FOTO – Nivin Shehadeh, 19 anni, palestinese americana, aggiusta il velo di sua madre, Wisal, prima di lasciare la loro casa per prendere parte alle preghiere e celebrare la festa musulmana di Eid al-Fitr a Staten Island, New York – 25 giugno 2017
Aziza Nofal, agosto 2018
Maher Shamma, nata nel campo profughi di Yarmouk nel sud di Damasco e cresciuta negli Stati Uniti, ha conservato una mappa della sua casa di famiglia ad Acri, storica città portuale nel nord di Israele, che suo zio aveva disegnato nel 1948. Per Shamma la mappa è un simbolo delle sue radici e della sua patria.
È stata questa mappa che ha permesso a Shamma, 57 anni, di visitare la casa della sua famiglia quest’estate con l’aiuto di un progetto chiamato We Were e We Are Still. Tarek Bakri, un ricercatore trentunenne di Gerusalemme, ha ricollegato decine di palestinesi all’estero con le loro città e villaggi di origine e con le loro case di famiglia.
Dopo aver ricevuto la mappa di Shamma, Bakri ha ricercato le mappe di Acri fin dal Mandato britannico e le ha confrontate con la mappa di Shamma disegnata a mano alla ricerca della casa. Nonostante non avesse mai visitato Acri, Shamma sembrava conoscere le strade come il palmo della sua mano. Nel corso degli anni suo zio, che aveva lasciato Acri all’età di 26 anni, aveva descritto la città e il quartiere, e la casa che era circondata da 24 cipressi.
Mentre visitava la casa, un tempo appartenuta a suo nonno, una donna palestinese si è avvicinata a Shamma e le ha detto che solo una famiglia con il nome di Shamma era rimasta ad Acri dopo il 1948. Shamma ha preso l’indirizzo ed è andata a trovarla prima di tornare negli Stati Uniti, portando con sé dolci ricordi della vecchia casa della sua famiglia, ora diventata una scuola materna gestita dal Ministero dell’Istruzione israeliano e da ritrovati lontani parenti.
Bakri ha organizzato anche una visita per Zina, una cittadina canadese, che ha visitato Acri il 26 luglio per sposarsi davanti alla vecchia casa di suo nonno che suo padre aveva lasciato nel 1948 quando aveva solo 6 anni.
Bakri si è coordinato con le autorità locali e l’organizzatore del matrimonio per terminare lo zaffa – una tradizionale marcia nuziale palestinese con tamburi, cornamuse e danzatrici del ventre, che ha portato la sposa attraverso tutta la città – davanti alla casa.
Zina è rimasta in contatto con suo padre durante la sua permanenza presso i parenti che non vedeva da anni e ha scattato fotografie di tutti i luoghi che ha visitato. “È stato il giorno più bello della mia vita”, dice nel video della visita pubblicato da Bakri. “Mi è sembrato un sogno. Mi sento come se avessi realizzato l’impossibile.”
Bakri ha avuto l’idea del progetto nel 2013, quando ha cominciato ad interessarsi alla storia delle case abbandonate dalle famiglie palestinesi durante e dopo quella che i palestinesi chiamano la Nakba (Catastrofe) nel 1948 che segnò la fondazione di Israele. “All’inizio andavo a visitare le case dei miei amici perché avevo il permesso di muovermi all’interno [Israele]. Ho così iniziato a documentare villaggi abbandonati e distrutti – non come fanno le organizzazioni, ma piuttosto riportando la storia di un certo luogo attraverso il racconto della storia personale di un profugo”, ha detto ad Al-Monitor.
I palestinesi all’estero si mettono in contatto con Bakri attraverso la sua pagina Facebook o durante i suoi viaggi nella regione. Forniscono mappe o vecchie foto delle loro case di famiglia e dintorni, in modo che Bakri possa inviare loro foto recenti delle case o coordinare una visita.
Bakri registra le visite e pubblica brevi video sulla sua pagina Facebook, che conta oltre 24.000 follower. Il video della visita di Zina ha ottenuto 654.000 visualizzazioni e 62.000 condivisioni.
Bakri ha detto che non si reca mai prima nei luoghi se il primo proprietario deve venire per la visita. Aspetta che arrivi così da poter fare il viaggio insieme. “Mi sento sempre come se fossi io quello che trova la propria casa. Provo gli stessi sentimenti di tristezza, rabbia e gioia, tutti insieme”, ha aggiunto.
Attraverso il progetto, Bakri mira a creare una connessione tra i palestinesi all’estero e i luoghi di nascita delle loro famiglie e, allo stesso tempo, presentare ad altri la storia di ogni casa e terra.
Bakri si guadagna da vivere come ricercatore freelance per istituzioni culturali ed educative; non accetta pagamenti per il suo lavoro con il progetto.
Dopo che la storia di Zina è diventata virale, Bakri ha ricevuto oltre 70 richieste da palestinesi della diaspora, che hanno chiesto aiuto per trovare e visitare le loro case di famiglia. Per far fronte alla domanda, Bakri sta reclutando e formando una squadra di 15 giovani fra uomini e donne.
Anche se la maggior parte delle richieste arriva da palestinesi all’estero, si sono rivolti a Bakri anche alcuni palestinesi della Cisgiordania.
Bakri ricorda quando ha accompagnato Halima Khaddash, 83 anni, che vive nel campo profughi di Jalazone, nel nord della Cisgiordania, nella sua casa d’infanzia vicino a Jaffa. Ziad Khadash, nipote di Halima, ha detto ad Al-Monitor: “Ho sempre preso in giro mia zia, dicendo che potevamo tornare a Beit Nabala, e lei mi diceva che non l’aveva mai visitato da quando l’aveva lasciato nel 1948 all’età di 13 anni.”
Ha contattato Bakri per far avverare il desiderio di sua zia. Bakri ha organizzato la visita e portato entrambi con la sua auto a Beit Nabala, dove hanno cercato la casa che lei diceva essere vicino ai quattro pozzi nel centro del villaggio.
Halima Khaddash ha detto che nonostante la sua età, ha camminato instancabimente attraverso quello che restava del villaggio, esclamando: “La mia casa è qui! La mia casa è qui!”
Poi l’hanno portata in spiaggia a Jaffa, antica città portuale sul Mar Mediterraneo, dove una volta ha giocato da bambina quando suo fratello fu curato lì in un ospedale – un ricordo che non l’ha abbandonata per decenni.
Ziad Kaddash, che è uno scrittore, ha detto che la visita ha molto colpito la zia tanto che tutto ciò di cui parla ora è il villaggio che ha lasciato 70 anni fa.
Kaddash ha detto di credere nell’importanza del lavoro di Bakri nel mantenere vivi i sogni dei palestinesi nella diaspora, incoraggiandoli a tornare in patria. Ha detto che Bakri dovrebbe ricevere sostegno morale e finanziario per la sua iniziativa, ma che l’iniziativa non dovrebbe trasformarsi in un’organizzazione “così da non perdere la sua vera essenza”.
Aziza Nofal – è una giornalista di Nablus. Vive e lavora a Ramallah come reporter freelance per siti web arabi e regionali. Si è laureata nel 2000 presso il dipartimento di media e giornalismo presso l’Università Nazionale Al-Najah e ha conseguito il master in studi israeliani nel 2014 presso l’Università Al-Quds. Ora lavora nel campo del giornalismo investigativo in Palestina e in collaborazione con Arab Reporters for Investigative Journalism (ARIJ), un’organizzazione con sede ad Amman, in Giordania.
Traduzione di Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org