Un articolo molto interessante sulla cecità degli Stati Uniti riguardo la politica iraniana, a cui apporto le seguenti precisazioni – Zohra Credy – Copertina: Corps des Gardiens de la Révolution – Photo : Morteza Nikoubazl
6 giugno 2019
Il conflitto tra l’Iran e il regno saudita non è confessionale ma geo-strategico. È riduttivo leggere la storia del Medio Oriente attraverso il prisma delle appartenenze confessionali. I conflitti in Medio Oriente oppongono due campi, il campo della Resistenza alla dominazione sionista-americana che avanza certamente sotto l’egida iraniana come potenza regionale e il campo che vuole stabilire la dominazione sionista sul Levante come satellite degli interessi atlantisti. Ricordo all’autore che analizza il conflitto tra Arabia Saudita e Iran come fosse un conflitto tra sunnismo e sciismo che sotto lo scià, iraniano e sciita, l’Arabia Saudita e tutte le oligarchie sunnite nel Golfo intrattenevano con lui buoni rapporti in quanto tutti questi paesi erano sotto l’ombrello degli Stati Uniti.
Nel 1962, nello Yemen, l’Arabia Saudita ha sostenuto un re sciita, Mohamed al-Badr, protetto dell’Iran contro il repubblicano Abdullah as-Salal, sunnita, e Nasser, il presidente egiziano sunnita. Più recentemente, l’Arabia Saudita ha classificato Hamas e la Jihad islamica come terroristi mentre sono fazioni palestinesi di obbedienza sunnita. Questo accanimento contro fazioni sunnite della resistenza palestinese da parte dei sauditi, che si sono autoproclamati rappresentanti dei sunniti, dimostra che la scissione non è confessionale ma decisamente politica. Entrambe le fazioni della resistenza palestinese si oppongono al piano di pace di Trump sostenuto dai sauditi.
Le oligarchie del Golfo strumentalizzano le appartenenze sciite/sunnite per anestetizzare l’opinione araba e legittimare la loro sottomissione al dominio sionista-americano. Hanno appena venduto la Palestina che è un paese per il 90% sunnita e con Gerusalemme che è la prima Qibla dell’Islam e in particolare dell’islam sunnita. Se domani l’Iran dovesse dichiarare di porre termine al suo sostegno alla Resistenza contro i sionisti-imperialisti e riconoscesse Israele, i sauditi sarebbero i primi a dimenticare che l’Iran è persiano e sciita! L’Iran è lo specchio dell’ipocrisia e del tradimento dei sauditi delle cause dei popoli sunniti, compreso il popolo palestinese.
Da parte loro, i sionisti-imperialisti hanno tutto l’interesse a fomentare il conflitto tra l’Iran e le oligarchie sunnite per mantenere la divisione del mondo musulmano manipolando le appartenenze confessionali, soprattutto perché hanno sempre cercato di dominare la linea verde o questo insieme di paesi musulmani a cavallo tra Europa e Asia. E poi, la demonizzazione dell’Iran è una falsa bandiera che permette di nascondere i crimini dei sionisti, la loro pulizia etnica, il loro apartheid, la loro profanazione quotidiana dei luoghi santi.
Inoltre, dire che la minoranza alawita domina la vita politica in Siria è una contro-verità dimostrata dalla guerra imperialista imposta alla Siria dal 2011, l’AAS è composto al 60% da sunniti e i generali che hanno condotto le più grandi battaglie di Aleppo, Dera’a e Duma non sono alawiti ma drusi, sunniti e cristiani. L’esercito arabo siriano non avrebbe mai vinto la guerra se il potere fosse stato confiscato solo dagli Alawiti!
No, il conflitto tra i due campi non è confessionale, è eminentemente politico.
Zohra Credy
Guerra israelo-americana contro l’Iran? Un fallimento annunciato
di Patrick Cockburn, 17 maggio 2019
Quattro volte, gli Stati Uniti hanno commesso lo stesso errore in Medio Oriente. Ora Trump lo fa di nuovo con l’Iran.
Nel loro scontro sempre crescente con l’Iran, gli Stati Uniti commettono lo stesso errore che hanno ripetutamente commesso dalla caduta dello Shah 40 anni fa: ignorano il pericolo di intromettersi in quello che è in gran parte un conflitto religioso tra musulmani sunniti e sciiti.
Ho trascorso gran parte della mia carriera di corrispondente in Medio Oriente, dalla rivoluzione iraniana del 1979, a fare il punto delle crisi e delle guerre in cui gli Stati Uniti e i loro alleati hanno fatalmente sottostimato la motivazione religiosa dei loro avversari. Ciò significa che ne sono usciti perdenti o semplicemente hanno fallito in conflitti in cui il rapporto di forze sembrava loro molto favorevole.
Almeno quattro volte … E’ successo in Libano dopo l’invasione israeliana del 1982, quando il punto di svolta fu, l’anno successivo, l’esplosione della caserma della Marina statunitense a Beirut nella quale furono uccisi 241 soldati americani. Poi, durante gli otto anni di guerra tra Iran e Iraq, dal 1980 al 1988, gli stati occidentali e quelli sunniti della regione hanno appoggiato Saddam Hussein, per poi ritrovarsi in una situazione di stallo. Ancora, dopo il 2003, il tentativo americano-britannico di trasformare l’Iraq del dopo Saddam in un bastione anti-iraniano è crollato drammaticamente. Allo stesso modo, dopo il 2011, paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia hanno tentato invano di sbarazzarsi di Bashar al-Assad e del suo regime in Siria – l’unico stato arabo saldamente ancorato al campo iraniano.
