“Trovare una storia in un granello di polvere”: la Ricerca per il Cinema perduto della Palestina

Proiezione come parte del London Palestine Film Festival, recenti ricerche d’archivio scoprono film importanti una volta considerati perduti per sempre
28 novembre 2018

Nei primi anni ’80 una risorsa vitale della storia del cinema palestinese ha minacciato di scomparire per sempre. Il Libano era nel bel mezzo della guerra civile tra fazioni politiche divise e rifugiati palestinesi, un complesso conflitto settario che si infiammò ulteriormente con l’invasione israeliana nel 1982. Negli sconvolgimenti che seguirono, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) fu costretta ad andarsene dal Libano, lasciando poche opportunità alle molte istituzioni culturali palestinesi recentemente costituitesi a Beirut di trasferire documenti e archivi preziosi in un luogo sicuro. Sei anni prima, il regista Khadijeh Habashneh aveva fondato l’Archivio della Palestinian Cinema Institution (PCI), una vasta collezione di film palestinesi e opere di solidarietà di registi arabi e occidentali. L’archivio andò perduto subito dopo l’arrivo dell’esercito israeliano a Beirut nel 1982; da allora è diventato un simbolo della contestata visibilità della resistenza palestinese.

 

Le devastanti conseguenze dell’invasione israeliana sono registrate nel film Palestinian Identity (1984) di Kassem Hawal, che riprende le rovine di una Beirut devastata dalla guerra nella scia dell’archivio perduto. L’aggressione israeliana in Libano causò la tragica distruzione di oltre 85 fra scuole e asili palestinesi, e importanti istituzioni, tra cui il Centro di ricerca dell’OLP, furono rase al suolo. Il film di Hawal accusa incondizionatamente Israele di prendere direttamente di mira le istituzioni culturali palestinesi; la distruzione del Centro Culturale di Gaza all’inizio di quest’anno testimonia la continua minaccia all’identità palestinese oggi.

Nel 2004, Azza El-Hassan ha documentato la sua ricerca dell’archivio del PCI nel film Kings and Extras: Digging for a Palestinian Image (2004), nel rintracciare eventuali impronte lasciate. Nel film dibatte con Habashneh su una serie di possibili spiegazioni per la scomparsa dell’archivio, chiedendosi se possa trovarsi in qualche luogo sconosciuto in Libano, Siria o Israele. Con pochi indizi da seguire, El-Hassan si convince a visitare il Martyr’s Graveyard a Beirut, per vedere se l’archivio possa essere nascosto tra le tombe. Nell’improbabile eventualità che fosse stato sepolto, sarebbe rimasto ben poco da vedere: se i film fossero stati immagazzinati in modo improprio nel sottosuolo per due decenni, sarebbero ridotti in polvere.

Il sentimento sia di Palestinian Identity che di Kings and Extras non è né di pessimismo né di nostalgia; i film esprimono sfida, il rifiuto di abbandonare la memoria collettiva “nonostante tutto” per citare Georges Didi-Huberman. Come parte del London Film Festival di Londra, Palestinian Identity di Hawal è stato recentemente presentato all’ICA insieme a una serie di film una volta ritenuti perduti o distrutti. Quattordici anni dopo aver realizzato Kings and Extras, El-Hassan ha fatto una nuova scoperta: la copia originale di Palestine in the Eye (Dir. PLO Film Unit, 1976) era stata conservata nella casa di famiglia dell’amica d’infanzia di El-Hassan, Hiba, figlia di Hani Jawharieh, uno dei fondatori della PLO Film Unit (più tardi noto come PCI). Questo lavoro profondamente toccante è un tributo a Jawharieh, un devoto regista e fotografo militante che colse i suoi ultimi istanti nella pellicola mentre filmava in prima linea, lasciandosi dietro una macchina fotografica piena di schegge. Come la ricerca di El-Hassan al cimitero rende fin troppo chiaro la violenza ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema palestinese.

