Ma la domanda è: davvero conviene ai nostri governi combattere il terrorismo?
27 ottobre 2019, dalla pagina Facebook di Roberto Prinzi.
Non possiamo ancora affermare con certezza se l’autoproclamato “califfo” islamico al-Baghdadi sia stato ucciso durante un raid statunitense stanotte. Tuttavia, due cose le possiamo sicuramente dire. La prima è come questi personaggi del terrore – spesso più mitologici, che reali – siano strumentalizzati dai nostri governi per beceri fini politici. Sono armi di distrazione di massa: guarda un po’ il “califfo”, inseguito da tempo dai nostri radar, viene (presumibilmente) ucciso proprio nelle settimane in cui gli Usa decidono il quasi totale ritiro delle loro truppe dalla Siria e dopo le dure polemiche (anche interne) che l’Amministrazione Trump ha ricevuto per il suo nuovo “tradimento” ai curdi che ha dato il via alla mattanza turca (e quasi certamente alla fine del “confederalismo democratico”). Tutto ciò porta ad una riflessione: ma quando parlano di “lotta al terrore” e ci bombardano con queste idiozie fatte di slogan, di cosa stanno parlando esattamente se, come appare sempre più chiaro, il “terrore” è da loro utilizzato per i loro tornaconti sia quando serve ad abbattere i rivali geopolitici sia quando bisogna presentare come “vittoria” un fallimentare e controverso ritiro. Con al-Baghdadi morto siamo in questo secondo caso: Trump potrà rivendicare la spedizione americana in Siria come un “successo”, potrà cinguettare che il “terrorismo è stato sconfitto”, “Mission accomplished” e così potrà vendere al meglio all’opinione pubblica l’importanza di non essere più in Siria (se non a presidiare i campi petroliferi, sia chiaro!) e spostare l’attenzione dal fatto di aver dato mano libera a Erdogan e alla sua fanteria di criminali islamisti per fare mattanze di civili e combattenti curdi nel Nord Est della Siria.
Il secondo punto è che la presunta uccisione di al-Baghdadi avviene non a caso a Idlib, nel nord della Siria, in un’area governata da al-Qa’eda che qui ha solamente assunto un altro nome ma non è altro che la stessa organizzazione che ha compiuto stragi di civili nel mondo intero (a partire dalla Siria). Quest’area è stata per anni coccolata dai governi occidentali in chiave anti-Asad al punto da arrivare a presentare le varie milizie, brigate islamiste medievali come “ribelli moderati”. Nelle ultime fasi della sua vita, ormai sotto pressione, il “califfo” sporco di sangue poteva ripararsi solo qui, solo qui poteva trovare le necessarie coperture per nascondersi dalla “caccia all’uomo” soprattutto statunitense. Da qui deriva una considerazione: se si vuole dare un colpo serio al jihadismo, almeno in Siria, va bonificata dall’islamismo radicale quest’area della Siria, spesso colpevolmente dimenticata dai commentatori. E’ qui che si gioca forse la partita fondamentale per il Paese, è qui che bisogna dare un colpo decisivo al jihadismo.
Non ci sono più scuse, non c’è più tempo da perdere: negli anni abbiamo assistito a troppi distinguo tra i gruppi islamisti di “ribelli” giungendo persino a trattare al-Qa’eda come un gruppo con cui dialogare (ricordo come fu raccontato il caso delle due italiane rapite in Siria qualche anno fa), e gli islamisti Ahrar al-Sham come “moderati” nonostante video e pratiche mostrassero il contrario. L’uccisione (presunta) di al-Baghdadi deve portare l’attenzione su questo bubbone del radicalismo islamismo: è necessario che si obblighi la Turchia a porre fine a qualunque assistenza a questi gruppi. Dopo tutto Ankara ha già ottenuto quello che voleva un po’ più a est, potrà essere più disposta a trattare. Altrimenti è inutile dire – cosa che avverrà qualora fosse confermata la morte del “califfo” – che quanto avvenuto stanotte è “un colpo serio al terrorismo jihadista” e via via tutte le banalità che seguiranno. Ma la domanda è: davvero conviene ai nostri governi combattere il terrorismo?
La foto di cooertina é stata scelta e inserita da Invictapalestina