Più di 700.000 arabi palestinesi lasciarono le loro case tra il 1947 e il 1949, molti dei quali costretti dall’esercito israeliano. Sebbene molti pensassero che si trattasse solo di una situazione temporanea, più di sette decenni dopo la loro situazione e quella dei loro discendenti è lungi dall’essere risolta.
Alejandro Salamanca – 9 febbraio 2020
Immagine di copertina: Rifugiato palestinese nel campo siriano di Jaramana nel 1948. Fonte: Wikimedia
Tre quarti di un milione di palestinesi lasciarono le loro case tra il dicembre 1947 e il maggio 1949 sperando di potervi tornare una volta terminata la guerra. La gran parte di loro non poté, a causa della politica di confisca e distruzione delle proprietà palestinesi attuata dal Governo israeliano durante e dopo il conflitto. Molti cercarono rifugio nei Paesi vicini, dove divennero una preoccupazione politica ed economica. Più di sette decenni dopo, i rifugiati palestinesi e i loro discendenti continuano a riaffermare il loro diritto al ritorno.
Più di 700.000 arabi palestinesi lasciarono le loro case tra il 1947 e il 1949, molti dei quali costretti dall’esercito israeliano. Sebbene molti pensassero che si trattasse solo di una situazione temporanea, più di sette decenni dopo la loro situazione e quella dei loro discendenti è lungi dall’essere risolta. La maggior parte dei rifugiati palestinesi si stabilì nei Paesi arabi circostanti, in particolare in Giordania, Siria e Libano, dove nonostante la loro situazione precaria divennero importanti attori politici ed economici. Il numero di rifugiati palestinesi è aumentato considerevolmente dopo le guerre del 1967 e del 1973. Come se ciò non bastasse, i conflitti degli ultimi decenni in Libano, Iraq e Siria hanno costretto molti rifugiati palestinesi che vivevano in quei luoghi a fuggire e chiedere asilo in altri Paesi, con la conseguente incertezza giuridica. I 150.000 arabi che furono in grado di rimanere nel nuovo Stato ebraico alla fine divennero cittadini israeliani, ma la loro situazione non rientra nel tema di questo articolo. Né sarà trattata la situazione degli oltre due milioni di palestinesi registrati come rifugiati e residenti a Gaza e in Cisgiordania.
L’UNRWA
A differenza dei rifugiati nel resto del mondo, i palestinesi non dipendono dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ma dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi in Medio Oriente (UNRWA). L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì l’UNRWA nel dicembre 1949 in vista dell’urgente necessità di assistere i civili palestinesi fuggiti dalle loro case e che non erano in grado di tornare. L’organizzazione iniziò a funzionare nel maggio 1950. Un anno dopo, le Nazioni Unite approvarono la Convenzione sullo status dei rifugiati, il principale accordo internazionale sul diritto di asilo che però non fu firmato da nessuno dei Paesi arabi confinanti con Israele. Secondo l’UNRWA, i rifugiati palestinesi furono “specificamente e intenzionalmente esclusi” da questa convenzione. Ciò spiegherebbe perché fino ad oggi l’UNRWA è l’unica organizzazione internazionale focalizzata su un gruppo specifico di rifugiati, i palestinesi, in un’area specifica: Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania e Gaza.
Sebbene l’UNRWA sia stata fondata come organizzazione temporanea, il suo mandato è stato periodicamente rinnovato dalle Nazioni Unite; l’ultima volta nel novembre 2019, quando è stata approvata la sua estensione fino al 2023. Le differenze fondamentali tra UNHCR e UNRWA sono la fonte di reddito, la gestione dei campi profughi – l’UNRWA non ne gestisce nessuna – e l’accento posto dall’UNRWA sull’accesso all’istruzione e sulle opportunità di lavoro. Le scuole e gli istituti dell’UNRWA, in cui l’organizzazione investe oltre il 50% dei suoi fondi, hanno consentito ai rifugiati palestinesi di accedere a posti di lavoro qualificati nei Paesi ospitanti.
La protezione dell’UNRWA si applica principalmente a quei palestinesi – e ai loro discendenti – che hanno lasciato le loro case tra il 1947 e il 1949 e si sono stabiliti nelle aree di azione dell’organizzazione: Giordania, Libano, Siria e Territori palestinesi. Coloro che non si registrarono perché non avevano bisogno di aiuto o si stabilirono in aree in cui l’UNRWA non era presente, non possono accedere ai servizi dell’organizzazione, sebbene a partire dal 2004 si sia iniziato a distribuire aiuti anche ai rifugiati non registrati.
