Copertina: Un palestinese mostra gli atti di proprietà sulla sua terra durante una dimostrazione sulla Nakba (Ali Jadallah / APA images)
Ilan Pappe (*) 25 luglio 2019
Il tentativo di occultare la documentazione ufficiale della pulizia etnica dei palestinesi nel 1948 non è nuovo.
Ma i tentativi di gruppi del ministero della Difesa israeliano di eliminare documenti riservati dagli archivi israeliani – come recentemente riferito dal quotidiano Haaretz – vanno intesi in un nuovo clima politico e non solo semplicemente un tentativo di risparmiare imbarazzo ai governi isareliani, come alcuni hanno suggerito.
Quelli di noi che lavorano sui documenti della Nakba – Nakba significa “catastrofe” ed è il termine che i palestinesi usano per l’espulsione nel 1948 di circa 800.000 persone dalle loro terre e case nell’allora vuota Israele – erano già consapevoli della rimozione di questi documenti. Ad esempio: per molti anni gli storici sono stati impossibilitati ad esaminare “gli archivi dei villaggi”, che hanno fornito un’importante prova alla mia tesi che la guerra del 1948 è stato un atto di pulizia etnica.
Anche alcuni dei materiali cruciali che Benny Morris ha usato sui massacri di Deir Yassin e al-Dawayima non hanno potuto essere riaperti. Tutti descrivevano una versione israeliana più onesta sulle cause che avevano condotto a quello è stata definito l’“esodo palestinese” nel 1948.
Perché questi archivi sono stati nascosti? Nel 2016 la giornalista Lisa Goldman ha supposto che il motivo fosse che il lavoro dei “nuovi storici” imbarazzasse il governo e indebolisse la reputazione internazionale di Israele.
I documenti mettevano certamente in dubbio la versione ufficiale israeliana di una fuga volontaria dei palestinesi e rivelavano i crimini di guerra commessi dai sionisti e successivamente dalle forze israeliane.
Ma ritengo che le ragioni siano molto più profonde ed allarmanti. Esse sono parte di un nuovo assalto alla Palestina ed ai palestinesi.
Portare la politica fuori dalla Palestina
È necessario studiare il tentativo di censurare questi archivi in due contesti: quello politico e quello storico.
Politicamente, la rimozione di questi documenti è stata vista come parte di un’iniziativa (o almeno di un orientamento) globale americana-israeliana per cercare di depoliticizzare la “questione palestinese”.
In Israele, questo è cominciato con le idee di Benjamin Netanyahu sulla “pace economica”, il tentativo di indurre i palestinesi ad rinunciare alle loro richiesta politiche in cambio di una migliorata realtà economica.
È continuata con la legislazione della Nakba Law, che ha ritirato qualsiasi finanziamento governativo a enti e istituzioni pubblici che commemorassero gli eventi del 1948 come una catastrofe.
Un’importante parte di questa strategia include le azioni israeliane sul campo – espansione degli insediamenti, demolizioni di case, sgomberi di villaggi – che ci avvicinano ad una annessione ufficiale dell’Area C ad Israele – circa il 60 per cento della Cisgiordania – e alla creazione di piccoli bantustan in Cisgiordania e nella striscia di Gaza.
Un buon numero di politici e funzionari israeliani, incluso ovviamente lo stesso primo ministro, sono stati espliciti sull’intenzione di annettere tutta o parte della Cisgiordania.
Infine, c’è la legge israeliana dello Stato-Nazione approvata nel 2018. Questa legge ha rafforzato Israele come uno stato di apartheid.
Una clausola particolare nella legge è rilevante per la nostra discussione: stabilisce che il diritto di esercitare l’auto-determinazione nazionale nel paese è “esclusivo” del popolo ebraico.
Sul versante americano, nel frattempo, l’amministrazione Trump ha adottato una serie di provvedimenti che complementano il tentativo israeliano di cancellare la Palestina come una questione politica e i palestinesi come un movimento nazionale.
Questi provvedimenti comprendono il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e il trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv; la fine del supporto finanziario all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU che aiuta i profughi palestinesi; l’eliminazione della delegazione dell’OLP da Washington e la conferenza del Bahrain centrata sugli incentivi finanziari per i palestinesi senza menzione di qualsiasi diritto politico.
Insieme, le campagne israeliana e americana rappresentano una nuova aggressione alla Palestina e ai palestinesi. I palestinesi sono molto vulnerabili in questo momento: i regimi arabi li stanno abbandonando, l’elite della comunità internazionale è indifferente e gli stessi palestinesi sono divisi tra Hamas e Fatah.
Eliminare i nativi
Le intenzioni israeliane ed americane combinate con la vulnerabilità dei palestinesi ci portano ad una pericolosa congiuntura storica. Israele è ora in grado di tentare ancora una volta di agire secondo la logica della “eliminazione dei nativi” (la caratterizzazione dell’antropologo Patrick Wolfe dei motivi alla base dei movimenti coloniali di insediamento come il sionismo).
Israele nel 1948 è riuscito a realizzare solo in parte questo obbiettivo. Il movimento nazionale palestinese e il popolo quella volta hanno lottato con successo, e continuano tuttora a lottare contro il completamento della pulizia del 1948.
Ma quello attuale è un momento difficile. All’estero gli sforzi per mettere Israele al riparo dalle critiche si sono intensificati.
