Un’altra fonte che ha parlato con Haaretz conferma che le aziende israeliane continuano a vendere strumentazione informatica offensiva anche in Messico, anche dopo che si era saputo che erano utilizzate contro i civili.
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Hagar Shezaf e Jonathan Jacobson – 19 ottobre 2018
Le scene del crimine
Non poche tracce dell’attività israeliana possono essere trovate anche in America Latina. I documenti scoperti dall’agenzia di stampa AP mostrano che nel 2015 Verint istituì una base di monitoraggio militare in Perù, al costo di 22 milioni di dollari . Il sistema è in grado di tracciare comunicazioni satellitari, wireless e fisse di 5.000 obiettivi e di registrare conversazioni di 300 individui contemporaneamente.
L’accordo con il Perù comprendeva anche un prodotto chiamato SkyLock. La pagina di copertina dell’opuscolo commerciale per il sistema di sorveglianza, rivelata al Washington Post, afferma: “Individuare. Tracciare. Manipolare.”
La brochure prosegue descrivendo dettagliatamente in che modo il sistema può individuare la posizione dei telefoni in tutto il Perù e nella maggior parte degli altri Paesi.
Tuttavia, l’accordo fu ritardato a causa di difficoltà impreviste, ovvero quando l’agenzia di intelligence principale del Perù fu coinvolta in uno scandalo di spionaggio. Il primo ministro dell’epoca, Ana Jara, aveva usato l’agenzia per mettere sotto controllo legislatori, giornalisti e uomini d’affari. Jara fu costretto a dimettersi, ma Verint apparentemente non si ritirò dall’accordo. Secondo una fonte coinvolta nei dettagli, il personale dell’agenzia coinvolta nello scandalo sta ora gestendo il sistema all’interno delle forze di polizia.
Un’altra fonte che ha parlato con Haaretz conferma che le aziende israeliane continuano a vendere strumentazione informatica offensiva anche in Messico, anche dopo che si era saputo che erano utilizzate contro i civili. “Una delle cose che mi ha sempre spaventato in Messico è che non sai mai con chi stai parlando e chi c’è dietro di lui”, dice la fonte. “Tutto è completamente corrotto, ma tutti sono molto attenti a non rivelare i loro scopi agli Israeliani”.
Nuotando nei miliardi
Un altro esempio in cui si è deciso di continuare a fare affari con coloro che abusano con la strumentazione di sorveglianza è la Colombia. Nel 2015, la non-profit Privacy International britannica rivelò che Verint e Nice avevano fornito alla polizia di Bogotá sistemi per intercettare le conversazioni telefoniche e che la tecnologia era utilizzata per sorvegliare gli oppositori del regime. Una fonte coinvolta negli affari di Verint in America Latina sostiene che, nonostante questo, la compagnia continua a vendere i propri prodotti in Colombia.
Un istruttore che in America Latina ha addestrato agenzie locali nell’uso dei sistemi Verint, riferisce di aver assistito personalmente all’abuso dei prodotti. “C’è stata una volta in cui stavo insegnando come raccogliere informazioni dai social network”, ricorda. “Stavo lavorando con i tirocinanti e spiegando loro le cose, quando improvvisamente mi chiedono di eseguire un controllo sui manifestanti [politici]. Proprio così, nel mezzo della sessione di addestramento.”
“Fin dalla nascita delle comunicazioni, ci sono sempre stati tentativi e nuovi mezzi per tentare di intercettarle e decifrarle. Più di recente, con l’avvento di Internet, questi aspetti hanno assunto una prospettiva completamente nuova, dato che sempre più civili hanno accesso alla tecnologia digitale “, afferma Edin Omanovic, un investigatore di Privacy International il cui campo di competenza è la tecnologia di spionaggio e intelligence prodotta da aziende private. “Questo, insieme alla fine della Guerra Fredda e all’inizio della ” guerra al terrore “, ha portato i governi di tutto il mondo a investire sempre più capitali nelle tecnologie di sorveglianza […] Le tecnologie di oggi consentono la sorveglianza di massa su Internet e su altri mezzi di comunicazione elettronici. ”
Privacy International pubblica studi di ricerca sul commercio internazionale delle tecnologie di sorveglianza dal 1995. Un rapporto PI pubblicato due anni fa ha rilevato l’enorme crescita del settore. Mentre nel 2012 comprendeva 246 aziende in tutto il mondo, nel 2016 il numero di aziende era più che raddoppiato e risultava essere 528. Ci sono 27 aziende israeliane nella lista, rendendo Israele il Paese con il più alto rapporto pro-quota delle società di sorveglianza. Dati locali e internazionali indicano che Israele rappresenta tra il 10 e il 20 percento del mercato cibernetico globale. Nel 2016, gli investimenti nelle startup israeliane del settore hanno rappresentato il 20% del totale mondiale.