Naturalmente l’organizzazione non è esente da critiche. Oltre alle questioni relative alla terminologia utilizzata e alla gestione dei fondi, viene spesso criticato il fatto che la direzione dell’UNRWA sia di solito costituita da stranieri, per lo più occidentali. L’organizzazione afferma che questa è una misura per impedire alla politica interna palestinese di influenzare le sue operazioni. I detrattori dell’UNRWA criticano anche l’alto numero di dipendenti dell’agenzia, i suoi presunti legami con il partito islamista di Hamas e il fatto di “perpetuare il conflitto” non offrendo soluzioni agli apolidi di origine palestinese, ragioni con le quali nell’agosto del 2018 il presidente americano Donald Trump giustificò la sua decisione di ritirare i fondi dall’organizzazione. In ogni caso, e nonostante le sue ombre, l’UNRWA continua ad essere un elemento importante nella vita dei rifugiati palestinesi. Attualmente l’UNRWA registra oltre 5.500.000 persone e, grazie ad essa, molte hanno potuto accedere gratuitamente a un’istruzione e a un’assistenza sanitaria di qualità. Tuttavia, la situazione varia a seconda dei Paesi.
Giordania: annessione, concessione della cittadinanza e ambivalenze.
Durante la guerra arabo-israeliana del 1948, il nuovo regno indipendente di Giordania occupò e annesse la Cisgiordania, un’area densamente popolata a maggioranza araba che ospitava un numero significativo di rifugiati. Dopo l’annessione, la popolazione passò da 400.000 a quasi un milione di abitanti. Nel 1954, il re Abdullah concesse la cittadinanza a oltre mezzo milione di abitanti della Cisgiordania e ai rifugiati provenienti da altre parti della Palestina, che iniziarono a godere degli stessi diritti del resto dei giordani, in particolare la libertà di movimento e l’accesso all’istruzione e al mercato del lavoro, compresi i lavori nella pubblica amministrazione e la possibilità di avviare un’attività in proprio. I rifugiati di Gaza e coloro che entrarono in Giordania dopo la guerra del 1967, non ebbero lo stesso destino: rimasero esclusi dalla cittadinanza, dai servizi sociali e dal mercato del lavoro formale. Oggi ci sono circa 150.000 persone che appartengono a questa categoria, la maggior parte delle quali vive nei campi dell’UNRWA.
La Giordania perse il controllo della Cisgiordania nella guerra del 1967. I suoi abitanti mantennero la cittadinanza giordana fino al 1988, quando il re Hussein decise di recidere i legami amministrativi che collegavano la Cisgiordania al regno hascemita. Più di 1,5 milioni di rifugiati e abitanti del margine occidentale della Giordania persero la cittadinanza. Pur mantenendo i loro passaporti – che ora dovevano essere rinnovati ogni due anni – persero il diritto di risiedere e spostarsi liberamente in Giordania, nonché i loro posti di lavoro nel settore pubblico. Da allora, il governo ha gradualmente revocato la cittadinanza a migliaia di giordani di origine palestinese.
La situazione è in contrasto con la politica giordana di accettare rifugiati arabi da altri conflitti della regione. Nel 1991, la Giordania ha dato il benvenuto a 300.000 persone espulse dai paesi del Golfo dopo l’invasione irachena del Kuwait; metà di loro erano iracheni e l’altra metà emigranti giordani di origine palestinese. Il regno hascemita, che non è firmatario della Convenzione del 1951, ospita anche oltre 700.000 rifugiati della guerra civile in Siria. Tuttavia, le autorità giordane hanno rimandato in Siria alcuni rifugiati palestinesi in fuga da quel Paese.
Attualmente, un quinto degli oltre dieci milioni di abitanti della Giordania sono rifugiati palestinesi registrati dall’UNRWA, a cui si aggiunge un altro mezzo milione di palestinesi non registrati. Meno del 20% dei rifugiati vive nei campi. In effetti, esiste una forte classe media giordano-palestinese che ha beneficiato del sostegno dell’UNRWA e che, in un contesto di riassestamenti economici, contribuisce a spiegare il risentimento nei loro confronti da parte dei locali. Le comunità giordana e palestinese tuttavia non sono divise e, sebbene alcuni gruppi locali abbiano cercato di capitalizzare i risentimenti, ci sono molti matrimoni misti, specialmente tra le famiglie benestanti.
