Potrebbero i figli degli Ebrei europei sopravvissuti all’Olocausto comprendere il dolore e la sofferenza dei Palestinesi che sono stati sradicati dalla loro terra per fare spazio agli insediamenti sionisti?
Hamid Dabashi – 16 Giugno 2019
Immagine di copertina: un bambino palestinese in un campo profughi in Palestina nel novembre del 1948 [Getty Images]
Il mese scorso Al Jazeera Media Network ha sospeso due giornalisti per un video che avrebbe “minimizzato e travisato l’Olocausto”. La breve clip, pubblicata da AJ +, è stata rimossa dopo che il network ha dichiarato che “aveva violato i suoi standard editoriali”.
In una e-mail allo staff, Yaser Bishr, direttore esecutivo della divisione digitale di Al Jazeera, ha annunciato che ci sarebbe stato “un programma obbligatorio di formazione e di sensibilizzazione “. Data la rinascita dell’antisemitismo, è davvero importante essere vigili e vagliare attentamente la copertura dell’Olocausto ebraico
In questo senso, è encomiabile che la rete di Doha abbia preso provvedimenti. Ma quando si tratta di crimini commessi dalle potenze europee, Al Jazeera non è certamente l’unica che dovrebbe essere sottoposta a un “training di sensibilizzazione”.
Che si tratti della tratta degli schiavi, del genocidio delle popolazioni native nelle Americhe e in Australia, o dei massacri di varia scala in Medio Oriente, Asia e Africa, le atrocità di massa commesse dall’imperialismo e dal colonialismo europeo vengono regolarmente minimizzate e travisate. E lo sono anche i crimini di altre potenze imperiali non europee.
Dato che il razzismo, il suprematismo bianco e il settarismo sono in aumento in tutto il mondo, dovremmo occuparci di porre attenzione costante non solo all’Olocausto ebraico, ma anche a tutte le altre grandi calamità perpetrate, nel corso della Storia , nel nome della presunta superiorità di un gruppo su di un altro.
Possiamo ‘noi’ sentire il dolore degli altri?
Casualmente, l’incidente con il video di AJ+ è coinciso con l’apertura a New York, presso il Museum of Jewish Heritage, di una grande mostra sull’Olocausto: “A Living Memorial to the Holocaust”. Nell’esposizione, la più grande mostra itinerante sui campi di sterminio nazisti, sono presenti oltre 700 oggetti originali di Auschwitz e 400 fotografie.
È importante che tali mostre ci ricordino gli orrori dell’Olocausto e i pericoli che le ideologie razziste rappresentano per l’umanità. Ma quando si riflette su questa enorme tragedia, è difficile farlo nell’isolamento storico, specialmente ignorando l’altra tragedia avvenuta dopo la fine della Seconda Guerra mondiale: la Nakba, ovvero la spoliazione del popolo palestinese e il furto sistematico della loro terra da parte di colonizzatori europei.
Anche la Nakba è stata di volta in volta minimizzata e travisata dai media mainstream di tutto il mondo. E al di là di ciò, è la politica ufficiale dello Stato di Israele che nega sistematicamente e coerentemente la sofferenza palestinese. Di fatto, l’intera colonia israeliana è costruita sulla negazione dell’esistenza stessa di un popolo palestinese, per non parlare della loro Nakba.
Gli Israeliani non dovrebbero quindi passare attraverso un “programma di sensibilizzazione”, come ha deciso di fare Al Jazeera con il suo staff, sia arabo che non?
E che tipo di “programma di sensibilizzazione” vorrebbe o potrebbe mai affrontare o correggere quella catastrofe? Potrebbero i figli degli Ebrei europei sopravvissuti all’Olocausto comprendere il dolore e la sofferenza dei Palestinesi che sono stati sradicati dalla loro terra per fare spazio agli insediamenti sionisti?
In “Regarding the Pain of Others (2003)” , l’autrice e filosofa americana Susan Sontag riflette su come sia impossibile che l’immagine dell’altrui sofferenza riesca a trasmettere l’orrore di eventi concreti . Per dimostrarlo , utilizza una serie di rappresentazioni fotografiche di tragedie, come “I disastri della Guerra” di Francisco Goya, fotografie della Guerra Civile Americana, il linciaggio di afro-americani negli Stati del Sud, i campi di sterminio nazisti, il genocidio in Ruanda e gli attacchi alle Torri Gemelle di New York l’11 settembre 2001.
Sontag giustamente avverte: “Nessun ‘noi’ dovrebbe essere dato per scontato quando il soggetto guarda al dolore degli altri”. Cioè, coloro che non hanno mai sperimentato il dolore che stanno osservando in un’immagine o in TV, non lo comprenderanno mai completamente; non saranno mai un “noi” con la persona che vive quel dolore.
Tuttavia, sostiene, è ancora importante mostrare immagini di sofferenza. Scrive: “Chi è il ” noi “a cui sono indirizzate tali immagini shock? Quel ” noi ” dovrebbe includere non solo i simpatizzanti di una piccola nazione o di un popolo senza terra che lotta per la propria vita, ma – elettorato ben più grande – quelli anche solo nominalmente preoccupati per una sporca guerra che si sta svolgendo in un altro Paese: le fotografie sono un mezzo per rendere “reali” (o “più reali”) le cose che il privilegiato e chi è al sicuro potrebbe preferire ignorare “.
In questo senso, come possono gli Ebrei dentro e fuori Israele e i Palestinesi riunirsi per formare questo “noi” – ovvero iniziare a vedere e a simpatizzare con il dolore dell’altro? Una mostra come quella di New York potrebbe essere una grande opportunità per ri-storicizzare la storia della sofferenza ebraica, quella dell’Olocausto in particolare, così che anche i Palestinesi potrebbero veder documentato e riconosciuto il corso prolungato della loro sofferenza.
Ma una tale politica curatoriale sarebbe concepibile?
L’Ebreo come l’Arabo
In effetti, ci sono già stati tentativi del genere. In un volume di recente pubblicazione “The Holocaust and the Nakba: A New Grammar of Trauma and History (2018)”, a cura di Bashir Bashir e Amos Goldberg, alcuni importanti studiosi e pensatori critici riflettono sulle differenze e sulle somiglianze delle due tragedie. Ed è proprio qui che l’Ebreo e il Palestinese possono riunirsi.
L’obiettivo di questo volume non è quello di assimilare questi due orrori collettivi. Piuttosto, il punto è l’universo emotivo comune in cui Ebrei e Palestinesi potrebbero confrontarsi, partendo dall’esperienza dei loro traumi collettivi e affrontando la sofferenza e il dolore dell’altro.
Una storia crudele ha gettato Palestinesi ed Ebrei innocenti gli uni contro gli altri, un falsa ostilità prodotta dal colonialismo europeo che è culminato e ha trionfato nella colonizzazione sionista della Palestina.
Ma dal terrore di quella crudeltà coloniale due popoli, Ebrei e Palestinesi, emergono come uguali vittime del vile razzismo europeo contro gli Ebrei e del colonialismo contro i Palestinesi, un fatto che pone i Sionisti non dalla parte degli Ebrei, ma dalla parte degli Europei colonialisti.
Nessun ” programma di sensibilizzazione” potrà mai sostituire la necessità degli Ebrei e degli Arabi di vedere come propria la sofferenza dell’altro. Chiudere gli occhi e per un momento immaginarsi nei panni dell’altro.
Le opinioni espresse in questo articolo sono proprie dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.
Hamid Dabashi è il professore Hagop Kevorkian di Studi Iraniani e Letteratura Comparata alla Columbia University.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org