Siria. Il presidente Usa punta il dito contro Mosca, Damasco e Tehran per l’offensiva contro i jihadisti nella regione di Idlib. I russi: i raid andranno avanti perché sono contro i terroristi. Intanto gli ultimi bombardamenti israeliani hanno fatto 15 morti. Copertina: Il gruppo di attacco guidato dalla portaerei USS Abraham Lincoln.
Michele Giorgio ed. 04.06.2019 del Manifesto
Usa e Israele flettono i muscoli. La ripresa degli avvertimenti minacciosi all’Iran, dopo un apparente periodo di calma, è passata per la Siria. In poche ore tra gli attacchi verbali di Donald Trump a Tehran (e Mosca) per i bombardamenti nella regione siriana di Idlib e i violenti raid aerei israeliani contro presunte postazioni iraniane in Siria, la tensione è salita alle stelle riportando in primo piano il pericolo di un’altra guerra in Medio oriente. «Sento voce che la Russia, la Siria e, in misura minore, l’Iran, stanno bombardando la provincia di Idlib e stanno uccidendo indiscriminatamente civili innocenti. Il mondo sta guardando questa macelleria.
Qual è lo scopo, che cosa si pensa di ottenere? Stop!», ha twittato il presidente americano riferendosi ai bombardamenti aerei russi e siriani e al coinvolgimento di combattenti filo iraniani nell’offensiva di Damasco a Idlib contro 30.000 miliziani di Hay’at Tahrir a Shams (al Qaeda in Siria) e del Fronte nazionale di liberazione sostenuto dalla Turchia. Offensiva che ha causato, secondo alcune fonti, centinaia di morti civili e lo sfollamento di 270 mila persone. Mosca ieri ha bloccato alla nascita in Consiglio di Sicurezza dell’Onu una mozione di condanna dei bombardamenti e ha fatto sapere che continueranno perché prendono di mira i terroristi di al Qaeda e non intenzionalmente i civili siriani. Ha fatto inoltre notare che la mozione non faceva alcun riferimento agli attacchi aerei Usa contro Boghuz, Raqqa e altre località che hanno fatto migliaia di civili morti.
Mentre condanna gli attacchi aerei russi e siriani sui miliziani jihadisti a Idlib, Trump approva quelli israeliani in Siria. La tv Canale 13, citando un anonimo funzionario americano, l’altra sera ha riferito che gli Usa hanno intimato ai russi di far uscire le forze iraniane dalla Siria e che il governo Netanyahu ha chiesto a Washington di fare pressioni su Mosca per tenere le forze di Tehran a 70-100 chilometri dalle linee con Israele. Nella notte tra domenica e lunedì, gli aerei israeliani hanno colpito la base aerea T-4 vicino Homs uccidendo cinque soldati. Poche ore prima i cacciabombardieri israeliani avevano fatto almeno dieci morti prendendo di mira una base dell’esercito siriano a Kishwah (Damasco). Tel Aviv dice di aver risposto a lanci di razzi verso il Golan, territorio siriano che occupa dal 1967. Nell’ultima settimana sono stati tre gli attacchi israeliani contro le forze armate siriane e presunte basi e uomini dell’Iran.
I venti di guerra spirano forti nella regione. Mentre i jet militari israeliani sganciavano missili in Siria, il gruppo di attacco della US Navy, guidato dalla portaerei USS Abraham Lincoln, ha condotto simulazioni di raid aerei e missilistici nelle acque del Golfo davanti all’Iran, in segno di avvertimento. Alle esercitazioni hanno presto parte anche i bombardieri strategici B-52 inviati nelle scorse settimane alle basi Usa in Qatar.
Tehran mantiene la calma per non fornire pretesti a possibile un attacco Usa. Ma non manca di replicare alle affermazioni di Washington. «Sono gli Stati Uniti a doversi comportare da paese normale…sono loro che hanno lasciato il tavolo negoziale, sono la parte che ha calpestato il patto e che deve tornare ad avere un comportamento normale…Se il nemico realizza di aver intrapreso una strada sbagliata, quello sarà il giorno per sedersi al tavolo dei negoziati e per risolvere ogni questione», ha commentato ieri il presidente iraniano Hassan Rohani rispondendo al segretario di Stato Mike Pompeo che si era detto pronto ad avviare il dialogo con l’Iran «senza precondizioni» ma soltanto «una volta che gli iraniani dimostreranno di comportarsi come una nazione normale».
Pompeo aveva poi ammonito che «lo sforzo degli Usa di invertire l’attività malevola della Repubblica Islamica continuerà senza tentennamenti». Intervistato dalla Abc News il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha replicato che eventuali colloqui con Washington «non sono molto probabili».