L’ Intifada libanese: il Libano ha riconquistato il mio cuore.

Ovunque andiamo, i nostri cuori trovano sempre la strada di casa. Da venerdì ho trovato l’amore nel coraggio, l’amore per la vita e la determinazione  dell’instancabile popolo libanese, sogno un Libano libero e un Medio Oriente libero.

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Elise D – 21 ottobre 2019

È sempre affascinante vedere come le nostre vite individuali e le circostanze personali si uniscono per creare un quadro più ampio e diventare Storia. Descriverei il mio rapporto con il Libano come una serie alternata di episodi di profondo amore e di dolorosa delusione. Il mio viaggio in Libano nel 2015 fu felice: soggiornai a Ehden, nel Libano settentrionale, un bellissimo, pacifico, antico villaggio tutto costruito in pietra e ferro forgiato, dove l’aria è fresca e pura, le notti sono chiare e si riescono a vedere le stelle e la via lattea come in nessun altro posto sulla terra, tranne forse il mio villaggio in montagna,  in Francia.

Ehden con la sua piazza centrale fiancheggiata da platani, gli stessi alberi che quando ero bambina vedevo durante le pause della scuola di musica. Mi sentivo come a casa. Così come a Bcharré, con i suoi piccoli negozi all’antica, gli stessi negozi  in cui entravo nei Pirenei francesi durante le vacanze estive con mia mamma, mentre mio padre comprava in panetteria pane e marmellata, il biondo miele di montagna, le verdure esposte sui tavolini. Sulla strada per la foresta di cedri, la strada si snodava proprio come a Luz-Saint-Sauveur, serpeggiando da un villaggio all’altro, prima di raggiungere lo spettacolare passo di montagna Aïnata che conduce alla valle della Bekaa, dove sia la linea dell’orizzonte che la libertà non hanno limiti .

Ogni volta che andavo in Libano, andavo a Trablos, la città che ha un posto speciale nel mio cuore. Dal souk alla corniche, dove  compravamo il gelato al limone o mangiavamo il miglior sandwich di pollo con patatine fritte, alle foto della stupefacente moschea al Shukr, che s’innalza di fronte al mare, l’energia di Trablos mi faceva impazzire, ma non tanto quanto i dolci di Hallab.

Tuttavia, allo stesso tempo, mentre mi immergevo nella cultura libanese, sentivo volare nell’aria parole che mi pugnalavano come coltelli, sussurri che il mio ospite non voleva che sentissi. Intravedevo i messaggi scritti su striscioni drappeggiati sulla strada principale di Faraya, messaggi che mi bruciavano gli occhi e che  non avrei dovuto essere in grado di leggere sulla strada per la stazione sciistica e che  mi riportavano violentemente alla realtà. Il messaggio  divenne più forte nel corso degli anni, più chiaro alle mie orecchie, più testardo, un messaggio di intolleranza che si scontrava con la mia percezione del mondo. Scoprii i video della polizia che picchiava i lavoratori siriani mentre stavo comprando il gelato,  scoprii bambini spaventati per le strade; scoprii il discorso di odio e la retorica suprematista di Gebran Bassil. A poco a poco,  persi l’innocenza intrinseca che caratterizza i viaggiatori privilegiati, mentre iniziavo a parlare sempre  più a favore della libertà. Non potevo più ignorare gli episodi di razzismo, la retorica oppressiva regolarmente presente nei discorsi politici libanesi. Non potevo ignorare né l’onnipresente corruzione, nè lo sfinimento di tutti gli abitanti del Libano, gli abitanti dei quartieri meridionali di Beirut di cui nessuno voleva parlare o portarmici.

Nel 2017 andai per la prima volta a Dahie e Sabra. La maggior parte dei miei amici  furono sorpresi dal mio desiderio di capire e di vedere il Libano in tutta la sua diversità. “Cosa c’è da vedere?”, Continuavano a ripetere. “Tutto” continuavo a rispondere. Volevo visitare le case dei miei amici e capire com’era la loro vita quotidiana, i problemi che stavano affrontando, le loro speranze e le paure di cui mi parlavano. Ogni giorno, il mio cuore diventava più pesante, per la gioventù araba della regione, per gli anziani che vedevo lavorare ogni giorno, per tutti quelli che non avevano i leader politici che meritavano. Mi immedesimavo nella loro stanchezza e li portavo nel mio cuore.

