Ci sono quattro obiettivi che l’Autorità Palestinese può porsi per ottenere la dignità, l’autodeterminazione e la responsabilità locale nella consegna degli aiuti.
Foto: un uomo palestinese davanti all’insegna dell’UNRWA fuori dagli uffici dell’agenzia a Gaza City il 31 luglio 2018 (AFP)
Alaa Tartir – 27 Agosto 2018
Nel 2006, a seguito della vittoria di Hamas nelle democratiche e imparziali elezioni parlamentari palestinesi, i principali donatori internazionali bloccarono gli aiuti alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza occupate per protestare contro l’esito della votazione.
Durante quel periodo lavoravo in una prestigiosa università palestinese e ricevemmo lettere su lettere di donatori che ci comunicavano come i nostri progetti comuni erano stati chiusi, la collaborazione sospesa e i fondi tagliati.
Il volto sgradevole degli aiuti
Fummo tutti presi dal panico e ci rattristammo per i progetti che stavamo seguendo; ci sentimmo umiliati nel ricevere via fax, neppure in una riunione o con una telefonata, le notizie che avrebbero determinato la nostra vita. Quell’esperienza ci mostrò la faccia sgradevole dell’industria degli aiuti e ci rese consapevoli di quale pessima idea sia il lasciare che gli altri decidano del nostro futuro.
Ci mostrò anche che l’aiuto è un “dono” due volte maledetto: maledice chi lo dà e chi lo riceve. Ma ci diede una lezione importante: se non siamo noi Palestinesi ad assicurarci uno sviluppo dignitoso, nessuno lo farà al posto nostro.
Questa importante lezione non è stata ben compresa o riconosciuta dalla leadership politica palestinese, e da allora gli aiuti internazionali hanno continuato ad essere sprecati invece di essere usati efficacemente per trasformare la vita delle persone. L’ultimo episodio è avvenuto all’inizio di quest’anno, quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato di ritirare gli aiuti all’Autorità palestinese (AP).
Infine non solo ha tagliato gli aiuti, ma ha anche trasferito l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e attaccato l’UNRWA e l’inalienabile diritto al ritorno dei Rifugiati.
A parte alcune dichiarazioni infuocate e una retorica brillante, la dirigenza politica palestinese non ha intrapreso alcuna azione significativa per contrastare gli Stati Uniti e il suo Trumpismo.
A parte alcune dichiarazioni infuocate e una brillante retorica, la dirigenza politica palestinese non ha intrapreso alcuna azione significativa per contrastare gli Stati Uniti e il suo Trumpismo. La scorsa settimana, l’amministrazione statunitense ha deciso di tagliare oltre 200 milioni di dollari in aiuti ai Palestinesi, eppure la risposta della leadership politica continua ad essere formulata con forza, ma senza efficacia, con dichiarazioni di condanna, ma senza alcuna azione concreta.
Ecco quattro azioni di buon senso che la dirigenza politica palestinese potrebbe prendere in considerazione per rispondere a questo recente taglio di aiuti statunitensi.
1 – Fermare il coordinamento della sicurezza con Israele
In primo luogo, interrompere tutte le relazioni e la cooperazione con il Coordinatore della Sicurezza degli Stati Uniti (USSC). Ciò sarebbe in linea con la decisione dell’OLP e la richiesta di tutti i partiti politici palestinesi, così come del popolo palestinese, di porre fine al coordinamento della sicurezza israelo-palestinese e di cambiare le dinamiche nel campo della sicurezza.
Il coordinamento della sicurezza è stato uno dei motivi principali per cui l’USSC è stata creata più di un decennio fa. L’USSC non solo viola i principi chiave internazionali che regolano l’erogazione degli aiuti in quanto il suo intervento continua a causare danni alla popolazione destinataria, ma agisce anche come braccio complementare dell’occupazione coloniale israeliana.
L’aiuto degli Stati Uniti non è un aiuto per la Palestina o per i Palestinesi; è un aiuto per sostenere le azioni brutali del loro oppressore (l’occupazione israeliana), ed è anche un aiuto per i contractors americani e il loro personale di sicurezza.
L’aiuto americano fornito attraverso l’USSC non è un aiuto per la Palestina o per i Palestinesi; è un aiuto per sostenere le azioni brutali del loro oppressore (l’occupazione israeliana), ed è anche un aiuto per i contractors americani e il loro personale di sicurezza.