Oggi, lo stesso processo è in corso e rischia di fallire per le stesse ragioni di prima: gli Stati Uniti e i loro alleati locali combatteranno non solo contro l’Iran, ma anche contro le comunità sciite nella loro interezza in diversi paesi, principalmente nella parte settentrionale della regione, dall’Afghanistan al Mediterraneo.
Donald Trump sta prendendo in considerazione sanzioni per costringere l’Iran, mentre il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e il Segretario di Stato Mike Pompeo promuovono la guerra come un’opzione auspicabile. Ma tutti e tre denunciano Hezbollah in Libano o le Unità di mobilitazione popolare in Iraq come mandatari iraniani, sebbene siano principalmente il braccio militare e politico delle comunità sciite locali, che sono una pluralità in Libano, una maggioranza in Iraq e una minoranza dominante in Siria. Gli iraniani potrebbero essere in grado di influenzare fortemente questi gruppi, che però non sono burattini iraniani che svanirebbero e scomparirebbero una volta scomparso un sostegno dell’Iran.
La fedeltà agli stati nazione nel Medio Oriente è generalmente più debole della lealtà verso comunità religiosamente definite, come gli alawiti, la comunità sciita siriana al potere che conta due milioni di persone in Siria, alla quale appartiene Bashar al-Assad e i suoi luogotenenti più vicini. Le persone combatteranno e moriranno per difendere la loro identità religiosa, ma non necessariamente per la nazionalità contrassegnata sul loro passaporto.
Quando il culto islamista militarizzato dell’Isis sconfisse l’esercito nazionale iracheno prendendo Mosul nel 2014, fu una fatwa del grande ayatollah sciita Ali al-Sistani che fece arrivare decine di migliaia di volontari in difesa di Baghdad. In precedenza, nei combattimenti di Homs e Damasco in Siria, erano i distretti non sunniti a rappresentare i punti di forza del regime. Altro esempio, l’opposizione [in Siria] ha costantemente cercato di impadronirsi della strada per l’aeroporto, strategicamente importante per la capitale, ma le è stato impedito in una zona difesa da miliziani drusi e cristiani.
Quello che gli alleati di Trump in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti e in Israele vogliono che Washington immagini, è che [tutte queste comunità] gli sciiti siano tutti delle comparse degli iraniani. Per i sauditi, ogni razzo lanciato sull’Arabia Saudita dagli Houthi dello Yemen – anche se il suo potere distruttivo è minimo rispetto a quello della campagna saudita di attentati che dura da quattro anni nello Yemen – può essere stato lanciato solo su istruzione diretta di Teheran.
Giovedì, ad esempio, il principe Khalid Bin Salman, vice ministro della Difesa e fratello del principe ereditario di fatto saudita Mohammed Bin Salman, ha dichiarato su Twitter che gli attacchi dei droni contro alcune stazioni di pompaggio del petrolio saudite erano stati “ordinati” dall’Iran. Ha dichiarato che:
“Gli atti terroristici, commissionati dal regime di Teheran e perpetrati dagli Houthi, indeboliscono gli sforzi politici in corso. Queste milizie sono solo uno degli strumenti che il regime iraniano utilizza per attuare il suo programma espansionistico nella regione”.
Non c’è niente di nuovo in questa reazione paranoica dei governanti sunniti alle azioni di distinte comunità sciite (in questo caso gli Houthi) che attribuiscono tutto, senza eccezioni, alla mano nascosta dell’Iran. Ero nel Bahrain nel 2011, dove la monarchia di minoranza sunnita con l’appoggio dell’esercito saudita, aveva appena brutalmente annientato le proteste della maggioranza sciita. Tra le persone torturate c’erano medici sciiti che negli ospedali avevano curato dei manifestanti feriti. Tra le prove a loro carico c’era un’attrezzatura medica all’avanguardia – non ricordo se fosse usata per monitorare il cuore o il cervello o un’altra malattia – che i medici erano accusati di avere usato in cambio di istruzioni dall’Iran su come promuovere una rivoluzione in Bahrain.
Questo tipo di assurdità e teorie del complotto non sono mai state riprese a Washington, ma Trump e i suoi accoliti hanno dichiarato che quasi tutti gli atti di “terrorismo” potevano essere imputati all’Iran. Questa convinzione rischia di innescare una guerra tra Stati Uniti e Iran, dato che molti sciiti arrabbiati in Medio Oriente potrebbero attaccare per proprio conto alcune installazioni statunitensi.
Questo potrebbe anche far pensare a qualcuno di quegli stati desiderosi di un conflitto armato tra Stati Uniti e Iran – mi vengono in mente l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e Israele – che, inscenare un incidente provocatorio che si possa imputare all’Iran, sarebbe interamente nel loro interesse.
Ma quali conseguenze avrebbe una simile guerra? L’invasione militare dell’Iran non è né militarmente né politicamente realizzabile e non ci sarebbe una vittoria decisiva. Una campagna aerea e un serrato blocco navale dell’Iran potrebbero essere fattibili, ma ci sono molti punti sensibili dove l’Iran potrebbe fare rappresaglie, incluso lo stretto di Hormuz, dove si possono mettere mine vicino alle installazioni petrolifere saudite situate nel Golfo occidentale e quindi soggette a lanci di missili.
Una caratteristica poco nota delle denunce statunitensi della presunta ingerenza iraniana basata su mandatari locali in Iraq, Siria e Libano non è solo che sono esagerate, ma anche fossero fondate, arrivano troppo tardi. L’Iran è già dalla parte dei vincitori in questi tre paesi.
In caso di guerra, sarà molto dura. Le comunità sciite nella regione si sentiranno minacciate. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il primo giorno è generalmente il migliore per chiunque scateni una guerra in Medio Oriente, ma i loro piani svaniranno nel tempo man mano che si troveranno impigliati in una pericolosa tela di ragno che non avranno saputo prevedere.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org