I politici pro-palestinesi sono diffamati come antisemiti. In diversi paesi vengono introdotte leggi per proteggere Israele dalle critiche e dall’attivismo, inclusi i boicottaggi.
Eliminare materiale di archivio e la possibile distruzione di documenti rivelano i profondi motivi ideologici dietro l’attuale assalto alla Palestina e ai palestinesi.
Quanto ha danneggiato la nostra possibilità di ricostruire quanto è accaduto nella Nakba e di valutare il suo significato odierno tutto questo?
In molti modi noi siamo stati presenti qui in passato. Israele ha razziato gli archivi dell’OLP nell’ottobre del 1982, ne ha distrutto una parte, ha transferito alcuni di essi in Israele e ne ha restituito una piccola porzione.
Nel 2001, Israele fece irruzione nella Orient House a Gerusalemme Est e rubò gli archivi ivi conservati.
Ora Israele fa incursioni nei suoi propri archivi per ripulirli delle prove dei suoi crimini passati.
Questo comprometterà la nostra possibilità di ricostruire il passato?
In un certo senso, no. I rifugiati palestinesi dopo il 1948 non hanno avuto bisogno che i “nuovi storici” dicessero loro che erano stati vittime di una pulizia etnica.
Le prove degli archivi, però, sono necessarie per rivelare l’intento e la pianificazione dietro i crimini e per contestualizzare il passato all’interno di una più ampia comprensione della natura del movimento sionista e di Israele.
Per entrambi gli scopi i documenti già visti, e in molti casi già scannerizzati e digitalizzati per la posterità, sono sufficienti per provare senza ombra di dubbio l’intento ideologico sionista dietro il tentativo di eliminare i palestinesi nel 1948 e in seguito.
Anche se non c’è una “pistola fumante”, un documento che comprovi la piena intenzione alla base della pulizia etnica – sebbene, come ha commentato l’accademico Walid Khalidi, un documento noto come Piano D ci è andato molto vicino – ci sono abbastanza documenti singoli che nell’insieme rivelano il crimine contro l’umanità commesso da Israele contro i palestinesi.
Cancellare la Palestina
Andando avanti nel tempo,dal 1948 in poi, l’informazione è più accessibile e qualsiasi tentativo di distruggere o di nascondere è destinato a fallire. Studenti, storici, esperti e attivisti possono vedere molto chiaramente lo schema di violenza che Israele ha inflitto e continua ad infliggere ai palestinesi (al riguardo, va ricordata un’altra osservazione di Patrick Wolfe che il colonialismo di insediamento non è un evento ma una struttura).
Nondimeno, le origini di questa violenza strutturale è nella Nakba e pertanto la sua documentazione è importante. È questa origine che spiega le politiche di Israele a partire dal 1948: l’imposizione di un regime militare sui palestinesi all’interno di Israele fino al 1966 e la sua transizione sulla Cisgiordania occupata e la striscia di Gaza nel 1967; la politica di giudeizzazione consistente nell’espropriazione di terra e di evacuazione nella Galilea, nell’area di Gerusalemme e nel Naqab (Negev); la brutale repressione di due intifade; la distruzione del sud del Libano nel 1982 e nel 2006 e infine l’inumano assedio di Gaza.
Tutte queste politiche criminali possono essere provate senza desecretare documenti israeliani ma sono meglio storicizzati e contestualizzati se supportati da documentazione che mostra come – nel caso di Israele – la “logica dell’eliminazione dei nativi” è stata applicata.
Abbiamo bisogno di accumulare e presentare lucidamente quelli che chiamerei documenti indicativi, che sono molto vicini a rappresentare una prova “pistola fumante” dell’intento, della crudeltà e dello scopo della pulizia etnica del 1948. Ho mostrato diversi di questi documenti sulla mia pagina Facebook pubblica, ma abbiamo bisogno di veri e propri archivi in grado di essere salvaguardati da uno stato o da una coalizione internazionale che intendesse cancellare la Palestina dalla nostra memoria storica e ridurla ad una questione economica.
Questo non è il primo e non sarà l’ultimo tentativo di cancellare la Palestina. A volte questi tentativi sono occulti ma sono nondimento altamente significativi e possono essere identificati solo dalla stroriografia professionale.
Nel marzo 1964, Israele richiese che ai cittadini americani che avevano passaporti emessi con la designazione “Palestina” fossero rilasciati nuovi passaporti senza quella indicazione. Il Dipartimento di Stato USA assecondò la richiesta.
“Smetteremo di usare ‘Palestina’ come luogo di visita nei passaporti e smetteremo di emettere, rinnovare o modificare passaporti con sigillo recante la parola ‘Palestina’” informava l’ambasciata USA a Gerusalemme un telegramma.
Ma la Palestina non è un nome, e non è un luogo di visita che esiste solo negli archivi, aperti o chiusi. È un paese reale, sotto colonizzazione ed occupazione.
Noi tutti dobbiamo sforzarci di continuare a raccontare la sua storia poiché essa spiega il presente e influenza il futuro.
Trad. Raffaele Simonetti – Invictapalestina.org
(*) Autore di numerosi libri, Ilan Pappe è professore di storia e direttore dell’European Centre for Palestine Studies presso l’Università di Exeter.