‘Il cambiamento non viene solo dai tribunali”

La direttrice di Addameer (associazione di supporto ai prigionieri palestinesi n.d.t), Sahar Francis, parla della pervasività della carcerazione nella società palestinese, di come lei e la sua organizzazione siano state prese di mira dalle forze israeliane a causa del lavoro che svolgono e cosa significa se la comunità internazionale non  riconosce Israele responsabile dell’occupazione.

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Henriette Chacar –  prima pubblicazione febbraio 2019

Foto di copertina: Sahar Francis, direttrice di Addameer, negli uffici dell’organizzazione a Ramallah, in Cisgiordania, il 19 febbraio 2019. (Foto: Mohannad Darabee per +972 Magazine)

C’è un caso che Sahar Francis dice che non dimenticherà mai. Era il 1996 o il 1997 e  da poco aveva iniziato a lavorare per Addammeer, la principale organizzazione palestinese che fornisce sostegno legale ai prigionieri politici. I soldati israeliani avevano  arrestato una giovane donna palestinese, ricorda Francis, e la stavano torturando per convincerla a testimoniare contro suo fratello, anche lui  in custodia. Sahar rappresentava entrambi.

Dopo due mesi di permanenza presso  il centro israeliano per  gli interrogatori “Russian Compound” a Gerusalemme, la giovane donna  doveva presentarsi a un’udienza in un tribunale militare israeliano vicino a Hebron. Quel giorno, tuttavia, la strada era completamente bloccata da pneumatici in fiamme. L’autista non voleva continuare, ricorda Francis, ma lei si rifiutò di scendere dal taxi e insistette perché trovasse un modo per portarla al tribunale militare. Lui lo fece .

“Dovevo essere sicura  che fosse rilasciata e tornasse a casa con me”, spiega Francis da dietro la sua scrivania negli uffici di Addameer a Ramallah. Secondo lei, quella donna stava subendo una grande ingiustizia ed era determinata a farla rilasciare, cosa che avvenne. “Per me, questo fu il momento di affrontare la sfida. Altrimenti, qual è il punto? ”

Israele ha arrestato e detenuto oltre 800.000 Palestinesi da quando nel 1967 occupò la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Solo nel 2018, l’esercito israeliano ha arrestato almeno 6.500 Palestinesi, di cui 1.080 bambini. È questa pervasività della carcerazione che rende  la questione dei detenuti così centrale nella società palestinese. “Riguarda ogni  famiglia palestinese”, dice Francis.

La percezione generale in Israele e nel mondo è che i prigionieri palestinesi sono quelli che hanno compiuto violenti attacchi, magari lanciando pietre o molotov ai soldati israeliani, pugnalando ufficiali ai posti di blocco o travolgendo pedoni con l’auto. Nella pratica, anche un poema di un oscuro poeta potrebbe essere interpretato come incitamento al terrorismo.

“Se guardi alla politica degli arresti, dalla prima Intifada fino ad oggi, tutti i gruppi della società palestinese sono stati sistematicamente presi di mira”, dice Francis. “Basta condividere una foto di uno shahid sulla tua pagina Facebook personale per giustificare il tuo arresto per un anno, un anno e mezzo, anche due anni, sulla base del reato di incitamento.”

Addameer, difendendo e assistendo i prigionieri palestinesi, nel corso degli anni  è diventato un obiettivo  sia di organizzazioni filo-israeliane di destra come l’ONG Monitor,  sia del governo israeliano e delle sue forze armate. Le forze israeliane hanno fatto irruzione negli uffici di Addameer nel 1998, nel 2002 e nel 2012, distruggendo attrezzature, frugando nei documenti e arrestando i suoi dipendenti.

Fu dopo le incursioni del 1998 che Addameer, che era stato fondato nel 1992 a Gerusalemme e che era stato registrato come organizzazione in Israele, trasferì le sue operazioni a Ramallah.

Impiegati palestinesi presso gli uffici Addameer nella città di Ramallah, nella West Bank, l’11 dicembre 2012, dopo che le forze israeliane durante la notte hanno fatto irruzione nel loro ufficio. (Foto di Issam Rimawi / Flash90)

Anche le organizzazioni israeliane e internazionali per i diritti umani si sono trovate sotto attacco politico negli ultimi dieci anni, ma  questa ostilità condivisa ha conseguenze molto diverse per i Palestinesi sotto occupazione. La metà dello staff di Addameer non può  lasciare la West Bank, spiega Francis. Il loro movimento è limitato dalle infrastrutture fisiche e burocratiche dell’occupazione che  stabilisce verso quali aree sono autorizzati a muoversi, che richiede loro il rilascio di permessi di viaggio e li sottopone a lunghe ore di attesa ai checkpoint.

