Diversi Paesi Arabi, interessati da sconvolgimenti sociali ed economici e da una percepita minaccia dall’Iran, non contestano il piano di Trump.
Farah Najjar – 31 gennaio 2020
Immagine di copertina: Palestinesi durante una dimostrazione vicino al villaggio di Tubas-West Bank il 29 gennaio 2020 , 2020. (AFP Photo)
La reazione divisa degli Stati arabi al cosiddetto piano per il Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump non è stata una sorpresa, affermano gli analisti, i quali indicano come motivo principale di tale più o meno aperto sostegno la volontà di continuare a garantirsi l’appoggio di Washington contro un comune nemico regionale, l’Iran.
Tale divisione, aggiungono, mostra anche l’ incapacità dei Paesi Arabi di dare la priorità alla situazione del popolo palestinese rispetto alle agende economiche nazionali e ai calcoli politici in relazione all’amministrazione Trump.
L’assenza di un rifiuto unificato e deciso del piano di Trump, annunciato martedì, segnala la volontà di alcuni Stati arabi di normalizzare le relazioni con Israele per assicurare un “fronte unito” contro le percepite minacce dall’Iran.
“Il breve confronto militare USA-Iran a gennaio ha convinto alcuni Paesi del Golfo che Washington è il loro unico protettore”, ha detto ad Al Jazeera Ramzy Baroud, autore e giornalista palestinese.
“Alcuni arabi hanno completamente abbandonato la Palestina e stanno abbracciando Israele per difendersi da un’immaginaria minaccia iraniana”, ha detto Baroud.
Paesi del Golfo come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, che tradizionalmente sostenevano la causa palestinese, negli ultimi anni si sono avvicinati ad Israele perché vedono l’Iran come una minaccia regionale più grande.
“Penso che ciò che è avvenuto è che questi Paesi abbiano adottato l’approccio secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico”, ha detto ad Al Jazeera Diana Buttu, analista ed ex consulente legale dei negoziatori di pace palestinesi.
“E se si dovesse mostrare necessario neutralizzare l’Iran, o trattare con l’Iran … Sarebbe a spese dei palestinesi”, ha detto.
“Stato di decadimento morale”
Trump ha presentato la sua proposta a una platea filoisraeliana alla Casa Bianca insieme al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Tra i presenti alla riunione inaugurale c’erano gli ambasciatori del Bahrain, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Oman.
Muscat, che tradizionalmente conduceva una politica estera neutrale, nel 2018 in una mossa a sorpresa accolse Netanyahu, la prima visita in Oman da parte di un leader israeliano da oltre due decenni.
Mentre l’Arabia Saudita ha affermato di apprezzare gli sforzi di Trump e ha chiesto colloqui israelo-palestinesi diretti, l’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti a Washington, Yousef al-Otaiba, ha dichiarato che il piano “offre un importante punto di partenza per un ritorno ai negoziati all’interno di un quadro internazionale guidato dagli Stati Uniti” .
L’Egitto ha seguito l’esempio, sollecitando “un attento e approfondito esame della visione degli Stati Uniti”, mentre la Giordania ha messo in guardia contro “l’annessione delle terre palestinesi”. Amman è il custode del complesso della moschea Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, considerato il terzo sito più santo dell’Islam.
Sebbene alcuni di questi Paesi si siano sempre opposti alla crescente influenza dell’Iran nella regione, in passato avevano preso posizioni molto più forti contro la politica israeliana in Palestina.
Da quando è entrato in carica il 20 gennaio 2017, Trump è emerso come un sostenitore dichiarato delle politiche anti-palestinesi di Israele e di Netanyahu, politiche che includono una serie di misure criticate come “razziste” e “discriminatorie”.
In particolare, il controverso riconoscimento di Trump di Gerusalemme come capitale di Israele e il trasferimento della sua ambasciata nel 2018 , suscitò una condanna universale da parte dei leader arabi, mentre i leader palestinesi, che vedono Gerusalemme Est come la capitale del loro futuro Stato, dichiararono che gli Stati Uniti non erano più un mediatore equo nelle negoziazioni.
L’amministrazione Trump ha anche dichiarato che non considera più illegali gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est, invertendo decenni di politica americana,una mossa contestata dai palestinesi e dai gruppi per i diritti dell’uomo.
