Ragazze palestinesi coltivano la rivista “Zahrat” dietro le sbarre

Due anni fa, un piccolo gruppo di adolescenti palestinesi detenute in un carcere israeliano, aveva creato una rivista segreta. Ora, sperano di farla rivivere.

Ahmed Sammak – 3 Agosto 2018

Foto di copertina: Una foto scattata nel luglio 2018 di una pagina della rivista “Zahrat”scritta a mano da adolescenti palestinesi incarcerate nella prigione israeliana di Hasharon

Nonostante gli stretti controlli e il rischio di pesanti punizioni, un gruppo di ragazze palestinesi nella prigione israeliana di Hasharon era riuscito a pubblicare una rivista per raccontare la loro storia da dietro le sbarre.  Ora sperano di farla rivivere.

La rivista era nata da un’idea di Mona Qa’adan, un’ex-prigioniera di Jenin. “Mi è venuta l’idea di una rivista quando ho notato che alcune delle prigioniere minorenni avevano  talento nello scrivere e nel disegnare”, ha detto ad Al-Monitor. Quando ha proposto loro l’idea, le ragazze hanno accettato di scrivere le loro opinioni, i loro sentimenti, quello che avevano affrontato durante il loro arresto e come trascorrevano il loro tempo in prigione. Qa’adan è stata rilasciata prima che uscisse il primo numero, ma le detenute sono riuscite a contrabbandarne una copia e a fargliela avere.  Due anni dopo, Mona ancora conserva quella preziosa prima edizione.

Il gruppo ha deciso di titolare la rivista “Zahrat”, che significa “fiore” in arabo; è il nome dato alle ragazze nelle prigioni israeliane. Sono riuscite a produrre 15 numeri scritti a mano. Il primo numero, datato 22 settembre 2016, è lungo 12 pagine. L’ultimo, con 34 pagine, è uscito il 29 dicembre 2017. Otto copie sono state fatte uscire di nascosto dalla prigione di Hasharon, balzata recentemente all’onore delle cronache perché Ahed Tamimi, l’adolescente palestinese che ha schiaffeggiato un soldato israeliano, era detenuta lì.

Anche ora, il gruppo mantiene il segreto su come riuscirono a far uscire le copie dal carcere. “Abbiamo diversi modi efficaci per farlo”, ha detto Qa’adan ad Al-Monitor.

I primi due numeri della rivista si sono concentrati su argomenti culturali, sociali e religiosi. È stato nel terzo numero che le ragazze hanno iniziato a parlare delle loro sofferenze all’interno del carcere.

La mancanza di materiale è stato l’ostacolo principale . “Ricevevamo  le matite colorate dalla Croce Rossa, che visitava la prigione ogni sei mesi. Ogni cella riceveva 12 matite. C’erano 11 celle, alcune delle quali avevano quattro, sei o otto prigioniere. Lavoravamo su più di una copia dello stesso numero , nel caso in cui fossimo state scoperte. Siamo riuscite a finire 15 numeri in totale, ma solo otto sono stati fatti uscire di nascosto dal carcere “, ha detto Qa’adan.

Una pagina della rivista prodotta a mano dalle ragazze palestinesi incarcerate nella prigione israeliana di Hasharon

Una copia dell’ultimo numero è stata contrabbandata da Malak al-Ghaliz, 15 anni, la prigioniera più giovane, quando è uscita dal carcere il 29 dicembre 2017. Ghaliz, condannata a otto mesi per aver tentato di pugnalare un soldato israeliano al checkpoint di Qalandia nel sud di Ramallah il 20 maggio 2017, si occupava della rubrica culturale.

Ha raccontato ad Al-Monitor la sua storia, parte della quale è stata narrata nella rivista. “Quando mi hanno arrestata per la prima volta al checkpoint, mi hanno spruzzato spray al peperoncino in faccia e mi hanno tenuta per cinque ore con le mani ammanettate dietro la schiena. Sono stato trasportata in un veicolo militare, e il soldato che era seduto di fronte a me ha continuato a colpirmi dal checkpoint fino alla prigione. Quando siamo arrivati, altri soldati mi hanno preso in giro, mi hanno maledetto e mi hanno fatto delle foto con i loro smartphone. Alcuni di loro hanno minacciato di colpirmi “, ha detto Ghaliz ad Al-Monitor.