Il vertiginoso successo dell’industria israeliana di intercettazione e sorveglianza non è uno sviluppo casuale generato da una spontanea eruzione del genio ebraico. Quando scoppiò la bolla dell’high-tech, nel 2000, l’economia israeliana andò in tilt e la crisi fu contrastata dall’intervento del Ministro delle Finanze Silvan Shalom e del suo successore, Benjamin Netanyahu. Il governo aumentò le spese per la sicurezza di oltre il 10% e incoraggiò il settore delle startup locali ad entrare nei settori della sicurezza e della sorveglianza.
Le Forze di Difesa Israeliane, da parte loro, svolsero il ruolo di una serra commerciale, con le loro unità di intelligence tecnologica in aumento e i loro laureati che canalizzarono le conoscenze acquisite in una schiera di start-up. Il tempismo giocò sicuramente a favore del settore. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, i Paesi di tutto il mondo iniziarono ad acquistare dispositivi per monitorare individui sospettati di terrorismo o radicalizzazione. La ricca esperienza degli ex soldati IDF era ciò di cui avevano bisogno.
Da allora, l’IDF e le start up dell’industria locale hanno continuato ad alimentarsi a vicenda. Recentemente Haaretz ha riferito per esempio che alla fine del 2015 l’esercito aveva lanciato un bando per la creazione di un sistema per tracciare gli obiettivi sulla rete, sistema che un anno dopo era già operativo ed era gestito da una società esterna. Allo stesso tempo, sempre nel 2015, quando esplose l’ondata di attacchi con i coltelli, l’establishment della Difesa fece ampio uso di sistemi di allarme preventivo basati in parte sulle informazioni raccolte dai social network.
Un altro esempio è Fifth Dimension, un’azienda locale che fornisce sistemi predittivi per le agenzie di sicurezza israeliane. Questi prodotti si uniscono al sistema di intercettazione ramificato che l’IDF ha impiegato per anni contro i Palestinesi nei Territori.
In effetti, uno studio pubblicato di recente ha rilevato che 700 società di informatica locali sono state create da un piccolo gruppo di 2.300 Israeliani, l’80% dei quali appartiene al club esclusivo creato nelle unità di intelligence dell’IDF, in particolare l’unità 8200.
Se all’inizio dello scorso decennio il governo di Ariel Sharon cercò di sfruttare il know-how dell’ex personale delle unità di intelligence, all’inizio del decennio in corso il governo Netanyahu decise di sfruttare il potenziale latente nel mondo accademico. Le ragioni derivano sia dalla sicurezza che dagli obiettivi economici. Durante lo scorso anno il mercato della sicurezza dei dati su Internet ha avuto un giro d’affari di 31 miliardi di dollari e si stima che entro otto anni il giro d’affari in tutto il mondo salirà a 76 miliardi di dollari annui. Come nelle parole di Netanyahu, “il cyber è sì una seria minaccia, ma è un affare molto redditizio”.
Dopo essere tornato al potere nel 2009, Netanyahu decise di spingere ulteriormente il settore. A tal fine, invitò il Magg. Gen. (res.) Isaac Ben-Israel ad elaborare un piano pluriennale. Il prof. Ben-Israel è ora a capo del Cyber Studies Center dell’Università di Tel Aviv. Il programma il cui sviluppo gli era stato affidato ha generato quattro ulteriori centri di ricerca cibernetica in tutto il Paese. Ben-Israel ritiene che l’attenzione dovrebbe essere rivolta all’istruzione e alla ricerca. “Prima d’ora, nelle università era possibile seguire studi di informatica solo nella facoltà di scienze informatiche”, dice. “Non c’erano istituti di ricerca, l’industria non aveva un meccanismo per incoraggiare lo sviluppo cibernetico e il sistema di difesa, che in Israele è una componente enorme dell’high-tech, non era strettamente collegato ad esso.”
Che dire dell’aumento esponenziale delle esportazioni di tecnologia per lo spionaggio fatte da Israele in ogni angolo del mondo? Secondo Ben-Israel, il cyber offensivo costituisce una parte trascurabile del settore, in gran parte orientato alla difesa.
Ma è davvero una componente trascurabile? Gil Reider, direttore della divisione sicurezza interna e aerospaziale dell’Israel Export Institute, ammette che è difficile valutare la proporzione dei prodotti tecnologici di spionaggio all’interno del mercato cibernetico generale.
“Al giorno d’oggi, tutti quelli che hanno servito nell’8200 escono dall’esercito con una bella idea, si imbarcano in una nuova carriera e, prima che tu lo sappia, c’è una startup e un nuovo prodotto”, dice Reider, riferendosi alla difficoltà di quantificare il volume dell’esportazione, aggiungendo: “La regolamentazione governativa nel mondo cibernetico è nelle sue fasi iniziali. Per quanto riguarda il lavoro dell’istituto, per monitorare l’esportazione di un prodotto siamo aiutati da organizzazioni legate ai dazi doganali e al mondo degli affari. Ma è molto difficile misurare il mercato cibernetico. Dopotutto, non esporti un container di cyber come fai con un container di attrezzature di sicurezza.”
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”
Invictapalestina.org
Fonte: https://archive.is/aT0fb