Un accordo di pace tra Gaza e Israele allargherebbe la spaccatura tra le fazioni palestinesi e consoliderebbe la frammentazione dei territori palestinesi
Safa Joudeh, 13 agosto 2018
La scorsa settimana il Movimento di resistenza islamica (Hamas) e Israele hanno rilasciato dichiarazioni che annunciano una svolta negli sforzi pan-arabi per negoziare un accordo completo di cessate il fuoco tra le due parti. Anche se Israele nei giorni scorsi ha lanciato un nuovo round di attacchi contro aree civili a Gaza, i colloqui mediati da Egitto e Qatar hanno continuato a guadagnare slancio, con l’escalation descritta come uno sforzo da parte di Israele per risultare dominante nei negoziati.
L’accordo proposto è stato sollecitato da richiami internazionali per riportare la calma dopo mesi di proteste vicino alla recinzione che separa Gaza da Israele, dove migliaia di palestinesi sono stati feriti e uccisi. Ma i dettagli trapelati dell’accordo, spinto dalla Casa Bianca e dagli inviati delle Nazioni Unite nella regione, indicano obiettivi a più lungo termine.
Allargare il divario
Un accordo di pace più ampio tra Gaza e Israele punta a stabilire dei meccanismi per trattare con l’enclave, separata dal resto dei territori palestinesi in Cisgiordania, al fine di rendere Gaza più gestibile per Israele.
Il fallimento dell’Autorità palestinese (AP) nel porre fine alla divisione politica con Hamas e nel prendere il controllo di Gaza ha contribuito a dare slancio all’iniziativa. Ciò ha spianato la strada per spostare l’agenda della mediazione della comunità internazionale dalla realizzazione dell’unità interna palestinese all’intermediazione per un accordo bilaterale di tregua tra Hamas e Israele, allargando così la spaccatura diplomatica tra le fazioni rivali e consolidando la frammentazione dei territori palestinesi.
Per consolidare il divario amministrativo tra le due aree (Gaza e Cisgiordania), gli architetti della trattativa hanno proposto di allentare il blocco congiunto israelo-egiziano su Gaza e di stabilire progetti economici nella striscia e lungo il confine con l’Egitto, creando un’area economica contigua con il Sinai settentrionale che servirà i residenti di Gaza, che la renderebbe effettivamente un’entità separata dalla Cisgiordania.
Fine del blocco
Secondo fonti ufficiali, l’accordo sancisce la fine delle attività armate di Hamas a Gaza a condizione che vengano rimosse le restrizioni sui confini di Gaza. L’accordo porrebbe fine al blocco che ha devastato l’economia di Gaza e portato a una crisi umanitaria con carenza di acqua, elettricità e medicinali.
Si propone di riaprire il valico di Rafah tra Gaza ed Egitto subito – e continuativamente – per il movimento di persone e merci. Il valico commerciale di Karni tra Gaza e Israele verrebbe aperto per l’import-export commerciale. Se l’affare dovesse andare in porto miliardi di dollari in aiuti dei donatori dovrebbero essere investiti in progetti volti a ricostruire l’economia di Gaza.
Un’altra componente chiave del piano è l’esecuzione di progetti economici e infrastrutturali nel Sinai per sostenere la ripresa economica di Gaza, spezzando nel lungo termine l’attaccamento del territorio all’AP. Ciò include la costruzione di porti aerei e marittimi, nonché una centrale elettrica per fornire ai residenti l’elettricità necessaria.
In cambio, Israele ha chiesto, come parte dell’accordo, che i negoziati per una trattativa per lo scambio di prigionieri, che vedrebbe il ritorno di cittadini israeliani e dei corpi di soldati trattenuti da Hamas, inizino immediatamente.
Più significativamente, l’assenza di un qualsiasi discorso sull’unità palestinese significa che Hamas non solo continuerà a operare a Gaza, ma che l’attuale amministrazione di Gaza, che è principalmente composta da burocrati di Hamas, si assumerà la responsabilità per la gestione dei programmi di aiuti.
Anche se Gaza non sarà completamente smilitarizzata, i leader di Hamas dovranno mostrare chiaramente l’intenzione di stabilire relazioni pacifiche con Israele e il vicino Egitto al fine di far fluire gli aiuti e i fondi di investimento.
Depoliticizzazione dello sviluppo economico
Voci critiche dell’accordo, che conoscono da vicino gli sforzi compiuti dalla Casa Bianca per preparare “l’accordo del secolo”, hanno notato che l’aspettativa dei mediatori è di un esteso aiuto economico per puntare a pacificare la Striscia di Gaza in modo permanente.
Obbligata verso donatori esterni, a Gaza sarebbe accordato solo un limitato autogoverno e sarà costretta ad accettare ulteriori condizioni e restrizioni imposte al territorio da Israele per evitare la prospettiva di un ritorno alla politica israeliana di assedio e repressione. Israele manterrebbe il controllo definitivo sull’economia di Gaza, sulle risorse naturali, sullo spazio aereo, sulle acque territoriali e sui valichi di frontiera, rimanendo tuttavia in disparte nella ripresa di Gaza.
