Perché un editore israeliano ha pubblicato un libro di racconti arabi tradotti senza consenso?

La decisione di tradurre e pubblicare i lavori di decine di autrici, senza il loro coinvolgimento o approvazione, indica pratiche di pubblicazione non etiche. Copertina di una nuova antologia pubblicata dall’editore di Tel Aviv, Resling Books (foto dell’autore per Hyperallergic)

Hakim Bishara, 13 settembre 2018

TEL AVIV – Un nuovo libro della casa editrice israeliana Resling Books è sotto attacco per la pubblicazione di una raccolta di racconti di importanti scrittrici arabe senza che sia stato richiesto il loro permesso. Redattore e traduttore dell’antologia, il dott. Alon Fragman, coordinatore degli studi linguistici arabi all’Università Ben Gurion del Negev, scrive nella sua introduzione che lo scopo del libro è far emergere i testi di scrittrici “le cui voci sono state ridotte al silenzio per anni”. Ora, quelle stesse scrittrici denunciano la violazione dei loro diritti d’autore con l’inserimento delle loro opere in questo libro, senza il loro consenso.

Intitolato Huriya (una trascrizione della parola araba per Libertà), il libro raccoglie racconti di 45 scrittrici provenienti da 20 paesi, prevalentemente di lingua araba, che si estendono dal Golfo Persico al Nord Africa. Tra queste figurano famose scrittrici come Farah El-Tunisi (Tunisia), Ahlam Mosteghanemi (Algeria), Fatma El-Zahra’a Ahmad (Somalia) e Nabahat Zine (Algeria). L’antologia tratta il tema della libertà presentando delle opere scritte in seguito alle rivoluzioni della primavera araba che, secondo Fragman, hanno provocato anche una “primavera letteraria”.

Khulud Khamis, dal suo sito Web khuludkhamis.com

Khulud Khamis, una scrittrice che vive nella città di Haifa, nel nord di Israele, è stata invitata dall’editore a partecipare all’evento di lancio del libro previsto per ottobre. “Mentre sfogliavo il libro, ho notato il gran numero di scrittrici provenienti da tutto il mondo arabo e sospettavo che non fosse stato loro chiesto il permesso per la traduzione e la pubblicazione delle loro opere”, dice Khamis alla rivista online araba Fusha. Avendo contattato alcune delle scrittrici ha potuto avere conferma della validità del suo sospetto. Khamis ha annullato la sua partecipazione all’evento e pubblicato la notizia sui social media, chiedendo ai suoi follower di avvertire le altre scrittrici della pubblicazione non autorizzata delle loro opere. Ne è seguito una valanga di condanne da parte delle scrittrici.

 

La scrittrice libica Najwa Bin Shatwan (foto di Kheridine Mabrouk)

 

Najwa Bin Shatwan, scrittrice libica che vive in Italia, sul sito web di Fusha descrive la pubblicazione come un atto spudorato di furto letterario. Nabahat Zine (Algeria) descrive il libro come ‘normalizzazione forzata’. Il termine ‘normalizzazione’ si riferisce al modo in cui organizzazioni, imprese e governi agiscono come se ci fossero normali relazioni culturali tra i paesi arabi e Israele nel disprezzo del suo conflitto di lunga data con i palestinesi. Questo termine ricorre durante le condanne delle scrittrici. Salwa Banna (Palestina) dice a Fusha “Quelli che spogliano una terra non trovano difficile spogliare una cultura” e descrive il libro come un tentativo di convincere gli scrittori arabi a una ‘trappola della normalizzazione’. Buthaina El-Issa (Kuwait) racconta al quotidiano palestinese al Ayam: “Naturalmente non mi hanno mai avvicinato perché seguono la logica di occupazione ed espropriazione, ma poi chiamano il libro Libertà. Sono senza vergogna.”

L’ attivista Roni Felsen (foto di Sophia Trotoush Argaman)

Resling Books è tenuto in grande considerazione a livello locale per il suo catalogo di pubblicazioni teoriche e politiche di qualità. L’antologia è stata pubblicata in una nuova collana sperimentale di prosa chiamata VASHTI. Lo scorso maggio, l’editore ha organizzato un evento, limitato a pochi invitati, per il lancio del libro in una libreria di Tel Aviv. Roni Felsen, un’attivista locale che ha partecipato all’evento, ha detto a Hyperallergic che Fragman ha confessato davanti al pubblico di non avere avuto il permesso delle scrittrici di pubblicare i loro lavori. Felsen ha contattato l’editore al riguardo e ha sentito il capo redattore di Resling, Idan Zivoni. Felsen e l’editore Zivoni hanno discusso la questione al telefono.

