Una volta fiorente riserva naturale, l’unica zona umida costiera di Gaza è ora una minaccia per la salute.

La scarsità d’acqua nella Striscia di Gaza ha trasformato Wadi Gaza in un disastro ambientale che colpisce centinaia di migliaia di Palestinesi. Il blocco di Israele rende la sua  bonifica ancora più difficile.

Amjad Yaghi – 5 marzo 2019

Foto di copertina: Un bacino di acque reflue ad est di Wadi Gaza nella Striscia di Gaza. (Foto di Mandy Lara Sirdah)

Ahmed Hilles, un esperto dell’Autorità Palestinese per la Qualità Ambientale, si assicura di turarsi il naso quando attraversa il ponte su Wadi Gaza. Conosciuto anche come Gaza Valley, il Wadi si trova nel mezzo della Striscia. Fino a due decenni fa, i Palestinesi di Gaza sarebbero venuti qui per godersi il panorama, l’habitat naturale e la fauna selvatica. Oggi è una discarica per detriti  edili e liquami, che emette odori  acri e mette a rischio la salute pubblica degli abitanti di Gaza.

Nel giugno 2000, il Ministero palestinese per gli Affari Ambientali  proclamò Gaza Valley riserva naturale a causa del suo significativo ecosistema naturale. Unica zona umida costiera nei Territori Palestinesi, la valle  ospitava una ricca varietà di piante e animali. Tuttavia negli ultimi anni una serie di cause convergenti ha trasformato la un tempo  fiorente riserva in un disastro ambientale.

Wadi Gaza nasce dalle colline a Sud di Hebron e dal Naqab, noto in ebraico come deserto del Negev, per un totale di oltre 100 km (62 miglia) di lunghezza. All’interno della Striscia, il  suo tortuoso percorso si estende su 9 km (5.6 miglia), terminando infine nel Mar Mediterraneo.

Storicamente Gaza Valley è stata una delle principali fonti d’acqua nel sud-est della Palestina, afferma Hiam al-Bitar,  il direttore della ricerca presso il Ministero del Turismo e delle Antichità dell’Autorità Palestinese a Gaza. Gli scavi archeologici nella zona hanno rivelato segni di vita lungo le rive dello wadi risalenti all’età del bronzo, ha spiegato.

Quando Israele occupò i Territori Palestinesi nel 1967, assunse anche  il controllo di tutte le fonti d’acqua in quelle aree, controllo che, secondo il gruppo per i diritti umani B’Tselem, continua a esercitare fino ad oggi, ad eccezione che sulla falda costiera che corre sotto Gaza. L’approvvigionamento idrico in Cisgiordania e Gaza, in gran parte  stabilito attraverso accordi negoziati con Israele, non è sufficiente per coprire le necessità domestiche, commerciali e industriali dei Palestinesi. Lo sfruttamento eccessivo, l’infiltrazione di acqua marina e l’inquinamento delle acque reflue della falda acquifera costiera, fonte del 95 percento dell’acqua a Gaza, hanno esacerbato la scarsità d’acqua in quella zona.

Il vasto sviluppo urbano ha  modificato le zone umide e la mancanza di infrastrutture adeguate è uno dei fattori principali responsabili della sua distruzione. “Sfortunatamente, il 65% delle persone che vivono nel centro della Striscia di Gaza non ha modo di trattare le proprie acque reflue”,afferma Hilles. “Le municipalità  circostanti  sono obbligate a scaricare i liquami nella valle.”

Ahmed Hilles, esperto presso l’Autorità Palestinese per la Qualità Ambientale, afferma che il principale ostacolo alla gestione delle acque e dei rifiuti a Gaza è il blocco di Israele. (Foto di Mandy Lara Sirdah)

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, a Gaza circa il 70-80% delle acque reflue domestiche viene rilasciato nell’ambiente senza trattamento. I test sull’acqua della valle condotti nel 2014 da una squadra guidata da Hilles hanno dimostrato che è altamente contaminata da parassiti e che le famiglie che vivono nella valle sono esposte a gravi rischi per la salute.

