La politica israeliana ha trasformato i corpi umani in strumenti di negoziazione e il lutto in un atto politico facilmente criminalizzabile.
Mariam Barghouti – 20 dicembre 2019
Immagine di copertina: Donne palestinesi pregano in un cimitero nella Striscia di Gaza nel giugno del 2018 (AFP)
Mio zio è morto di recente, e dopo che sua moglie e i suoi figli hanno lavato il suo corpo, lo hanno abbracciato per l’ultima volta e lo hanno seppellito, condividendo il loro dolore con amici, familiari e conoscenti.
Solo allora sono stati in grado di iniziare a piangere la sua perdita. Questo sacro processo del lutto consente alla comunità e ai propri cari di cominciare a guardare avanti , di proseguire e di tributare un saluto finale al defunto. Solo allora possono iniziare ad accettare le condoglianze.
Al funerale, ho visto i volti pallidi e in lutto e ho pensato: “Almeno è morto per cause naturali. Almeno possiamo seppellirlo e circondarlo di amore. ”
Cimiteri di numeri
Lo dico con la consapevolezza che la maggior parte delle famiglie palestinesi ha un martire tra i suoi conoscenti. Peggio ancora sono le famiglie dei martiri palestinesi i cui corpi sono ancora trattenuti da Israele.
Dal 1967, centinaia di corpi palestinesi sono stati trattenuti da Israele: alcuni in congelatori e altri nei famigerati “cimiteri dei numeri”. Le famiglie dei martiri hanno cercato di riportarli a casa.
Tuttavia, la prima richiesta dei palestinesi non è che Israele restituisca i nostri corpi. E’ smettere di ucciderci. Smettere di rubare la terra, cacciare le famiglie, incarcerare intere generazioni e consentire a una popolazione straniera di impossessarsi di quel poco che resta delle città palestinesi, solo per punire chiunque dica “ne ho abbastanza”.
Non solo ai palestinesi viene negata la possibilità di morire in pace; sono anche privati del diritto di riconoscere che la loro morte è causata da un potere occupante
La perdita, nel quadro della lotta palestinese, è una realtà e un’esperienza inesorabile, che rimane invischiata nella realtà politica e nel dominio psicosociale. Con il semplice atto della sepoltura, la perdita diventa una lotta contro un regime potente. Recitare preghiere di pace e di misericordia su di un corpo un tempo così pieno di vita, solo per poi tornare ai fantasmi rimasti a casa, non è un compito semplice.
Nel 2016, durante una conferenza stampa, una madre mi disse, respirando affannosamente: “Per favore, scrivi qualcosa. Vogliamo seppellire i nostri figli. Vogliamo seppellire i nostri figli. ”
Ho ascoltato la sua supplica e ho pensato a quante famiglie subiscono la perdita dovendo prima accettare il fatto che la persona amata viene uccisa da Israele; poi, nel dover riconoscere che probabilmente non verrà definita alcuna responsabilità; poi nelle errate narrazioni e rappresentazioni del fatto confezionate dai media mainstream; e infine, nel dover negoziare il rilascio del corpo con quel potere che ha ucciso la persona amata.
Martirio glorificante
Sebbene il martirio sia spesso indicato come parte dell’esperienza palestinese, è una narrazione complessa e importante in tutte quelle nazioni che cercano di glorificare la morte del proprio popolo in nome dell’ideologia. Anche Israele partecipa alla glorificazione del martirio, più spesso ricoperto dal diffuso gingoismo e dal ricordo dei suoi soldati.
I nostri martiri sono preziosi per noi non solo per la lotta che rappresentano, ma anche perché sono persone con cui abbiamo giocato e combattuto, che abbiamo amato o detestato. Il martirio palestinese assume una dimensione completamente diversa nel modo in cui è presentato dai media, ostacolando la nostra volontà di portare un briciolo di dignità agli uccisi e a coloro che cercano di andare avanti.
Non solo ai palestinesi viene negata la possibilità di morire in pace; sono anche privati del diritto di riconoscere che la loro morte è stata causata da un incessante potere occupante.
Quando i palestinesi vengono uccisi dalle forze israeliane, vengono indicati in forma passiva. Il palestinese “muore” , non viene “ucciso”. Il palestinese ha raramente un nome per mostrare la parodia di questa perdita di vite umane al potere di un esercito e di un regime che si sta introducendo con violenza nello spazio palestinese.
Ciò aiuta Israele non solo a colonizzare, spostare e incarcerare sistematicamente e impunemente i palestinesi, ma anche a occupare lo spazio tra i palestinesi stessi. Anche nel lutto, si respira un profumo di oppressione e di degrado.
A volte le forze israeliane attaccano i funerali dei martiri. In tal modo, Israele trasforma i corpi umani in strumenti di contrattazione e il lutto in un atto politico facilmente criminalizzabile.
Punizione collettiva
Non sorprende che nel 2018 la Knesset abbia approvato una legge che afferma giuridicamente la possibilità di Israele di trattenere i corpi dei palestinesi fino a quando le condizioni preliminari per il funerale non siano accettate
I corpi non vengono consegnati alle famiglie in lutto e vengono utilizzati dai vari partiti per scopi politici, nonostante si tratti di una violazione del diritto internazionale umanitario. È una testimonianza dello sforzo di Israele di controllare i corpi dei palestinesi e di oggettificarli ulteriormente, in linea con la comune pratica israeliana della punizione collettiva.
Gaza sta subendo una morte lenta a causa delle misure punitive contro l’intera Striscia. Un uomo di Rafah una volta mi disse: “Siamo pronti per essere inviati alla sepoltura”.
Ma Gaza e la trattenuta dei corpi non sono eccezioni. Oltre all’aumentata sorveglianza dei palestinesi attraverso le telecamere a circuito chiuso posizionate nelle città e nei villaggi, ai posti di blocco, alle continue demolizioni di case , Israele sta anche controllando le nostre emozioni.
Non possiamo piangere, muoverci o respirare senza considerare ciò che il potente esercito israeliano potrebbe farci. L’esercito israeliano è tra i primi 20 più potenti al mondo, con un budget di difesa superiore a 19 miliardi di dollari.
Il fatto che Israele mantenga il suo diritto di trattenere i corpi palestinesi “indipendentemente dalle loro affiliazioni politiche” mostra che le motivazioni dietro questa posizione non sono semplicemente legate alla costante spiegazione di Israele sulla “sicurezza” e sulla “difesa”.
Questa è una dichiarazione secondo cui Israele ha il controllo non solo della terra, ma anche del popolo – e ciò include negare il diritto di piangere coloro che ci sono stati sottratti.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
Mariam Barghouti Originaria di Ramallah, Mariam Barghouti è una scrittrice e commentatrice palestinese. I suoi articoli sono apparsi sul New York Times, Al-Jazeera English, Huffington Post, Middle East Monitor, Mondoweiss, International Business Times e altro ancora.
Trad Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org