Quando la storia è scoppiata alcuni giorni fa, l’attivista Felsen ha pubblicato sulla sua pagina Facebook la risposta di Zivoni alle sue domande sul libro e sui problemi di copyright. Qui di seguito c’è una traduzione del post della Felsen, che è una trascrizione del commento del redattore riguardo l’antologia. Zivoni ha detto:

“L’intera storia della traduzione è un problema di per sé, specialmente quando viene dall’arabo. Si tratta di un diverso tipo di categoria. Quando traduci dall’inglese hai a che fare con le norme, hai un soggetto e chiedi i diritti. Noi, come editore lo facciamo sempre, e non abbiamo mai pubblichiamo opere straniere senza permesso. È diverso nei paesi arabi, dove non ci sono editori. Alcuni di questi paesi non hanno legami con noi [Israele], quindi non c’è nessuno da contattare. Al riguardo c’è una simmetria. I libri di Resling sono stati tradotti e pubblicati lì senza permesso… Qui non stiamo nemmeno parlando di libri, ma di racconti. In molti casi, gli scrittori non sarebbero nemmeno autorizzati a darci il loro permesso. Queste donne stanno facendo appello al mondo. Questa è letteratura scritta nel corpo e nel sangue, per alcune di loro è un segnale di SOS [sic] che arriva a noi grazie alla tecnologia … così che possiamo usarlo per salvare vite. Chi sentirà le grida di queste donne? In passato, queste donne potevano gridare nella loro cucina … o nel campo, forse udite solo da dio? Ora qualcuno raccoglie queste grida, le traduce e le loro voci [sic] sono qui in Israele … È importante per noi che le voci di queste donne siano ascoltate … Secondo noi è la loro salvezza.”

 

Zivoni ha aggiunto che la sua azienda non sta ricavando alcun profitto dal progetto, ma che piuttosto ha perso denaro per realizzarlo. Fargman, secondo Zivoni, ha tradotto i testi senza compenso perché guidato da ‘un senso di missione’.

“Come scrittrice araba io stessa, trovo la risposta di Resling offensiva e condiscendente”, ha detto Khamis a Hyperallergic. “Queste scrittrici non stanno urlando nelle loro cucine o nei campi, e sicuramente non stanno aspettando il salvatore maschio bianco che viene a ‘salvarle’. Sono tutte donne forti: attiviste, difenditrici dei diritti umani, molte delle quali in possesso di una laurea specialistica in vari campi. Le loro opere creative sono state riconosciute sia a livello nazionale che internazionale. Prendere le parole e le creazioni delle scrittrici, tradurle e pubblicarle in ebraico – a loro insaputa o senza il loro consenso – è l’esatto contrario di ‘salvarle’. Loro [Resling] hanno derubato queste donne della loro opera, le hanno messe a tacere e hanno ignorato il loro diritto di fare una scelta riguardo alle loro opere”, ha aggiunto.

 

Yehouda Shenhav (per sua gentile concessione)

Yehouda Shenhav, professore di sociologia all’Università di Tel Aviv, ha dichiarato a Hyperallergic: “Questa è una risposta coloniale e misogina, tipica di una sinistra israeliana che è scollegata dal mondo arabo. Pubblicare opere letterarie senza permesso non crea ponti con gli arabi ma crea muri.” Shenhav, che ha anche tradotto libri dall’arabo all’ebraico, rappresenta un altro modello nel settore. Nel 2014 ha fondato il Forum dei traduttori arabo-ebraici, composto da membri ebrei e arabi. La sua ultima iniziativa in questo forum è Maktoob, un progetto di traduzione di prosa e letteratura araba in ebraico allo scopo di portare quelle opere al lettore israeliano – ma mai senza il permesso degli scrittori. Il progetto, dice Shenhav, dimostra che è possibile ottenere il permesso per le traduzioni, anche da scrittori in ‘stati nemici’. Aggiunge che è stata una pratica di lunga data da parte degli accademici israeliani fare traduzioni dall’arabo senza alcun permesso, sempre giustificando il furto di proprietà intellettuale partendo dal presupposto che non c’è nessuno con cui parlare dall’altra parte. Fragman, che sembra essere un membro del suddetto forum di traduttori, probabilmente non durerà a lungo lì, secondo Shenhav. In una dichiarazione rilasciata ieri (mercoledì) dal Dipartimento di studi sul Medio Oriente all’Università Ben Gurion, il dipartimento ha denunciato il libro e ha chiarito che Fragman non è più un membro del suo staff. È una svolta importante degli eventi dato che Fragman appare ancora sul sito web del dipartimento come l’attuale coordinatore degli studi di lingua araba all’università. Anche il libro presenta Fargaman con questo titolo.