Ghaliz ha detto che la vita in prigione era soffocante, con divieti imposti sulle parole e sulle attività creative. “In carcere non avevamo il permesso di pronunciare la parola ” Palestina “, e nemmeno di disegnare la nostra bandiera. Le nostre celle venivano perquisite tre volte al giorno. Due guardie carcerarie passavano ogni 30 minuti nelle nostre stanze per controllare di cosa stavamo parlando e cosa avevamo scritto. Una volta, Iman Ali, un’ altra prigioniera, fu trovata con alcuni disegni della Palestina. È stata costretta a strapparli “.

Ghaliz ha espresso la speranza che un giorno le organizzazioni a sostegno de* prigionier* e quelle per i diritti umani possano interessarsi alla rivista: “Dovrebbero prendersene cura. Il fatto che la rivista sia scritta a mano dalle prigioniere stesse, non è di per sé stessa un’evidenza della loro sofferenza quotidiana? Questa rivista mostra che possono imprigionare i nostri corpi ma non le nostre anime. La rivista è molto importante per noi perché, nonostante tutte le difficoltà che abbiamo affrontato, abbiamo continuato a scrivere “.

Tasnim Halabi, l’editrice di diciassette anni, ha affermato che la rivista conteneva diverse sezioni, tra cui una sulla vita delle prigioniere, nonché sezioni su cultura, religione e notizie. “All’inizio, non abbiamo scritto di noi stesse per paura di essere scoperte, ma in seguito abbiamo iniziato a fare proprio questo. Cercavamo di raccogliere quante più matite possibile ogni volta che apparivamo davanti ai tribunali israeliani “, ha detto Halabi ad Al-Monitor.

Halabi è stata arrestata per un tentativo di accoltellamento al posto di blocco di Beit ‘Ur a Ramallah nell’aprile 2016 ed è stata rilasciata il 3 maggio 2017.

Ha detto che la parte peggiore è stata l’inizio, l’arresto, spiegando che lei e un’amica sono state picchiate dagli investigatori, trasportate dalla prigione al tribunale con le mani e i piedi legati e subendo ogni tipo d’insulto.

Ha aggiunto che un’insegnante palestinese di Giaffa era solita andare ogni mese al carcere per insegnare e che in quell’occasione portava con sé dei documenti. Ma smise di andare alla fine del 2016.

Qa’adan, l’unica adulta della squadra, è stata arrestata cinque volte dalle forze di occupazione israeliane. La prima volta è stata nel 1999, ed è stata detenuta per 37 giorni, durante i quali è stata torturata e interrogata sulla gestione dell’ Associazione “Al-Baraa Association for Muslim Girls”con sede a Jenin, accusata di sostenere il terrorismo. Qa’adan aveva respinto tale accusa dichiarando che Al-Baraa sosteneva  le famiglie dei martiri e dei prigionieri e diffondeva gli insegnamenti del Corano.

È stata arrestata l’ultima volta nel 2012 per aver riaperto Al-Baraa ed è stata detenuta ad Hasharon. È stata rilasciata nel marzo 2016 dopo aver pagato una multa di 30.000 shekel ($ 8.250).

Attualmente Qa’adan insegna in un programma di master in studi e sviluppo delle donne presso l’An-Najah University di Nablus ed è attiva nella difesa dei diritti delle donne palestinesi prigioniere .

“Ho incontrato diverse associazioni interessate ai problemi delle detenute, ma nessuno ha voluto pubblicare la rivista. Se fosse stata supportata in modo appropriato e fosse riuscita a mettere in risalto le vite delle detenute, ciò avrebbe avuto un grande impatto “, ha affermato.

Abdul-Nasser Farwana, che dirige il dipartimento di studi e di documentazione del “Palestinian Prisoners’ Affairs Authority”, ha dichiarato ad Al-Monitor: “Questa rivista è un passo molto positivo per evidenziare, anche se molto semplicemente, la sofferenza delle donne prigioniere nelle carceri israeliane. È importante avere qualcuno che scriva da dentro le prigioni per far conoscere al mondo queste giovani”

Ha sottolineato che tali progetti potrebbero stimolare la comunità araba e internazionale a fare pressione sulle forze israeliane per trattare meglio i/le loro prigionieri/e.

Ahmed Sammak è un giornalista palestinese indipendente che si è laureato presso la Facoltà di Media and Mass Communication all’Università Al-Azhar di Gaza nel 2018. Ha lavorato per vari media locali, tra cui Mashreq News.

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”Invictapalestina.org

Fonte :https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2018/08/palestinian-minors-publish-magazine-behind-bars.html#ixzz5N9uuaG9A

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