I membri dei gruppi palestinesi per i diritti umani sono anche più soggetti ad arresti rispetto ai loro colleghi israeliani o internazionali, osserva. Questi arresti comportano spesso lunghi periodi di detenzione amministrativa – ovvero reclusione senza accusa né processo. Khalida Jarrar, ex presidente di Addameer e parlamentare palestinese eletta, è stata imprigionata da Israele senza processo per oltre due anni. Il coordinatore legale di Addameer, Ayman Nasser, è detenuto dallo scorso settembre.

Nel 2002, persino Francis fu accusata dalle autorità israeliane di aiutare un prigioniero a nascondere informazioni rischiando così una condanna a sei anni di carcere. Per gli avvocati che difendono i prigionieri politici palestinesi, “la riservatezza è una sciocchezza”, dice,  in quanto ogni loro mossa e ogni loro parola viene controllata dalle autorità israeliane. Per quanto la riguarda, le autorità israeliane l’accusarono non perchè credevano veramente che fosse colpevole di un crimine, ma per sabotare il suo lavoro: durante il processo infatti le fu impedito di visitare i prigionieri.

Alla fine Francis fu assolta, ma l’episodio ha evidenziato l’importanza del supporto emotivo che lei e altri avvocati forniscono ai prigionieri: “Rafforzare la fermezza della persona di fronte all’umiliazione. Non solo fermezza nel senso di confessare o meno, ma nel prevenire il collasso della mente e dell’anima di una persona.” Israele nega sistematicamente ai prigionieri palestinesi le visite familiari; tenendoli lontani dai loro avvocati, tenta di “spezzarli”.

Fare da ponte tra il prigioniero e il mondo esterno, avere conversazioni normali e risollevare  lo spirito dei prigionieri, secondo Francis, può essere importante quanto il lavoro legale. Ricorda di aver visitato un prigioniero del Russian Compound a cui non fu permesso di cambiare gli abiti per 60 giorni. “Aveva  davvero un odore terribile. Era imbarazzato per aver condiviso con me la cella dei visitatori, che è a malapena un metro per un metro “, dice. “È così che i detenuti vengono umiliati . Questa è la tortura mentale e psicologica che le forze israeliane perseguono. ”

La  parlamentare palestinese Khalida Jarrar dopo il suo rilascio da una prigione israeliana, al posto di blocco di Jabara vicino alla città di Tulkarem, in Cisgiordania, il 3 giugno 2016. (Foto di Haytham Shtayeh / Flash90)

Nata a Fasuta, un piccolo villaggio della Galilea, Francis afferma che il suo interesse per i diritti umani è stato suscitato dalla lettura di libri sul movimento per i diritti civili negli Stati Uniti e sull’apartheid in Sud Africa.

Dopo aver studiato legge all’Università di Haifa,  iniziò a lavorare nell’ufficio di Betlemme della Società di St. Yves, un’organizzazione per i diritti umani con sede a Gerusalemme. Solo un paio d’anni dopo, nel 1996, assistette agli arresti arbitrari e politici di persone a lei vicine, quando Israele arrestò amici e colleghi a seguito delle proteste contro un nuovo tunnel al Muro del Pianto a Gerusalemme.

Nel 2012, quando divenne presidente di Addameer, Francis si trasferì a Ramallah. Il suo stesso trasferirsi  attraverso Israele-Palestina – da Fasuta, a Haifa, a Betlemme, a Gerusalemme, poi a Ramallah – può essere visto come una sfida  all’occupazione. Vivendo e lavorando con varie comunità palestinesi separate, lei sfida le divisioni fisiche e politiche che Israele usa per controllare i Palestinesi.

“Come persona abituata a vivere nei confini del ’48 da tutta la vita, la mia conoscenza dei dettagli dell’occupazione, le violazioni e i crimini sistematici commessi dall’occupazione, non mi erano molto chiari,” dice Francis, riferendosi all’area all’interno della linea verde. “Ad un certo punto, ho sentito che forse le opportunità che ci erano state offerte avrebbero dovuto essere usate per  aiutare le comunità della nostra gente che invece non vi hanno accesso “.

Lei pensa che i diritti umani e il sistema legale in generale sono limitati   a causa dell’assenza di una volontà politica. “Il cambiamento non viene dai tribunali o dai  meandri della giustizia”, osserva. Non c’è modo di far valere i diritti umani senza una decisione politica che li sostenga , aggiunge, e un caso che dimostra come la politica possa riempire quel vuoto è la pressione applicata da e sui detenuti amministrativi in sciopero della fame.

