza del Qatar e della Turchia. E che ciò possa portare a conflitti in Egitto, rafforza ulteriormente la convinzione che una Palestina indipendente sarebbe una fonte d’instabilità.
Certamente MBS e MBZ non sono così sciocchi da fare lobby e finanziare la creazione di uno stato che sarebbe sicuramente uno stato satellite iraniano, analogo a uno stato satellite dell’era sovietica.
Nonostante ciò, molti politici occidentali continuano a fantasticare sull’idea che i paesi del Golfo potrebbero fornire denaro per la nascita e lo sviluppo di uno stato palestinese – anzi, secondo quanto riferito, questo è uno dei principi fondanti del piano di pace Trump-Kushner.
Non succederà mai. Coloro che dettano attivamente la politica nel Golfo sono convinti che ogni dollaro che i Sauditi danno ai Palestinesi significhi consegnarlo all’Iran. È probabile che i Sauditi e gli Emirati promettano di fornire assistenza finanziaria in pubblico, ma i responsabili delle politiche statunitensi non dovrebbero credere che, una volta arrivati al punto, manterranno l’impegno.
Per quelli che a Washington sognano un’altra svolta nel processo di pace, un’altra stretta di mano Rabin-Arafat sul prato della Casa Bianca, questa volta mediata dal Golfo – ci sono poche possibilità che questo diventi qualcosa di più di un miraggio.
Il Medio Oriente è cambiato rispetto agli anni ’90, e proprio come i Sauditi e gli Emirati si sono resi conto dei pregiudizi politici dei Palestinesi, i responsabili delle politiche statunitensi dovrebbero tenere il passo e sviluppare il loro modo di pensare per servire al meglio gli interessi americani, e non per ripetere gli errori del passato.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org
Fonte: https://www.haaretz.com/middle-east-news/.premium-the-saudis-who-won-t-fund-facilitate-or-fight-for-a-palestinian-state-1.6342634