Geoff Dyer, scrittore britannico, autore di L’infinito istante. Saggio sulla fotografia
Cos’è che rende questa immagine diversa da migliaia di altre che mostrano gli effetti dell’assalto israeliano a Gaza? E ‘stato scattata in un ospedale dopo il bombardamento di una scuola gestita dalle Nazioni Unite, dove sono state uccise 16 persone. Altre immagini sono state più strazianti, mostrano scene più terribili di ferimenti e di morte fornendo una vista più completa della portata e dell’intensità della distruzione. Eppure non riuscivo di smettere di guardare questa.
La risposta è arrivata, non appena ho smesso di cercarla: Don McCullin! In particolare la sua immagine di un uomo vietnamita accovacciato con le spalle al muro, in possesso di un ragazza intrisa di sangue ferita a seguito di un attacco degli Stati Uniti a Hue nel 1968.
La somiglianza tra le immagini è straordinaria e, a pensarci bene, non lo è affatto: Quando una popolazione civile viene bombardato, le immagini di questo tipo sono inevitabili.
John Berger si riferisce all’immagine di McCullin nel suo noto saggio “Photographs of Agony”. Berger ha affermato che la pubblicazione di immagini come quella di McCullin possono dimostrare almeno due cose: che le persone “vogliono conoscere la verità” oppure, la seconda, che la crescente familiarità con le immagini di sofferenza spinge i giornali a “competere in termini di sensazionalismo sempre più violento.”
Rifiutando entrambe queste opzioni, Berger concludeva che tali immagini di agonia sono il prodotto di scelte politiche, fuori dall’ambito politico, dove diventano “la prova della condizione umana.” Queste foto accusano “tutti o nessuno.”
E’ una tesi che merita considerazione ad oltre 40 anni dalla pubblicazione del saggio.
Nel momento in cui scrivo, Israele ha ammesso che uno dei suoi mortai ha colpito il cortile di una scuola dell’ONU, ma nega che qualcuno sia stato ucciso. Questo è prevedibile. Nessun governo ammette prontamente di aver ucciso civili che hanno cercato rifugio in una scuola se in qualche modo la notizia si può negare o addirittura posticipare. Con il tempo la notizia sarà pubblicata, ma nel frattempo, la sua gravità e il grado di responsabilità politica, sarà tacitamente diminuita.
Così, anche se le immagini possono ora essere diffuse prima di essere censurate, il governo si contrappone con abilità nella distribuzione delle fotografie come strumento di guerra o, se necessario, per neutralizzare il potere di tale strumento quando viene utilizzato da altri.
Ciò contribuisce a creare una sensazione di diffusa rassegnazione rabbiosa molto più profonda di quella descritta da Berger. Sono diventato consapevole del risultato – o meglio del paradosso – della solidarietà impotente guardando 5 Broken Cameras. Il video racconta di un uomo palestinese che ha filmato la resistenza all’occupazione del suo villaggio e agli insediamenti sempre più invadente. Si tratta di un record di sconfitta senza fine e battute d’arresto. Mi chiedevo come fanno i palestinesi a non sprofondare nella disperazione?
C’è una differenza fondamentale tra l’immagine di Gaza e quella di McCullin: Mentre gli occhi della bambina vietnamita sono imploranti e rivolti verso di noi, né l’uomo palestinese né la ragazza ci prestano la minima attenzione.
Potrebbe essere che, nonostante tutto – in una situazione che sembra disperata, quando i palestinesi dipendono dall’intervento politico degli altri – noi rimaniamo qui a guardarli, impotenti, sperando?
Trad. Invictapalestina.
Articolo pubblicato nel 2014.
fonte: http://www.newrepublic.com/article/118984/geoff-dyer-photo-gaza-un-school-explosion-beit-hanoun