Washington ha anche chiuso gli uffici di rappresentanza dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a Washington a causa del rifiuto dell’autorità palestinese di avviare colloqui con Israele guidati dagli Stati Uniti .
Questi passi contro il popolo palestinese e la sua leadership hanno visto le nazioni arabe condannare apertamente alcune delle politiche USA-israeliane come violazioni del diritto internazionale, specialmente quando si è trattato dello status di Gerusalemme e del trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv.
Video: Giordania: una muta risposta muta al piano di Trump in Medio Oriente (2:22)
“Penso che il simbolismo di Gerusalemme renda più difficile per gli Stati clienti degli USA andare contro il loro popolo”, ha detto Sam Husseini, direttore dell’ Institute of Public Accuracy con sede a Washington.
“I palestinesi come popolo sono più facili da abbandonare”, ha detto.
Allo stesso modo, ha affermato Baroud, l’abbandono del popolo palestinese nel sostenere il piano di Trump riflette lo “stato di decadenza morale e la disunione del corpo politico arabo”.
“Da un lato, stanno timidamente cercando di mostrare sostegno ai palestinesi, ma dall’altro non vogliono trovarsi in uno scontro politico con Washington e i suoi alleati”, ha detto.
Alaa Tartir, consulente politico di “Al-Shabaka: the Palestinian Policy Network” afferma che i Paesi arabi non vogliono porsi in contrasto con gli Stati Uniti.
“In assenza di una Lega Araba potenziata … i singoli Stati arabi danno priorità al proprio programma, ai propri bisogni, alle aspirazioni e alle ambizioni regionali “, ha detto Tartir ad Al Jazeera.
“Pronunciare un “no” diretto all’amministrazione americana avrebbe conseguenze che molti Stati arabi non sono disposti a sopportare”, ha osservato.
“Dipendenza dagli Stati Uniti”
La proposta di Trump ha messo da parte i palestinesi ed è una violazione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che obbligherebbe Israele a ritirare le sue forze dai territori occupati nella guerra dei sei giorni, nonché a favorire il ritorno dei rifugiati.
Il piano americano prevede l’annessione israeliana di ampie zone della Cisgiordania occupata, compresi gli insediamenti illegali e la Valle del Giordano, offrendo a Israele un confine orientale permanente lungo il fiume Giordano.
Per contrastare l’accordo, gli Stati arabi dovrebbero elaborare un “piano e una visione operativa parallela e dettagliata”, ha affermato Tartir.
“Potrebbero avviare un processo per riformare le istituzioni di governance globale e potrebbero investire in meccanismi e norme internazionali per renderle più solide di fronte alle continue violazioni americano-israeliane”.
Ma la maggior parte degli Stati arabi è intrappolata in cicli di “frammentazione, polarizzazione, debolezza” e, soprattutto, “dipendenza dall’amministrazione americana”, ha affermato Tartir, riferendosi agli sconvolgimenti sociali ed economici in atto in diversi Paesi della regione.
Mentre alcuni dipendono dagli Stati Uniti per il potere politico, altri, come la Giordania e l’Egitto, dipendono anche dai finanziamenti statunitensi, poiché entrambi i Paesi sono tra i principali beneficiari degli aiuti statunitensi.
Dal 1979, l’Egitto ha ricevuto aiuti per una media di 1,6 miliardi di dollari l’anno, la maggior parte dei quali destinata all’esercito. Il finanziamento statunitense fu sospeso brevemente durante l’amministrazione del presidente Barack Obama in seguito al colpo di stato militare del 2012.
Amman e Il Cairo, stretti alleati degli Stati Uniti e uniche nazioni arabe ad avere legami diplomatici con Israele, sembrano essere economicamente troppo fragili per contrastare le politiche di USA-Israele nella regione.
“Parlare del potere politico arabo e della sua potenziale unità per difendere i diritti dei palestinesi sembra del tutto incompatibile con la natura dell’attuale realtà politica”, ha osservato Baroud.
“I diritti del popolo palestinese e, francamente, i diritti del popolo arabo non incidono minimamente sull’agenda politica araba al momento”, ha affermato.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org