Gaza rimarrebbe a tutti gli effetti un territorio sotto occupazione, ma inquadrando la sua difficile situazione come un problema tecnico che richiede soluzioni logistiche, l’accordo proposto aiuta a neutralizzare richieste politiche palestinesi, incluso il diritto all’autodeterminazione e il diritto al ritorno per la popolazione di profughi della Striscia.
Così, mentre Israele sarà autorizzato a continuare la sua occupazione di Gaza, potrà continuare a sottrarsi a ogni responsabilità legale per il benessere dei suoi abitanti e derubarli del loro diritto a vivere in libertà e giustizia.
L’isolamento di Gaza da parte dei leader dell’AP facilita questa erosione dei diritti palestinesi. Eliminati dal territorio dell’Autorità Palestinese, è meno probabile che i residenti continuino a considerare i loro interessi come parte della più ampia situazione palestinese, portando i palestinesi ancora più vicino a una realtà che consolida le loro divisioni, trasformandola in una separazione permanente.
Smantellamento della strategia di un’entità statale dell’AP
Dalle prime fasi dei negoziati i leader dell’AP hanno respinto con veemenza la spinta per un accordo di tregua tra Israele e la Striscia di Gaza, ritenendo che un accordo che aggira la leadership palestinese distruggerebbe qualsiasi prospettiva per l’emergere di uno stato palestinese indipendente a Gaza e in Cisgiordania .
Ma anche se Gaza dovesse tornare sotto l’ombrello della guida di Fatah, le prospettive per uno stato palestinese sono già state gravemente minate dalla mossa di Israele su Gerusalemme Est e dalla continua annessione di terre palestinesi per la costruzione di insediamenti. Allo stato attuale lo status quo non soddisfa le richieste minime per uno stato indipendente con piena sovranità sui territori occupati nel 1967 e con Gerusalemme Est come capitale.
Sfidando ulteriormente l’argomentazione di entità statale dell’Autorità Palestinese, Ramallah ha fatto ben poco per cambiare le attuali dinamiche tra le fazioni palestinesi in lotta o per affrontare le misure di occupazione di Israele a Gaza. Sotto la guida di Mahmoud Abbas, l’AP ha attivamente ostacolato gli accordi di riconciliazione sponsorizzati dall’Egitto, firmati nell’ottobre 2017. Da allora gli sforzi per reintegrare Gaza sotto il dominio dell’Autorità Palestinese si sono arenati.
Si è visto chiaramente che la principale preoccupazione della leadership di Ramallah non è la realizzazione di un’entità statale, ma l’idea che con l’attuazione dell’accordo tanto atteso e la creazione di un’entità politica separata a Gaza, l’AP diventi obsoleta per una porzione considerevole della popolazione palestinese.
Il fatto che Hamas abbia ricevuto il sostegno degli stati arabi moderati per portare avanti il processo di pace anche senza Abbas e la leadership palestinese a Ramallah ha solo aumentato il senso di minaccia tra i funzionari dell’Autorità Palestinese.
La necessità di ripristinare l’unità palestinese
Anche se resta da vedere se l’accordo di tregua cambierà radicalmente lo status quo, sta diventando sempre più evidente che i palestinesi devono cominciare a pensare al di fuori del quadro dell’entità statale se vogliono continuare la battaglia per porre fine all’occupazione e ottenere i loro diritti sia politici che economici.
L’unico modo per porre fine alla divisione palestinese e assicurare il controllo dell’AP su Gaza è adottare un approccio che tolga la priorità agli interessi delle fazioni, unifichi gli sforzi tra le forze politiche nell’opporsi all’occupazione e tenga conto degli interessi nazionali del popolo palestinese.
Questo inizia col mettere fine al conflitto di AP con Hamas a Gaza, rimuovendo le misure punitive dal territorio e compiendo seri passi per affrontare l’occupazione e l’assedio imposto alla Striscia di Gaza. Far fronte alle richieste occidentali ad Hamas di abbandonare le armi per far avanzare il dialogo nazionale farebbe molto nell’inviare un messaggio di unità palestinese al mondo esterno.
Una leadership palestinese unificata e legittimata, rappresentativa di tutti i gruppi e fazioni sarà meglio equipaggiata per gestire la crisi umanitaria ed economica a Gaza, migliorare le condizioni economiche dei palestinesi che vivono lì e consolidare lo status di Gaza come un’estensione della Cisgiordania, verso una soluzione più giusta alla questione palestinese.
Safa Joudeh è una giornalista indipendente e una dottoranda in studi dello sviluppo presso la SOAS University di Londra. È un membro politico di Al-Shabaka, il Palestinian Policy Network.
Su twitter: @SafaJoudeh
Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org
Fonte: https://www.middleeasteye.net/columns/hamas-israel-truce-agreement-threatens-consolidate-palestinian-divide-476077572