 

FOTO – Kassem Hawal, Palestinian Identity, 1984, scena dal film. Per gentile concessione: ICA, Londra

Un’altra scoperta casuale ha portato alla proiezione di due film del defunto pittore e regista Ismail Shammout, restaurati da suo figlio Bashar dopo essere stati ritrovati nella casa di sua madre in Giordania. La ricercatrice e curatrice Rona Sela ha recentemente riportato alla luce nell’assai blindato archivio della Difesa israeliana (IDFA) copie di questi stessi due film che furono sequestrati alla Sezione delle Arti Culturali di Beirut, un’organizzazione dell’OLP amministrata da Shammout. E’ la prima prova incontrovertibile che i film furono saccheggiati negli archivi palestinesi negli anni ’80, e con molti ancora considerati dall’IDFA off-limits, è possibile che più film palestinesi si trovino nascosti in Israele.
Tuttavia, questa perdita archivistica può essere compensata. Molti film importanti sono stati portati alla luce ripercorrendo una rete transnazionale sostenuta da registi palestinesi e la scoperta di copie disseminate qua e là ha consentito un processo diffuso per una nuova collezione. Anticipando la distruzione dell’archivio del Palestinian Cinema Institution (PCI), i cineasti Mustafa Abu Ali e Rhanda Chahal fecero arrivare clandestinamente al Partito Comunista Italiano alcuni spezzoni significativi risultati dalla distruzione di numerosi negativi durante il bombardamento di uno studio cinematografico di Beirut negli anni ’70. Circa 200 bobine di film palestinesi sono state scoperte a Roma, tra cui le bobine sopravvissute di Tel al Zaatar (Mustafa Abu Ali, Pino Adriano e Jean Chamoun, 1977). Questo importante progetto, collaborazione fra registi palestinesi e italiani, è un testamento profondo di resilienza in un periodo di crisi che documenta scene di protesta e comunità all’indomani del tragico massacro di circa 2.000 palestinesi nel campo profughi di Tel al Zaatar, alla periferia di Beirut nel 1976.

Azza El-Hassan, Kings and Extras: Scavando per un’immagine palestinese, 2004. Cortesia: ICA, Londra

Alcune delle bobine sonore in acetone di Tel al Zaatar si sono disintegrate in una polvere fine, sprigionando fumi nocivi, quando i contenitori sono stati aperti. Il monumentale restauro è stato realizzato dall’artista e cineasta palestinese Emily Jacir in collaborazione con Monica Maurer, una regista che ha lavorato a fianco della PLO Film Unit negli anni ’70. Ricostruito con tagli per lo più inediti conservati in contenitori non contrassegnati, il film restaurato incorpora tutto ciò che si poteva salvare. Jacir si è rifiutata di scartare i tagli e i frammenti anche più danneggiati, dichiarando di poter “trovare una storia in un granello di polvere”.

L’approccio di Jacir evoca lo ‘straccivendolo’ di Walter Benjamin, lo storico materialista che salva il ‘rifiuto della storia’, mettendo insieme la ‘tradizione dell’oppresso’ attraverso frammenti smarriti e oscurati. Allo stesso modo, l’ambizioso film di Mohanad Yaqubi Off Frame AKA Revolution Until Victory (2015) traduce la convinzione storiografica di Benjamin in ‘il principio del montaggio’ all’interno di un linguaggio visivo. Il risultato di una vasta ricerca d’archivio – l’assemblaggio di Yaqubi di circa 36 straordinari film palestinesi e di solidarietà – è presentato senza l’aggiunta di una voce fuori campo, proprio come Benjamin propose nel suo montaggio: “Non ho bisogno di dire nulla. Mostro semplicemente”. Queste importanti testimonianze visive della resistenza palestinese devono continuare a essere mostrate e viste, restaurando per la nuova generazione ciò che un tempo era andato perduto.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
Fonte: https://frieze.com/article/find-story-grain-dust-search-palestines-lost-cinema?fbclid=IwAR0Oau0rzD_jzjFEXX-UOBHfeT5nW4qSnhysUdIhJjEXAlV8hp4q-yp-k_I

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