Da quando in agosto sono tornata per un soggiorno più lungo, ho continuato a visitare e a scoprire, trascinando ovunque con me la mia amarezza. Sono andata per la prima volta a sud. Dopo 45 minuti in minibus, sono arrivata a Saida, dove sentivo di poter respirare di nuovo. Mi sono seduta nella fortezza sul mare, dove puoi intravedere la bellissima costa e la corniche, e avrei potuto rimanere lì tutto il giorno, silenziosa e pacifica. Con la mia amica Fatima, entrai nel Souk, camminando per le stradine strette. Il mio amore per il Libano e per la regione è rinato  allora,nel   momento più inaspettato, quando ebbi l’intuizione che quella visita avrebbe rappresentato un momento decisivo nel mio rapporto con la regione.

 L’espressione della propria cittadinanza, la fine della “paura dell’altro”, il liberare le parole, tutto ciò mi  ha fatto venire le lacrime agli occhi. Per quanto tema un contraccolpo da parte dei nemici della libertà, sento un’energia che prima era morta.

Ovunque andiamo, i nostri cuori trovano sempre la strada di casa. Da venerdì ho trovato l’amore nel coraggio, l’amore per la vita e la determinazione  dell’instancabile popolo libanese, sogno un Libano libero e un Medio Oriente libero.

Di ritorno a Beirut, ogni giorno  andando all’università, mentre uscivo dall’ascensore vedevo la foto di Samir Kassir e qualcosa mi ha spinto a leggere di più sulla sua vita e dei suoi saggi. L’importanza del Libano nella geopolitica siriana, la solidarietà siriana ai movimenti di opposizione favorevoli all’autodeterminazione libanese e, un giorno, la possibilità di una primavera siriana. “Il Libano sarà libero quando la Siria sarà libera”, ha detto Samir.

Due giorni fa, tutto si è unito e ha iniziato ad avere un senso.  Ho aderito alle massicce proteste che si svolgono in tutte le strade del Paese, proteste che il governo libanese ha nutrito e alimentato nella sua indecenza, nella sua mancanza di rispetto e nella sua corruzione provocatrice. Ho visto su un muro una foto di Samir che mi ha dato i brividi. Ho visto i manifestanti intervistati parlare dell’oppressione del popolo siriano in TV. Ho visto poster a sostegno di Kafranbel. Ho visto una bandiera palestinese sulla Piazza dei Martiri. Ho letto centinaia di post scritti da siriani a sostegno della rivolta libanese. Ho visto i palestinesi protestare per solidarietà nel campo di Ain el Helwe. Sui social media, ho visto video di proteste a Trablos, Baalbek, Nabatieh, Saida e Tyr che non avrei mai osato sperare. Migliaia di adolescenti sui loro scooter, che occupano le strade, sfidando la fredda violenza istituzionalizzata che li ha feriti per decenni.

Questa incredibile esplosione di rabbia, speranza, solidarietà, resistenza e unità del popolo libanese, l’assenza di bandiere politiche, i poster di tutti i leader politici che vengono abbattuti, il loro quartier generale che viene saccheggiato, le persone in ogni angolo di Beirut che cantano, gridano, ballano insieme  da tre giorni ad oggi, mi hanno commossa come niente prima in questo Paese. Questa espressione di cittadinanza, la fine della “paura dell’altro”, il prendere il controllo dei media, liberare le parole, eseguire una catarsi massiccia, mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. Per quanto tema un contraccolpo da parte di coloro che non vogliono la libertà delle persone, sento un’energia e una speranza che erano sparite in me da molto tempo.

Ovunque andiamo, i nostri cuori trovano sempre la strada per tornare a casa e troviamo sempre la strada per tornare all’amore. Da venerdì ho trovato l’amore nel coraggio, l’amore per la vita e la determinazione dell’ instancabile popolo libanese, e quando torno a casa di notte nella mia strada tranquilla, sogno di nuovo un Libano libero e un Medio Oriente libero.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

 

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