Fragman, dal canto suo, ha svolto tutto il lavoro di traduzione e di modifica da solo senza l’aiuto di un madrelingua arabo. Questo, secondo Khamis, ha prodotto una scarsa qualità della traduzione che appiattisce le voci uniche delle scrittrici. “I testi trattano questioni relative alle donne, alle loro vite e ai loro mondi. Sono intimi e complessi. Personalmente, non penso che un uomo bianco di una cultura diversa possa mediare queste esperienze senza impegnarsi in alcuna forma di dialogo con l’autore.” Khamis porta come esempio una descrizione poetica di una “donna che passeggia sui marciapiedi del desiderio, nel racconto ‘Uomo’ di Muntaha El-Eidani (Iraq), che è stato ridotto nella traduzione ebraica di Fragman ad una sola parola – ‘prostituta’. Questo esempio è tipico della trattazione dei testi da parte di Fragman, afferma Khamis. “Al lettore ebraico viene dato un testo piatto e superficiale, completamente scollegato dalle vere esperienze delle donne arabe nel mondo arabo.” Questo approccio, dice Shenhav, è indicativo di “l’orientalismo di molti dei traduttori israeliani che lavorano nel campo”. La grande maggioranza di loro, tra cui Fragman, ha iniziato la propria carriera nelle unità di intelligence dell’esercito israeliano, afferma Shenhav.

Eyad Barghouty (foto di Hamodi Badarne)

Questa è la seconda volta quest’anno che un’organizzazione culturale israeliana è accusata dai paesi arabi vicini di espropriazione di opere. A luglio, una galleria di Tel Aviv aveva inaugurato una mostra intitolata Stolen Arab Art, festeggiando l’uso non autorizzato di opere degli artisti Walid Raad (Libano) e Wael Shawky (Egitto). E’ un genuino desiderio di raggiungere a tutti i costi i vicini arabi o è semplice furto? Lo scrittore e traduttore palestinese Eyad Barghouty pensa che non ci sia vera sete nel pubblico israeliano per la cultura araba. “Le parti interessate sono di solito orientalisti che producono le loro opere da un punto di vista intercettatore orientato alla sicurezza, credendo che la cultura sia un modo più efficace per valutare i cambiamenti politici nei paesi circostanti”, ha detto a Hyperallergic. Barghouty definisce il nuovo libro un ‘crimine culturale’ e un atto di saccheggio coloniale al buio. “Gli orientalisti israeliani considerano il mondo arabo uno spazio aperto senza legge in cui le regole non si applicano. Messi davanti a critiche sulle loro azioni, la loro reazione assume un tono bellicoso militarista.” Un recente sondaggio mostra che meno del 10% degli israeliani è in grado di leggere o capire l’arabo, avvalorando la tesi di Barghouty.

Minacce di azioni legali multiple pendono ora sulla testa di Zivoni, dal momento che molte delle scrittrici hanno annunciato la loro intenzione di intraprendere un’azione legale contro l’editore. La scrittrice egiziana Intissar Abdul Monaem, ha riferito sulla sua pagina Facebook di aver presentato una denuncia all’Unione degli scrittori egiziani e alla sua controparte palestinese. Habib al Sayegh, segretario generale dell’Unione degli scrittori arabi, ha emesso una condanna del libro, definendolo un atto di ‘pirateria israeliana’. Al Sayegh ha promesso di portare avanti il caso nei forum internazionali legali. Ma è estremamente improbabile che possa esserci un vero procedimento giudiziario contro l’editore, data l’assenza di legami diplomatici tra Israele e la maggior parte dei paesi in questione. L’unico modo per ritenere Resling Books responsabile è citare in giudizio l’editore in un tribunale israeliano, il che significherebbe riconoscere lo stato di Israele e accettare l’autorità e la legittimità dei suoi sistemi giuridici (cioè ‘normalizzazione’).

Versando sale sulla ferita, martedì è stato rivelato che anche l’opera d’arte che abbellisce la copertina del libro è stata presa senza il permesso del suo creatore, il fumettista libanese Hasan Bleibel. Hyperallergic ha richiesto un commento dell’editore, che rimane tuttora senza risposta. Resling Books ha tolto senza preavviso il libro dal suo catalogo online.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte:https://hyperallergic.com/460068/why-did-an-israeli-publisher-release-a-book-of-translated-arabic-essays-without-consent/

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