Libano: esclusione e attivismo politico
Circa 100.000 rifugiati palestinesi arrivarono in Libano nel 1948. Attualmente secondo l’UNRWA ce sono circa 475.000, e anche se molti di loro vivono fuori dal Libano rimangono registrati per evitare di perdere lo status di rifugiato e l’aiuto dell’organizzazione. La maggior parte dei rifugiati palestinesi in Libano vive nei dodici campi eretti settanta anni fa come soluzione “temporanea”, campi ora convertiti in quartieri con edifici permanenti ma precari, con accesso limitato e elettricità e acqua corrente a intermittenza. Vi è anche un gran numero di rifugiati che vivono in insediamenti informali vicino ai campi.
A differenza della Giordania, in Libano la popolazione palestinese soffre di una grave esclusione sociale e di alti tassi di povertà a causa del suo status giuridico precario. Per non alterare il delicato equilibrio settario che definisce la politica libanese, organizzata su basi religiose, i rifugiati palestinesi non hanno ricevuto la cittadinanza. Allo stesso modo, l’accesso dei palestinesi al mercato del lavoro è molto limitato: la disoccupazione è molto alta tra la popolazione di rifugiati, e i pochi che hanno un lavoro lo ottengono per lavori informali poco qualificati e poco retribuiti. Molti libanesi rifiutano di assumere rifugiati palestinesi e questi non possono nemmeno aprire un conto bancario.Ugualmente, i palestinesi non possono possedere o ereditare beni immobili o godere dell’assistenza sanitaria pubblica, così è l’UNRWA responsabile della fornitura dei servizi medici ai rifugiati.
Nonostante la loro vulnerabilità, i palestinesi sono stati e sono attori influenti nella politica libanese. Negli anni ’70, attivisti palestinesi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e altre organizzazioni usarono il Libano come base operativa, realtà che causò tensioni tra i rifugiati e la popolazione locale e che fu una delle cause dello scoppio della guerra civile , che causò la morte di molti rifugiati. Dopo la guerra, la maggior parte dei rifugiati palestinesi continuò la vita nei campi. Nell’ultimo decennio, l’arrivo di centinaia di migliaia di rifugiati dalla Siria ha fornito un’ulteriore fonte di reddito per molti rifugiati palestinesi, che sono stati in grado di affittare stanze e spazi nei loro campi profughi per coloro che fuggono dalla guerra in Siria.
Siria: pragmatismo e diritto al lavoro
A differenza del Libano e della Giordania, i 100.000 palestinesi arrivati in Siria tra il 1948 e il 1949 non modificarono in modo significativo la struttura demografica: i palestinesi non hanno mai superato il 3% della popolazione del Paese. La politica siriana nei confronti dei rifugiati palestinesi è una via di mezzo tra il Libano e la Giordania. Sebbene la Siria non abbia concesso la cittadinanza ai palestinesi, storicamente questi hanno goduto di maggiori diritti e libertà rispetto ai palestinesi in Libano.
Negli anni ’50, il governo siriano concesse ai rifugiati palestinesi il diritto di lavorare senza restrizioni nei settori pubblico e privato – compresa la possibilità di far parte dei sindacati e delle associazioni di lavoratori siriani – nonché l’accesso a servizi pubblici, sanità e istruzione. Allo stesso modo, i rifugiati palestinesi furono costretti a prestare servizio militare con il resto dei cittadini siriani, una misura che favorì l’integrazione. Le uniche aree in cui i palestinesi non godono dell’uguaglianza con i siriani sono il diritto di proprietà – in alcuni casi limitato- e la possibilità di viaggiare a livello internazionale, soggetta al contesto politico del momento. Queste politiche furono un successo: a metà degli anni ’80, meno del 30% dei palestinesi in Siria era rimato nei campi profughi dell’UNRWA.