Omar al-Hourani, 38 anni, vive con la moglie, quattro figlie e l’anziana madre in una casa nei pressi della Valle di Gaza. Non può lasciare l’area, dice, perché è disoccupato e non può permettersi di trasferirsi. Al-Hourani è un rifugiato palestinese che viveva in Siria. È fuggito dalla Siria nel 2011 quando è iniziata la guerra, pensando che avrebbe raggiunto le spiagge sicure di Gaza, dove vive la famiglia di sua madre. Invece, ora vive in una delle aree più contaminate della Striscia di Gaza.

“Conviviamo con  insetti e roditori. I miei bambini non possono dormire la notte a causa degli insetti “, ha detto al-Hourani.

L’Autorità Palestinese aveva  elaborato un piano quinquennale per la conservazione dell’ambiente naturale della valle, per attirare visitatori e per garantire la protezione degli uccelli migratori, in quanto la zona umida è una delle maggiori rotte migratorie internazionali. Ma quando scoppiò la Seconda Intifada nel settembre 2000, quei piani si fermarono.

Da quando Hamas ha preso il potere nel 2007, le dispute politiche tra questa e l’Autorità Palestinese hanno ritardato lo sviluppo delle infrastrutture all’interno di Gaza. Secondo Hilles, il principale ostacolo alla gestione dell’acqua e dei rifiuti, incluso  Wadi Gaza, rimane però il blocco di Israele.

Infrastrutture fatiscenti, interruzioni croniche dell’elettricità e carenze di carburante imposte dall’assedio israeliano hanno interrotto le operazioni nelle stazioni di desalinizzazione dell’acqua e negli impianti di trattamento delle acque reflue. Nel 2017, ad esempio, secondo una testimonianza rilasciata da Gisha, un gruppo per i diritti di Israele che si concentra sulla libertà di movimento dentro e fuori Gaza, la rete fognaria di Wadi Gaza è stata costretta a chiudere per mancanza di energia.

Hilles ha detto che dopo la guerra di Israele del 2014 a Gaza, una squadra di specialisti ambientali palestinesi, di cui faceva parte, aveva inviato una richiesta alle Nazioni Unite affinché una delegazione esaminasse l’entità del danno ambientale derivante dall’assedio israeliano e dagli attacchi  alla Striscia . Le Nazioni Unite pianificarono di inviare una missione di verifica, spiegò Hilles, ma l’esercito israeliano negò l’ingresso a Gaza della delegazione.

Grazie al finanziamento del Comitato internazionale della Croce Rossa, a Wadi Gaza è stato costruito un impianto temporaneo per il trattamento delle acque reflue, operativo dal 2015. Secondo un rapporto del 2017 dell’Agenzia di Cooperazione Internazionale giapponese, l’Autorità idrica palestinese e l’utility idrica municipale delle coste di Gaza (CMWU) avrebbero intenzione di migliorare l’impianto, oltre che   sistemare ed espandere la rete fognaria nell’area. Secondo CMWU, i finanziamenti della Banca di sviluppo tedesca verrebbero anche utilizzati per costruire una centrale di pompaggio. L’acqua trattata potrebbe essere utilizzata per irrigare i raccolti, secondo Hilles, e per ripristinare la naturale vitalità della valle.

Ma anche con l’aiuto degli aiuti internazionali, le restrizioni israeliane all’importazione di articoli a “doppio uso” rappresentano un grosso ostacolo per il rilancio della sistemazione dei sistemi igienico-sanitari di Gaza. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) nei Territori Occupati, Israele sostiene che circa il 70 per cento delle attrezzature e dei materiali relativi all’acqua e all’igiene potrebbero essere riutilizzati per uso militare, e quindi limita la loro importazione a Gaza.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

Fonte: https://972mag.com/wadi-gaza-blockade-environment/140440/?fbclid=IwAR2OwFf_Gdue544VwjQHPxhEqW6kYtmhh_MmkBr6D9O5Od00KBtuprv21D8

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