Uno dei successi di cui  Francis è più orgogliosa è il sostegno a  Khader Adnan durante il suo sciopero della fame del 2012. L’esercito israeliano arrestò Adnan nelle prime ore del mattino del 17 dicembre 2011 e lui inizò quasi immediatamente uno sciopero della fame per protestare contro le sue condizioni e per il fatto che non fosse accusato di alcun crimine.

Addmeer seguì tutto il suo caso, che ottenne un’insolita copertura mediatica globale, in particolare quando lo sciopero della fame andò avanti e la sua salute peggiorò. Alla fine, i Paesi europei insieme ad altri iniziarono a fare pressioni su Israele (ma solo “al suo sessantesimo giorno di sciopero, con la sua vita in pericolo”, aggiunge Francis ), e Adnan fu rilasciato. “Questo successo ci  diede una spinta per  continuare “, dice.

 

Khader Adnan gioca con le sue figlie nel suo primo giorno fuori dal carcere nel villaggio di Araba, in Cisgiordania, vicino a Jenin, il 18 aprile 2012. (Foto di: Oren Ziv / Activestills.org)

Ma nonostante i casi in cui i Paesi stranieri hanno usato la loro influenza, Francis è scettica sulla capacità della comunità internazionale di difendere i diritti dei Palestinesi. “Esiste un ovvio doppio standard”, osserva. Invece, la sua speranza di cambiamento arriva dalla base. Il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) ha fatto capire alle persone che il cambiamento è alla loro portata, afferma, e che “le piccole azioni contro le società che sono complici dell’occupazione, o contro le istituzioni e le università che ne traggono profitto, stanno  producendo dei risultati. ”

Nel 2014, Addameer  unì le forze con un certo numero di organizzazioni per lanciare una campagna internazionale contro G4S, una società di sicurezza che riforniva le prigioni israeliane nei Territori Occupati  di tecnologie di sorveglianza destinate ai prigionieri politici palestinesi. G4S, si scoprì, gestiva anche centri di detenzione per immigrati in Gran Bretagna e prigioni in Sud Africa che facevano  ricorso alla tortura. La società  utilizzava simili tecnologie di sorveglianza anche lungo il confine tra Stati Uniti e Messico.

Questo collegamento tra le lotte mobilitò anche persone orientate alla giustizia ma che non avrebbero necessariamente preso posizione sui soli diritti palestinesi. “Siamo diventati una forza di oltre 160 organizzazioni in tutto il mondo. Nel giro di due anni, riuscimmo nel nostro intento , e G4S  annunciò che si stava ritirando dai contratti con le prigioni, gli  insediamenti e i posti di blocco [israeliani]. Questo è un chiaro esempio di come, quando cerchi di collegare la tua lotta con altre lotte, ne esci più forte. ”

“Il movimento di resistenza palestinese ha sempre cercato connessioni con altre lotte popolari. Oggi queste connessioni sono di nuovo fonte di solidarietà e di impegno “, afferma Francis. “I giovani palestinesi che non erano ancora nati durante la Prima Intifada comprendono l’importanza di collegare le detenzioni in Palestina con gli arresti politici negli Stati Uniti, in America Latina, in Turchia, in Spagna e in altri luoghi e questo è uno sviluppo positivo”.

La prossima frontiera, osserva Francis, è  cercare di far ritenere Israele responsabile dei presunti crimini di guerra, “per raggiungere un punto in cui vi sarà una vera indagine sui crimini che l’occupazione ha commesso in tutti questi anni, e che per questo Israele paghi un prezzo. “Con il pagamento , inteso sia materialmente che simbolicamente, Israele dovrebbe risarcire i Palestinesi e riconoscere i suoi errori risalenti alla Nakba, mentre  gli individui che verranno riconosciuti complici dovranno essere imprigionati.

“La Palestina è il banco di prova per il diritto internazionale, per quanto mi riguarda. Se la situazione della  Palestina non viene affrontata a quel livello, allora la comunità internazionale dovrebbe ammettere il suo fallimento nel proteggere i diritti umani “, dice Francis.

 

Henriette Chacar è un editor di +972 Rivista che si concentra sulle notizie arabo-palestinesi. È una cittadina palestinese di Israele, nata e cresciuta a Giaffa. Henriette si è laureata alla Columbia Journalism School e ha lavorato per Mount Desert Islander, PBS Frontline e The Intercept.

 

 

Trad: Grazia Parolari “conro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

 

 

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