Per Israele ora sarà molto più difficile convincere il mondo che il suo regime di apartheid è democratico
Zena Tahhan, 11 agosto 2018
FOTO – Un manifestante palestinese che indossa una maschera Guy Fawkes regge la sua bandiera nazionale durante una manifestazione a Gaza, 27 luglio 2018 (AFP)
La nuova legge di Israele dello stato-nazione è stata denunciata come “controversa” e “razzista”, causando un putiferio tra alcuni palestinesi e israeliani che allo stesso modo si sono opposti quando è stata adottata il mese scorso.
I titoli, tuttavia, avrebbero dovuto riportare: “Israele ammette finalmente l’apartheid”, poiché la legge si limita a confermare lo status quo.
Se non altro, tutta la nuova legge otterrà di permettere al governo di destra israeliano di scavalcare la Corte Suprema “democratica” nell’attuazione di maggiori politiche razziste.
Prima ebraico, poi “democrazia”
A differenza della Dichiarazione di Indipendenza, in cui Israele si definisce ebraico e democratico, la nuova legge non fa riferimento a Israele come a uno stato democratico. Il messaggio alla Corte Suprema, e al mondo, è chiaro: in Israele, gli ebrei vengono prima, e la “democrazia” poi.
In sostanza, la nuova legge codifica la supremazia ebraica e l’apartheid, un regime di dominio istituzionalizzato da parte di un gruppo razziale su un altro.
In modo ignificativo smaschera anche la facciata della democrazia israeliana a lungo usata dai sionisti e dai loro compagni di letto per legittimare le azioni dello stato sin dal suo inizio nel 1948.
Ma, contrariamente all’opinione popolare, questa non è necessariamente una brutta cosa. La mossa rappresenta un’opportunità unica per i palestinesi nella nostra lotta a lungo termine per la liberazione.
Prendiamo in considerazione l’apartheid in un Sud Africa governato dai bianchi, in cui la segregazione razziale era sancita ed esplicita, sia dal punto di vista costituzionale che amministrativo.
Il movimento globale per isolare il Sudafrica non avrebbe avuto successo se la discriminazione non fosse stata chiaramente enunciata in legge: segregazione nelle strutture statali e nel trasporto pubblico, divieto di matrimonio interrazziale e non bianchi esclusi dal voto, tanto per fare alcuni esempi.
Pari diritti?
In Israele, tuttavia, le politiche razziste dello stato sono intenzionalmente nascoste sotto una patina di “democrazia”, dove gli “arabi” – gli 1,8 milioni di cittadini palestinesi di Israele – hanno diritto ad avere la cittadinanza israeliana, votare e candidarsi, studiare nelle università israeliane e lavorare nelle imprese israeliane.
Per molti al di fuori di Israele, i palestinesi sono integrati nella società israeliana, si pensa che ebrei e palestinesi abbiano uguali diritti. Non importa che sotto questa pretesa di eguaglianza individuale, i cittadini palestinesi in quanto gruppo non abbiano diritto agli stessi diritti collettivi degli ebrei – o che non un solo palestinese, su 750.000 nati nel paese ed espulsi dalle milizie sioniste nel 1948, o i loro i discendenti, sono stati autorizzati a tornare.
Nel frattempo, la legge israeliana consente a qualsiasi ebreo nel mondo di ottenere la cittadinanza israeliana pur non avendo alcun legame di diritto di nascita con la terra.
Anche la spesa pubblica e l’assegnazione di terreni favoriscono in modo sproporzionato gli ebrei rispetto ai non ebrei; dal 1948 sono stati costruite circa 600 nuove municipalità ebraiche, ma non una singola città o villaggio palestinese.
Israele ruba abitualmente terra palestinese su entrambi i lati del confine della Linea Verde tra Israele e Cisgiordania a beneficio dei suoi cittadini ebrei, come dimostrato di recente dai preparativi per demolire il villaggio palestinese di Umm al-Hiran nel Negev per fare spazio a una città per soli ebrei.
Non è un caso che nella storia di Israele ai partiti politici palestinesi è stato negato l’inserimento in ogni coalizione di governo e organo decisionale.
Apologeti sionisti
Per decenni, apologeti sionisti e gruppi filo-israeliani hanno denunciato la critica a Israele di essere uno stato di apartheid, sostenendo che Israele non discrimina tra palestinesi ed ebrei nello stesso modo in cui l’apartheid in Sud Africa faceva discriminazioni tra bianchi e persone di colore.
Che l’apartheid si manifesti in vari modi è un argomento a parte e ovvio. Ma l’avvento della legge dello stato-nazione, che dà il diritto all’autodeterminazione solo agli ebrei e li protegge come un gruppo superiore, cambia tutto.
Israele tratta già i suoi cittadini in modo diverso in base alla razza e all’etnia. Come stato coloniale costruito per un gruppo a spese di un altro, offre privilegi ai suoi cittadini ebrei che i palestinesi possono solo sognare. Non occorrono panchine e autobus separati per riconoscere che si tratta di apartheid.
Specialmente dopo il processo di pace di Oslo a metà degli anni ’90 che prevedeva una soluzione a due stati, il problema dello status quo dei cittadini palestinesi di Israele è stato trascurato. Gran parte della discussione sui media mainstream e nella comunità internazionale si è concentrata sui territori palestinesi occupati da Israele nel 1967 – Gerusalemme Est, la Cisgiordania e Gaza – dove doveva essere stabilito un futuro stato palestinese.
Durante la campagna per una soluzione a due stati, la comunità internazionale ha ignorato la difficile situazione degli 1,8 milioni di palestinesi all’interno di Israele, il cui destino è stato appena discusso. Questa legge riporta la loro sofferenza e il loro stato nell’equazione.
Pressione internazionale
Alcuni potrebbero obiettare che la legge dello stato nazione non è sufficiente per mobilitare efficacemente la comunità internazionale, ma ricordiamo che l’apartheid è un processo. Non succede in una notte.
Il razzismo esisteva in Sud Africa molto prima che il Partito nazionale rendesse ufficiale l’apartheid nel 1948. Sono trascorsi decenni prima che l’apartheid fosse riconosciuto come un crimine internazionale nel 1973, e solo nel 1986 gli Stati Uniti imposero sanzioni al paese.
Anche se la pressione internazionale non è stata l’unico fattore che ha portato alla fine dell’apartheid in Sud Africa, ha svolto un ruolo significativo nel forzare il governo a impegnarsi in negoziati con l’African National Congress.
Per i palestinesi, la legge dello stato-nazione è un passo in una serie di ulteriori sfide, o vittorie, a venire. Per Israele sarà ora molto più difficile tentare di convincere il mondo che il suo regime di apartheid è democratico.
E proprio come gli Stati Uniti hanno recentemente mantenuto la loro relazione amorosa con Israele dopo decenni in cui hanno finto di essere un “mediatore onesto” nel fallito processo di pace, questa legge smaschera le vere intenzioni di Israele verso i suoi cittadini palestinesi: cementare il loro status di inferiorità rispetto agli ebrei finché esisterà.
Zena Tahhan è una giornalista freelance con base nei territori palestinesi occupati. Twitter: @zenatahhan
Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org
Fonte: https://www.middleeasteye.net/columns/why-israel-s-nation-state-law-opportunity-palestinians-1478304971