“Facebook aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita”
Enrico Campofreda, 20 novembre 2018
Fra le drammatiche realtà della vita palestinese nei Territori che restano occupati anche quando risultano gestiti dalla rappresentanza di quel popolo, ad esempio sotto l’Autorità Nazionale Palestinese, uno dei casi più clamorosi di mistificazione ricordati dall’ottimo lavoro di Eyal Weizman “Hollow Land” (Verso, 2007) è l’immagine del check-point.
Viene esaminato quello del ponte di Allenby, sul fiume Giordano, collegamento principale fra Amman e Gerusalemme. L’autore descrive la messa in scena, prevista dall’articolo 10 dei tristemente noti Accordi di Oslo, con le parole del palestinese Murid al-Barghuti, poeta ma anche attivista dell’Olp, dunque dotato di conoscenza della truffa che la popolazione sottoposta al controllo dei documenti in prima battuta non percepiva.
“L’agente di polizia di frontiera palestinese, in piedi dietro un ampio banco, riceve il passaporto del viaggiatore in arrivo, lo esamina e poi lo fa scivolare in un cassetto nascosto dietro il banco, che viene aperto dal personale di sicurezza israeliano dall’altro lato (celato dietro un vetro a specchio, ndr). Là vengono elaborate le informazioni contenute nel passaporto, viene presa una decisione e il passaporto viene mandato indietro con un tagliando colorato, che segnala se l’ingresso del viaggiatore è stato consentito o meno. L’agente di polizia palestinese a quel punto lascia passare il viaggiatore o lo respinge, e appone il relativo timbro sul passaporto. Dall’altra parte del terminal, la solita agitazione di lacrimevoli incontri, venditori ambulanti, bancarelle, autobus e taxi”.
Di check-point in check-point, che testimoniano la vita blindata vissuta un po’ ovunque da questo popolo oppresso, le notizie diffuse dal seguente articolo “In Palestina le infrastrutture di comunicazione sono diventate uno strumento di repressione” frutto di uno dei rapporti di Who Profits Research Center, ripropongono la medesima condizione. E dunque: isolamento a fronte d’una presunta normalità, in questo caso delle comunicazioni via telefonia mobile.
Ovviamente parlare di “normalità” in una terra sottoposta a occupazione militare è un controsenso per nulla sottile. Ma è su tale direttrice del ‘consentito e non’ che invitiamo i lettori a riflettere poiché la vicenda ci coinvolge non solo emotivamente, ma nel lavoro di divulgazione compiuto come redazione. Da alcuni anni il gruppo di lavoro di Invictapalestina ha lanciato il proprio sito sulla piattaforma social Facebook. L’invenzione di Zuckerberg (e soci, poi gabbati dal furbino Mark) ha fruttato belle cifre all’ingegnoso studente di Harvard, che ha riversato il gioco di volti e profili sulla comunità globale.
Alle iniziali decine di milioni d’iscritti ne è seguita una marea che porta a oltre due miliardi l’utenza nei vari continenti (34 milioni gli italiani). In Fb sembra esserci posto per tutti, e siamo dentro in tanti con gli intenti più vari, che sono, per quel che ci riguarda, la divulgazione di notizie. Usando la cornucopia di Zuckerberg e girando a nostro vantaggio lo slogan:
“Facebook aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita”
noi lanciamo notizie, anche a costo di risultare ‘schedati’ per pensieri e parole diffusi, comunque sempre e solo secondo la ben conosciuta deontologia professionale. E’ andata avanti così per due annetti.
Da un certo giorno dello scorso ottobre, il ventiquattro o giù di lì, abbiamo notato un intralcio alla divulgazione di articoli, filmati, del materiale postato nella grande piazza denominata Facebook. I più esperti intuiscono l’uso, da parte dei gestori, di algoritmi che filtrano le notizie, facendo girare quelle considerate più innocue, ostacolando la cronaca e l’analisi socio-politica di ciò che infastidisce.
Ma infastidisce chi? Gli amministratori, evidentemente. Eppure la nostra correttezza è ineccepibile nella forma e nell’eloquio. Eccezion fatta per gli sfoghi di certi commenti, che moderiamo o eliminiamo, dopo aver spiegato a chi li fa il motivo: neppure in una manifestazione di piazza serve cadere nel turpiloquio o nell’espressione che sconnette la lingua dalla materia grigia che la nutre. L’operazione attuata da Facebook è molto più subdola di quel che appare. Di fatto si resta visibili, ma molto, molto meno rintracciabili così i ‘seguaci’ non trovano, nello scorrere quotidiano dei post, il materiale diffuso su quella piattaforma. Oppure gli articoli raggiungono un terzo, un quinto, un decimo dei normali lettori. Non ci stupiamo più di tanto, visto quel che si dice del patròn del giocattolone che si comporta in modo più subdolo di quegli editori (e lui non sarebbe un editore) che non fanno passare certi argomenti sui media, così da impedirne l’esistenza.
Ci si potrebbe obiettare – e non da parte dello staff Fb che non lo farà mai – cosa ci stiamo a fare su questa giostra che ha proprie logiche e decide cosa, chi e come ostacolare. Nessuna recriminazione. Come il famoso scudo di Archiloco potremmo averne uno migliore, ma finché faremo capolino nel mondo Facebook continueremo a divulgare note su Palestina e Medioriente e sui soprusi del sionismo.
A volerla pensare tutta, e male, proprio al servizio di quest’ultimo sospettiamo lavorino quegli algoritmi che limitano la fruizione di tante nostre notizie; l’abbiamo verificato tramite i riferimenti elettronici dei contatti che, pur limitati nella certezza delle cifre, indicano chiaramente la tendenza al contenimento dei flussi verso l’utenza. Intanto attiviamo nuove vie, da Occidente guardando a Oriente.
nb. in data 19 novembre 2018 abbiamo creato un nuovo profilo di Invictapalestina su TWITTER, invitiamo tutti a seguirci, il nostro scopo è quello di scrivere, tradurre e proporre video a una moltitudine sempre più ampia per contrastare la narrazione israeliana inventata e promossa dall’Hasbarà e far conoscere quella del Popolo Palestinese occupato, vessato, derubato da oltre 70 anni.