Inoltre, l’intervento dell’USSC non ha solo lo scopo di proteggere la sicurezza dell’oppressore, ma ha anche portato a un’ulteriore repressione degli oppressi, i Palestinesi, rendendo le forze di sicurezza dell’Autorità palestinese più autoritarie, con il pretesto di assicurare stabilità e ordine pubblico.
Il danno causato dalla missione di sicurezza degli Stati Uniti (USSC) è evidente e manifesto; è ora di considerarla responsabile e di respingere il suo intervento.
2 – Un intervento dannoso
Secondo, chiudere i progetti e le operazioni di USAID. La penetrazione dell’USAID nella società palestinese è stata profonda e dannosa sin dal suo inizio. Le condizioni che impongono ai Palestinesi e il tipo d’interventi che perseguono, non solo hanno generato una dannosa dipendenza dagli aiuti e perpetuato un dannoso status quo, ma hanno anche distorto la struttura della società civile palestinese, il suo insieme di valori e le basi e i fondamenti del contratto sociale tra chi governa e chi è governato.
Per invertire queste tendenze, è ora di fermare l’USAID prima che causi ulteriori danni. Il suo intervento futuro sarà ancora più pericoloso perché attuerà la visione politica dell’amministrazione statunitense, che non promette nulla di buono per qualsiasi tipo di sviluppo positivo, per la prosperità o per la pace.
Se ci sta a cuore la dignità del popolo palestinese, è tempo di impedire all’USAID di continuare a fare affari, così come di renderla responsabile. Se non è possibile contrastare gli storici danni che ha causato, ora c’è un’occasione d’oro per prevenire danni futuri, e una strada efficace per realizzare ciò è chiudere i progetti e le operazioni USAID.
3 – Obiettivi di buonsenso
In terzo luogo, tagliare i legami con l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, con il suo staff, con l’assistenza, con i progetti e con il personale. Non è ragionevole continuare a rafforzare i legami e accogliere a braccia aperte un’entità che chiaramente e apertamente dichiara guerra a te, al tuo popolo e ai tuoi diritti fondamentali.
Persino i principi basilari della diplomazia non giustificano tale comportamento. La reazione naturale è respingere e resistere. Mentre l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme continua a celebrare le borse di studio che offre ai giovani e brillanti Palestinesi, è indubbiamente l’ombra e il braccio del governo degli Stati Uniti nei Territori Occupati con il fine di attuarne le politiche e le strategie.
Limitarsi a ignorare le azioni dell’ambasciata americana a Gerusalemme, come ha deciso di fare la leadership politica palestinese, non è né sufficiente, né efficace per cambiare la dinamica del potere.
4 – Aiuti internazionali alla Palestina: è ora di cambiare rotta.
In quarto luogo, per finire, tagliare i 200 milioni di dollari dal budget esagerato del settore della sicurezza dell’Autorità palestinese. Dato che l’elemento più importante nel budget dell’AP continua a essere tale settore, che assorbe il 30% del budget senza offrire sufficiente sicurezza e protezione al popolo palestinese, questa recente decisione dell’amministrazione Trump offre ai pianificatori palestinesi e alla leadership politica l’opportunità per rivedere le loro priorità e per allontanarsi da un paradigma che è stato loro imposto come effettivo subappalto dell’occupazione israeliana.
Tagliare 200 milioni di dollari e condividere con il popolo palestinese quest’azione, sarebbe inviare un chiaro messaggio all’amministrazione statunitense e ai principali attori nel settore degli aiuti, ovvero che è ora di cambiare rotta per garantire dignità, autodeterminazione e responsabilità locale nella consegna degli aiuti ai Palestinesi.
Certamente, questi quattro obiettivi sono di natura politica e avrebbero conseguenze per l’attuale e per una futura leadership politica palestinese, così come provocherebbero un breve periodo di sofferenza.
Ma d’altra parte, credo che questi obiettivi siano azioni di buon senso con le quali molti Palestinesi sono d’accordo .
Spero solo che il buon senso sia diffuso, in Palestina e non solo.
Dr Alaa Tartir è consigliere di programmi per Al-Shabaka, la Rete politica palestinese, e professore associato di ricerca presso il Centro per il conflitto, lo sviluppo e la costruzione della pace (CCDP) presso l’Istituto universitario di studi internazionali e di sviluppo (IHEID) a Ginevra, Svizzera. Segui Alaa Tartir su Twitter @alaatartir e leggi le sue pubblicazioni su www.alaatartir.com.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” Invictapalestina.org
Fonte: https://www.middleeasteye.net/columns/how-palestinians-should-respond-trumps-slashing-us-aid-2022337737