Israele unica democrazia in Medio Oriente? I commenti di Netanyahu hanno mandato in frantumi quell’illusione.

I suoi commenti sul fatto che il paese appartiene al “solo popolo ebraico” vanno al cuore della natura di Israele.

Ben White, 11 marzo 2019

Foto di copertina: – Netanyahu è disperato, di fronte a una sfida elettorale di ex capi di stato maggiore dell’esercito e all’incombente rinvio a giudizio per le accuse di corruzione (EPA)

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è tornato in prima pagina domenica, dopo aver dichiarato sui social media che “Israele non è uno stato di tutti i suoi cittadini”. Il leader del Likud ha poi raddoppiato la dose, dicendo al suo governo che Israele è “lo Stato nazione non di tutti i suoi cittadini, ma solo del popolo ebraico”.

I commenti di Netanyahu sono l’ultimo triste episodio di una stagione elettorale che vedrà gli israeliani recarsi alle urne il 9 aprile. Appena lo scorso mese, il primo ministro aveva  aiutato a pianificare una fusione elettorale che avrebbe potuto vedere il partito di estrema destra Otzma Yehudit (Potere Ebraico) entrare nella Knesset.

Quest’ultimo pezzo di realpolitik, in particolare, ha suscitato l’indignazione di numerosi politici e analisti israeliani e persino di gruppi con base negli Stati Uniti, ben noti difensori di Israele. Secondo i critici, l’incentivare l’estrema destra che fa Netanyahu e il suo indulgere nella retorica razzista mettono a repentaglio la democrazia israeliana.

Netanyahu è disperato, davanti a una sfida elettorale che lo contrappone a ex capi di stato maggiore dell’esercito e agli incombenti rinvii a giudizio per accuse di corruzione. Ma i recenti sviluppi non riguardano solo il voler offrire stimoli a una base di destra, il problema è molto più profondo di un demagogo in difficoltà.

Le manovre elettorali di Netanyahu offrono l’opportunità di accendere i riflettori su una verità scomoda: cioè che solo con la definizione più superficiale possiamo considerare Israele una democrazia.

Si consideri quanto segue. Milioni di palestinesi sono sottoposti a un regime militare che, per 52 anni, ha facilitato la creazione di insediamenti illegali. I coloni sono cittadini israeliani e votano. I palestinesi fra cui vivono – di cui i coloni abitano e colonizzano la terra – non lo sono.

Le elezioni di aprile porteranno alla formazione del 35° governo israeliano. L’occupazione militare israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme est e della striscia di Gaza è iniziata durante il tredicesimo governo israeliano.

Quei palestinesi che hanno la cittadinanza israeliana, intanto, sono decisamente cittadini di seconda classe – come Netanyahu si è preso la pena di sottolineare.

Sì, la legge dello stato nazione ebraico approvata l’anno scorso è significativa a tale riguardo, quando definisce Israele come “la casa nazionale del popolo ebraico” e afferma che “il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello stato di Israele è per il solo popolo ebraico”.

La legge era comunque coerente con la discriminazione de jure e de facto che risale alla fondazione dello stato di Israele.

Come ha scritto lo studioso di studi sul conflitto, Nadim Rouhani, nel 2010, “ci sono pochi osservatori onesti in Israele che contestano il fatto che uno stato ebraico, per definizione, privilegi un gruppo di cittadini rispetto ad un altro”.

Si tratta di una disuguaglianza “espressa in vari modi, tra cui le Leggi fondamentali di Israele e le sue leggi sul controllo di terra, immigrazione e distribuzione delle risorse”, come documentato dagli stessi cittadini palestinesi, nonché da ONG internazionali e esperti dei diritti umani.

Infine – e purtroppo raramente viene preso in considerazione – ci sono milioni di palestinesi che, espulsi dalle loro case durante la Nakba del 1948, e da allora impediti a tornarvi, sono privati della loro legittima cittadinanza e quindi del suffragio.

Qualche settimana fa, Michael J Koplow, direttore politico del Israel Policy Forum, ha scritto un pezzo involontariamente istruttivo per il quotidiano israeliano Haaretz su “l’abbraccio” di Netanyahu al partito Jewish Power.

Koplow sosteneva che le azioni di Netanyahu hanno “danneggiato uno dei più preziosi patrimoni di sicurezza nazionale di Israele”, con cui intendeva dire che “una delle più potenti rivendicazioni di Israele sulla scena mondiale è di essere l’unica democrazia in Medio Oriente”.

Tuttavia, come i fatti mettono in chiaro, le credenziali democratiche di Israele sono gravemente carenti non appena si va più al fondo delle cose: le persone a cui abbiamo concesso la cittadinanza possono votare?

Proprio l’anno scorso un disegno di legge presentato da legislatori che rappresentavano i cittadini palestinesi è stato cancellato anche dopo la sua discussione nel plenum della Knesset. Perché? Nel chiedere a Israele di essere uno stato di tutti i suoi cittadini, in contrapposizione a “lo stato del popolo ebraico”, il disegno di legge violava i regolamenti parlamentari.

Quindi, l’importanza del partito Jewish Power e della retorica razzista di Netanyahu sta nel fatto che rendono molto più difficile sostenere che Israele è una democrazia liberale. Netanyahu, domenica, non ha detto nulla di rivoluzionario, sta solo rendendo più difficile conservare un’illusione.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: https://www.independent.co.uk/voices/netanyahu-israel-elections-palestine-middle-east-otzma-yehudit-a8817701.html?fbclid=IwAR0KZRgbIOCzGXgOh8Xw5KkFmFcQVKmzPxOz8bmt3VbNfHI-V-whaMIpdfc

 

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