Attualmente, l’UNRWA stima il numero di rifugiati palestinesi e dei loro discendenti in Siria a poco più di mezzo milione. Lo scoppio della guerra civile nel 2011 ha complicato la situazione dei rifugiati palestinesi nel Paese, in particolare per i residenti nei campi profughi. Molti di loro hanno lasciato il Paese in direzione di Libano, Giordania, Turchia ed Europa. Coloro che sono rimasti in Siria – il 60% di quelli che sono rimati sono sfollati interni- hanno visto i fondi assegnati all’UNRWA in Siria diminuire a causa delle sanzioni e delle restrizioni della comunità internazionale.
Egitto: vulnerabilità senza l’UNRWA
La maggior parte dei rifugiati palestinesi risiede nei territori assegnati all’UNRWA. Tuttavia, ci sono anche importanti comunità in altri Paesi arabi. L’esempio più significativo è l’Egitto, dove vivono dai 50.000 ai 100.000 palestinesi.
L’Egitto, come la Siria, non ha dato la cittadinanza ai palestinesi – nemmeno ai Gazawi dopo l’annessione egiziana della Striscia di Gaza durata fino al 1967 – ma dal 1954 ha permesso loro di lavorare e di accedere ai programmi di istruzione primaria , secondaria e superiori, oltre che ai lavori statali. Tuttavia, l’Egitto non ha riconosciuto l’UNRWA né gli ha permesso di operare sul suo territorio. La maggior parte dei palestinesi in Egitto non arrivò nel paese nel 1948, ma dopo la guerra del 1967. Dopo la firma degli accordi di Camp David tra Egitto e Israele nel 1978 e l’uccisione di un ministro egiziano da parte di una cellula militante dell’OLP, la situazione dei palestinesi nel Paese peggiorò : persero il diritto all’istruzione e alla salute gratuite condizioni che insieme alla restrizione alla proprietà immobiliare approvata nel 1967, ha fortemente limitato le possibilità economiche della comunità palestinese. Sebbene nel 1981 l’Egitto abbia firmato la Convenzione sullo status dei rifugiati, i palestinesi in Egitto non sono mai stati riconosciuti come rifugiati. Inoltre, il fatto che l’UNRWA non operi nel Paese implica che molti palestinesi non hanno accesso ai servizi sociali di base.
Futuro congelato
I rifugiati palestinesi sono un gruppo speciale, l’unico che non dipende dall’UNHCR. Il diritto al ritorno, a cui i palestinesi non vogliono rinunciare, nonché le circostanze specifiche del conflitto arabo-israeliano e il rifiuto di molti Paesi arabi di firmare la Convenzione sui rifugiati del 1951, hanno portato l’UNRWA, un’organizzazione creata nel 1949 come soluzione temporanea al problema dei palestinesi, a prorogare il termine del mandato ogni pochi anni.
La situazione dei rifugiati palestinesi e dei loro discendenti varia da Paese a Paese, anche in quelli all’interno dell’area operativa dell’UNRWA. In Giordania, molti palestinesi hanno avuto accesso alla cittadinanza e hanno potuto godere degli stessi diritti del resto della popolazione, anche se il regno hascemita ha iniziato a limitarli negli anni 80. In Libano, i rifugiati palestinesi occupano una posizione marginale e vulnerabile, nonostante la rilevanza delle fazioni politiche palestinesi nella politica libanese negli anni ’70 e ’80. In Siria, i palestinesi sono stati in grado di accedere ai servizi sociali e al mercato del lavoro a parità di condizioni con i locali, il che ha permesso a molti rifugiati di uscire dalla povertà e di integrarsi nell’economia del Paese, sebbene la guerra civile iniziata nel 2011 abbia complicato la situazione. In Paesi al di fuori del mandato dell’UNRWA come l’Egitto, i palestinesi non sono ufficialmente riconosciuti come rifugiati, il che pone la loro situazione in balia delle fluttuazioni politiche del momento. Sebbene il diritto al ritorno sia una rivendicazione centrale dei rifugiati, tutto sembra indicare che la loro situazione rimarrà congelata ancora per molto tempo.
Alejandro Salamanca – Madrid, 1992. Laurea in Storia presso l’UAM e Master in Studi islamici presso l’Università di Edimburgo. Borsa di studio dell’UE nel 2017 per il Master europeo in migrazione e relazioni interculturali a Oldenburg (Germania) e Stavanger (Norvegia). Direttore della rivista Fua e creatore del blog Desvelando Oriente.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org