Nozze in attesa: Palestina, Politica e Prigione

Le vite sospese di donne palestinesi che si impegnano con uomini che scontano lunghe pene detentive nelle carceri israeliane.

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1 maggio 2019

 

I matrimoni sono motivo di festa in tutto il mondo. Per i palestinesi possono essere un modo per mantenere vive le proprie preziose tradizioni e aiutare ad affrontare la vita sotto l’occupazione israeliana. Ma per le donne in questo film, quel giorno potrebbe non arrivare mai perché i loro fidanzati stanno scontando condanne all’ergastolo nelle carceri israeliane.

“Il lato positivo dell’essere in prigione è che ci ha aiutato ad avvicinarci ancora di più”, dice Ahlam Ahmed al-Tamimi, una ex prigioniera che nel 2005 era fidanzata con suo cugino Nizar al-Tamimi mentre entrambi stavano scontando l’ergastolo. Alla fine si sono sposati dopo essere stati rilasciati grazie allo scambio di prigionieri per Gilad Shalit nel 2011. Ma Ahlam descrive come a quel tempo la stessa loro relazione fosse un simbolo di resistenza.

“Ho resistito all’occupazione con il mio amore e il fidanzamento con questo prigioniero. Con il fidanzamento il prigioniero dice all’occupante che la sua vita continua”, dice Ahlam.

Ahlam al-Tamimi ha scontato otto anni all’ergastolo per il suo ruolo in un attentato del 2001 in cui morirono 15 persone e ne rimasero ferite 130. Si fidanzò con suo cugino Nizar quando anche lui stava scontando l’ergastolo per aver ucciso un colono israeliano nella Cisgiordania occupata. Gli Stati Uniti ora vogliono estradare Ahlam dalla Giordania, dove vive, perché fra le vittime dell’attentato del 2001 c’erano cittadini statunitensi e lei è nella lista dei “più ricercati” dall’FBI.

Le altre due donne, Ghufran al-Zamal e Amna al-Jayousi, hanno storie più complesse – e poche possibilità di un risultato simile, ma restano fiduciose.

Amna era già legalmente sposata con Ahmed al-Jayoussi che, con l’accusa di aver contribuito alla costruzione di cinture suicide, fu arrestato una settimana prima della cerimonia del loro matrimonio programmata nel 2002. Ma nonostante la pressione della sua famiglia estesa perché abbandoni Ahmed in carcere, l’impegno di Amna verso di lui è incrollabile, persino dopo 17 anni.

“Mi sono riservata un ‘marito nell’aldilà’, un marito per la vita e per l’aldilà … Ahmed e io non siamo solo una coppia, siamo una sola anima in due corpi”, dice.

Ghufran invece non aveva mai incontrato Hassan Salameh quando gli propose di sposarla. Lui era in prigione a scontare 48 ergastoli per avere preso parte ad attentati mortali a Gerusalemme nel 1996. Ghufran, ispirata dall’esperienza di Ahlam e Nizar, iniziò la relazione con Hassan tramite Ahlam. “È stato difficile per me, come donna, fare il primo passo, discutere di questo argomento e rompere i tabù sociali col propormi a un uomo”, spiega.

Ghufran aveva familiarità con il caso di Hassan e nelle sue lettere dice: “Siccome considerava la sua condanna come parte di un sacrificio, ho detto che volevo condividerlo con lui e gli ho chiesto di non negarmi questa felicità … Ho scritto che avrei condiviso la sua sofferenza, il suo dolore e la sua vita”.

In un primo momento Hassan si era rifiutato di permettere a Ghufran di lasciarsi coinvolgere nella sua vita e prigionia – ma in seguito, quando Ahlam lo convinse che “il fidanzamento sarebbe stato un raggio di luce in un luogo buio”, acconsentì.

Anche se a volte le lettere possono richiedere fino a un anno per arrivare, Ghufran e Hassan si sono creati un loro mondo che, lei dice, trascende il tempo e lo spazio: “Abbiamo sfidato la nostra situazione e, per noi, il carcere è come se non esistesse … abbiamo pianificato la nostra vita futura e pensato a tutto. Abbiamo sfidato questa realtà”, sostiene Ghufran.

“La direzione della prigione si prende gioco del fidanzamento dei prigionieri”, spiega Ahlam … o “impedisce al detenuto di ricevere la lettera… A volte l’agente di sicurezza può dirmi: “il tuo fidanzato è svenuto mentre era in sciopero della fame” o che lo hanno picchiato fino a farlo sanguinare, ed è tutto falso.”

“Lo scopo è quello di tenerci sotto stress costante”, aggiunge.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani di Gerusalemme B’tselem, nel febbraio 2019 c’erano oltre 5.000 palestinesi a languire nelle carceri israeliane. L’idea di donne che si impegnano con uomini che scontano in carcere lunghe condanne è un aspetto poco conosciuto del conflitto israelo-palestinese, nonché un aspetto intensamente personale e complesso.

Indipendentemente da ciò che gli uomini possono aver fatto per essere condannati ai loro molteplici ergastoli, l’implacabile lealtà di Amna, Ahlam, Ghufran verso di loro è inseparabile dal loro desiderio di una patria palestinese. Personale e politico intrecciati in modo inscindibile.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina. org

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