Non fatevi ingannare da questa fotografia: non c’è niente di bello o poetico nell’oppressione dei palestinesi. Al di là dell’obiettivo, continua la perenne infelicità di vita sprecata e morte inutile a Gaza – non lasciamo che resti fuori fuoco.
Louis Staples, 28 ottobre 2018
Copertina – La fotografia è stata scattata mentre le proteste continuano al confine di Israele (Getty Images)
Un’immagine può dire più di mille parole, ma nel mondo di oggi sempre connesso le migliori possono generare maggiori condivisioni. Un’immagine virale, presa a Gaza dal fotoreporter Mustafa Hassona, che raffigura un manifestante palestinese a torso nudo che con una mano porta una grande bandiera mentre con l’altra brandisce una fionda, ha realizzato entrambe queste imprese.
La fotografia è stata scattata mentre le proteste continuano al confine di Israele. Il ministero della Sanità di Gaza ha detto che sono stati feriti 32 palestinesi mentre i manifestanti lanciavano pietre contro le forze israeliane, che hanno risposto con lacrimogeni e fuoco vivo. L’immagine ha provocato un’enorme reazione online, con gli utenti dei social media che l’hanno paragonata a La Libertà che guida il popolo, l’iconico dipinto di Eugene Delacroix della Rivoluzione Francese.
Fin dal mattino, quando assonnati controlliamoi nostri cellulari, molti di noi sono bombardati da informazioni e immagini, alcune delle quali possono essere inquietanti. Questa fotografia è innegabilmente impressionante, ma la reazione online mostra un preoccupante tono di distacco davanti alla sofferenza umana che sta diventando fin troppo comune.
Dipinti come quello di Delacroix hanno ornato le pareti di gallerie per secoli. Incastonate in cornici dorate, ornate e protette da vetro, le loro figure sono lontane e ci regalano la fantasia romantica di un mondo passato. Possono anche riferirsi a eventi storici, ma la nostra mente riesce facilmente a decifrare che non c’è nulla di reale dietro la superficie piatta oleosa della tela.
Ma la fotografia di Hassona non potrebbe essere più reale. Dietro la sua palpabile energia cinetica e il dinamismo visivo si nasconde una delle situazioni di diritti umani più disperate al mondo.
Il portabandiera, identificato da Al Jazeera come il 20enne Aed Abu Amro, è uno dei quasi due milioni intrappolati nella piccola striscia di Gaza, a cui è reso impossibile andarsene. Quest’anno ha visto centinaia di morti per mano delle forze israeliane, condannate dalle Nazioni Unite per aver usato “una forza eccessiva” contro i manifestanti. Medici disarmati, come Razan al-Najjar di 21 anni, sono tra i morti. Un ragazzo di 12 anni è stato ucciso a colpi di arma da fuoco all’inizio di questo mese. Un rapporto delle Nazioni Unite avverte da tempo che il blocco di Israele farà diventare Gaza, la terza zona più densamente popolata del mondo, “inabitabile” entro il 2020. Il 97% dell’acqua potabile del territorio è imbevibile e ci sono solo quattro ore di elettricità al giorno.
E’ angoscioso leggere questi fatti. Ma questa situazione senza speranza è stata facilitata dai governi di tutto il mondo che permettono quello che un giorno sarà universalmente accettato come crimini contro l’umanità.
Romanticizzare l’immagine di un uomo disperato che sfida un esercito ci permette di giustificare la sua situazione e distrarci dalla triste verità che, nel mondo reale, Davide raramente sconfigge Golia. Aed potrebbe morire oggi, domani o la prossima settimana. Se continua a protestare, è pressocché inevitabile.
Protestare è, naturalmente, una scelta. Come è una scelta per Israele continuare a violare il diritto internazionale edificando su terreni palestinesi e pianificando di demolire i villaggi palestinesi – un potenziale crimine di guerra. E’ stata una scelta per gli Stati Uniti rendere deliberatamente incandescente la situazione col trasferimento della propria ambasciata a Gerusalemme, causando inutili spargimenti di sangue e angoscia. Lasciati a soffocare senza uno straccio di speranza in quella che è essenzialmente una prigione a cielo aperto dove il 50% dei bambini non manifesta la volontà di voler vivere, mentre il mondo guarda dall’altra parte, non c’è la possibilità che faremmo tutti lo stesso?
Nelle risposte più insipide, gli utenti dei social media hanno rimarcato la mascella e il fisico scolpiti di Aed. Questa evidente feticizzazione della sua sofferenza è oscena, ma l’idea che il dolore e l’angoscia dei gruppi emarginati sia un prezzo che vale la pena pagare per la bella arte è un concetto molto più antico anche dei dipinti di Delacroix.
Dall’attacco di armi chimiche di Asad in Siria, ai corpi di bambini rifugiati spinti sulle spiagge d’Europa, le immagini hanno un potere radicale che diffonde un’empatia da poter cambiare il mondo. Ma la frivola reazione a questo particolare scatto, di qualcuno che rischia letteralmente di essere colpito, rappresenta il nostro crescente distacco dalla sofferenza e la mancanza di responsabilità collettiva nei suoi confronti.
Non fatevi ingannare da questa fotografia: non c’è niente di bello o poetico nell’oppressione dei palestinesi. Al di là dell’obiettivo, continua la perenne infelicità di vita sprecata e morte inutile a Gaza – non lasciamo che resti fuori fuoco.
Traduzione: Simonetta Lamberini – Invictapalestina.org